Tornano le “ricette di Biagio”. I sapori, i profumi, la storia del cibo sollecitano tutto il sistema delle nostre percezioni, ci spingono a confrontarci con noi stessi e con la società in cui viviamo, ampliano i confini della nostra conoscenza, ci accompagnano in viaggi sorprendenti. Come diceva Italo Calvino, “si inghiotte cultura”. “Con gli scrittori si può andare a tavola” scrive Gian Luigi Beccaria, e io aggiungo, che ci si può andare anche con i pittori, e non mi riferisco solo ai quadri in cui è rappresentato il cibo: ogni quadro, con il gioco delle sue forme e dei suoi colori, può essere associato al gioco dei sapori di un “piatto”. Questi temi ispireranno i commenti al nuovo viaggio tra le ricette di Biagio.(Le immagini sono tratte dai siti internet).
Ingredienti (per 4 persone): gr.400 di riso, una manciata di fiori di zucca verdi, 1 patata, 1 zucchina, 4 pomodori di San Marzano, 2 cipolline, 3 “cucchiaiate” di olio d’oliva, 1 aglio, sale. Nell’olio già soffritto, in compagnia dell’aglio – finché l’aglio non imbiondisce – in una pentola, calate i pomodori privati di “pelle” e di semi e fate cuocere a fuoco vivo per qualche minuto, poi aggiungete i di fiori di zucca, le patate e le cipolline, il tutto opportunamente tagliato in frammenti di varia misura, e quando è prossima l’ebollizione, aggiustate di sale e di pepe, e dopo una decina di minuti aggiungete l’acqua calda necessaria per portare a cottura definitiva il riso che avete lessato a parte, e scolato al dente. Unite al riso le zucchine tagliate a dadini. Spegnete il fuoco quando il riso giungerà al punto giusto di cottura, e servite con un velo di formaggio grattugiato
Non ci sono ingredienti capaci di indebolire l’identità del riso, di affievolire il suo sapore e di restringere lo spazio della sua presenza. In Occidente il riso è simbolo potente di abbondanza e di prosperità, come sanno gli sposi, e in Oriente è “segno” di vita. Si piegano alla sua presenza i fiori di zucca verde, le cipolline, i pomodori, e ne ricevono in cambio note di energia elegante. Il riso diventò la bandiera di Marinetti e dei Futuristi nella battaglia contro la pasta, ed è questo un argomento che dovremo trattare a parte, perché qualcuno ha detto che quella battaglia era condotta anche contro la cultura e la società del Sud: e del resto già Leopardi aveva irriso gli intellettuali napoletani accusandoli di conoscere solo la filosofia dei maccheroni. Nel “piatto” proposto in questo articolo forse solo la patata riesce a conservare vivo un barlume della sua “identità”, ma forse è un condizionamento della memoria di chi ricorda ancora che la patata fu, e ancora è, cibo dei poveri. Il tema della salda identità del riso non può non ricordarci che viviamo nella società dell’“apparire”. Certo, non dobbiamo dimenticare che il fenomeno sociale dell’“apparire” si è manifestato in ogni epoca storica e che il tema della “maschera” suscitava già l’attenzione ora ironica, ora irritata, di Cicerone e di Seneca, i quali “sentivano” – e perciò si irritavano – che anche essi talvolta si mascheravano. Ma oggi la situazione appare fuori controllo, soprattutto per colpa, sosteneva Umberto Eco, dei mezzi di comunicazione di massa. I fiori di zucca si arrendono al riso, ma si fanno “toccare” anche dal sapore delle cipolline e perciò costringono il cuoco a fissare con sapienza le quantità e i tempi del “contatto”. Ma il problema vero sta nel fatto che non ci accontentiamo di una sola maschera: cambiamo maschera ogni giorno, a seconda delle circostanze, e senza cautela, senza un minimo di vergogna. A seconda delle circostanze oggi siamo esperti di archeologia, domani pontifichiamo, di mattina in storia dell’arte, e la sera in medicina, e diamo consigli e emettiamo sentenze sul ruolo della Scuola, sulla violenza dei ragazzi, sull’antifemminismo di alcuni gruppi sociali, sulla strategia dei Russi e degli Ucraini, sui problemi del Medio Oriente. Ma a molti capita, all’improvviso, di sentirsi nudi: è una sensazione tormentosa: non è facile resistere ai colpi di un “drago” – il senso della propria identità – che all’improvviso si sveglia e incomincia a fare a pezzi il corredo delle maschere, e a “spogliarci” ordinandoci di far apparire il nostro essere. In questa società dell’ “apparire” c’è sempre qualcuno, o qualcosa, che ridendo ci invita a parlare e a comportarci secondo le leggi della realtà e della verità. Ma a questo tema complicato e “lacerante” dedicheremo, con l’aiuto degli dei, altre ricette. Proponiamo all’attenzione il quadro di Ensor (pubblicato in appendice) che si dipinge col suo vero volto in una folla di “mascherati”.