“La prugna” di E. Manet: forse il vero tema del quadro è la noia.

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“La prugna” di E. Manet: forse il vero tema del quadro è la noia.

E’ un olio su tela (cm. 73, 6x cm.50,2), eseguito probabilmente nel 1878, oggi esposto alla “The National Gallery of Art” di Washington, nella collezione di quadri donata dalla famiglia Mellon. Prende il nome dal bicchiere sul tavolo, pieno di acquavite in cui è stata immersa una prugna. Pare che la donna sia prigioniera dello spazio in cui siede.

Molti pittori impressionisti trassero ispirazione dai bistrot e dai “caffè” che essi frequentavano e in cui trovavano persone e situazioni che muovevano il loro interesse, dalle novità della moda al gioco delle forme e dei colori, alle trasformazioni “parigine” del sistema sociale. Nel 1875 Degas aveva dipinto “L’assenzio” sottolineando con forza, come vedremo in un prossimo articolo, il problema della diffusione nei “Cafè” di Parigi del liquore drogato: il liquore alla prugna di questo quadro è una bevanda non pericolosa, e il denso verde del frutto serve ad attirare la nostra attenzione sulla sigaretta. Che forse è spenta, e l’assenza di un tocco intenso di rosso- fuoco è una vera e propria metafora del “messaggio” che Manet vuole trasmettere: non c’è traccia di entusiasmo nella signora, non c’è attenzione per gli altri avventori, per ciò che accade in sala: l’indifferenza di lei è totale. E perciò è stata scelta questa particolare impaginazione frontale: le mani, lo sguardo e le ciocche dei capelli che si incrociano a punta sulla fronte costituiscono un triangolo, all’interno del quale si sviluppa il “discorso” dell’artista: la postura delle mani, la bocca e lo sguardo spento che si disinteressa di tutto, anche degli osservatori, danno ragione agli studiosi – Theodore Reff e Charles Moffet, per esempio – che hanno visto nella noia il tema del quadro. Il colore intenso dell’orlo del cappello e del “piede” che sostiene il tavolo, le variazioni di toni e di colori che rendono con precisione la solidità del marmo e della parte della scena che il marmo copre contribuiscono a conferire risalto alle tenui sfumature cromatiche che si stendono sul volto e sull’abito della donna: in lei non c’è energia, la guancia appoggiata sul dorso della mano destra è come se non pesasse, perché il contatto non crea ombra.  E’ una figura di lieve consistenza “incastrata” in un sistema di forti linee orizzontali e verticali creato dalle parti che compongono il muro, dal sedile, dal tavolo: la donna è come prigioniera di questo “spazio”, simbolo della società, rappresentata ancora più incisivamente dall’inquieto graticcio che si aggroviglia dietro alla testa di lei. E le parti che costituiscono questo spazio- prigione Manet le tratta con colori forti e complementari. Qualche studioso ritiene che il “luogo” della scena sia un angolo del “Café de la Nouvelle-Athènes”, che Manet, Degas e i loro amici pittori e scrittori incominciarono a frequentare nel 1876: ma sono evidenti i segni di una intensa rielaborazione. Non sappiamo chi sia la signora raffigurata. Il liquore alla prugna e la sigaretta inducono a pensare a una donna di facili costumi, ma il cappello, il vestito e la naturalezza con cui la donna lo indossa consentono di supporre che ella appartenga alla borghesia. In ogni caso, giustamente Nicola Spinosa e Rosalba Tardito affermano che “Manet creò deliberatamente un’immagine ambigua, che fa del dipinto uno sguardo straordinariamente sintetico posato sulla vita moderna”. Ma l’opera è importante anche perché dimostra che Edouard Manet non usò sempre la stessa tavolozza degli altri impressionisti, seppe servirsi del nero e di alcuni colori di terra, fu abile nell’adattare tecnica della velatura e pennellata al “soggetto” dell’opera e al “messaggio” che voleva trasmettere.