La “missione” dei Carmelitani di Ottajano: istruire i ragazzi, curare i malati, combattere la povertà

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Nel 1615 i Carmelitani già amministravano, a Ottajano, la chiesa e il convento dello Spirito Santo, che poi presero il nome dalla Madonna del Carmine. Il 7 agosto 1809 Murat ordinò la chiusura dei monasteri: e gli amministratori di Ottajano, registrando, ma solo in parte, i documenti relativi ai “beni” dell’Ordine ci permettono tuttavia di capire quanto profondo era il  “segno” che  i Carmelitani avevano impresso sul sistema sociale della città.

 

Gli amministratori di Ottajano e il giudice di pace Giuseppe Barra registrarono i documenti con molta libertà, diciamo così, perché le famiglie e le fazioni già si preparavano alla guerra che avrebbe permesso ai vincitori di mettere le mani su una parte delle proprietà dei Carmelitani a Recupo, ai Pizzoli di Terzigno, alla Trofa, ai Travi, allo Scalabrile, al Vallone del Carmine. I documenti salvati ci dicono che una parte cospicua delle “entrate” garantite dalle masserie, dei terreni e delle case date in affitto veniva destinata, ancora all’inizio dell’’ 800, ad alleviare la nera povertà dell’ “ultima classe”: agli infelici membri di questa “classe” i frati fornivano, con frequenza, pane, pasta, castagne e “fiaschi dell’oglio” prodotto dagli oliveti della Scavolella e della Trofa. Barili “acconci” di quest’olio risultano inviati , nella seconda metà del ‘700, anche ai Carmelitani di Napoli, e talvolta anche con tre “carichi” nello stesso anno.Il trasporto i frati lo affidavano spesso ai carrettieri della famiglia Ragosta. Nel 1802 i rettori del convento di Ottajano, fra Carmelo Postiglione e fra Alberto Cerchia, aiutarono anche il carrettiere “mercatante” Giovanni Peluso di San Lorenzo, caduto in una improvvisa e assoluta povertà da quando, aggredito dai “grassatori” sulla strada che da Palma portava a Ottajano, aveva perso il carico di tessuti, il carro e, soprattutto,i tre cavalli, fondamento del suo “benessere”. Ai figli degli “umili” e anche a quelli della così detta piccola borghesia, che si veniva formando nella seconda metà del ‘700, i Carmelitani insegnarono a leggere, a scrivere, e a far di conto, e negli ultimi anni del secolo, anche a costituirsi in coro e a cantare, durante i riti sacri, le lodi della Madonna del Carmine.Le lezioni si tenevano accanto al Convento di San Francesco di Paola – oggi è il Municipio di Ottajano – in un “basso con camera sopra, loggia, cortile, pozzo e forno”, acquistato, nel 1705, per 185 ducati, da uno straordinario personaggio, Elia del Re, “relegato” dall’Ordine a Ottajano, come priore perpetuo del monastero. Agli inizi dell’’800 il “basso” risulta dato in affitto a Giovanni Sirico, che vi aprì una bottega di “baccalari”. La medicina delle erbe costituiva un aspetto importante dell’attività che l’Ordine svolgeva a favore degli “umili”: nei primi anni del ‘700 era diventata famosa in tutta Italia, come rimedio contro i disturbi nervosi, l’acqua di melissa creata dai Carmelitani. Anche nel giardino del monastero ottajanese c’erano siepi di erbe medicinali, intorno al pozzo da cui i frati attingevano l’acqua: nel 1725 avevano firmato con gli amministratori del Comune un atto che dava ufficialità a una consuetudine: da almeno 30 anni i Carmelitani consentivano agli abitanti dei quartieri San Giovanni e Ponte di San Michele di attingere acqua dalla cisterna del giardino. Il Comune si era impegnato, con quell’atto, a provvedere ai lavori di manutenzione e a non dedurne, in nessun modo, diritti di proprietà. In un documento del 1792 frate Giovanni Casola scrive di aver chiesto ai Carmelitani di Napoli “unguenti” e pomate per le piaghe che affliggevano il “fornaro” Gaspare Ammendola, il “tavernaro” Antonio Sepe e Francesco Alaja, “ferracavallo” nel quartiere San Lorenzo: di quelle piaghe erano colpevoli il ferri roventi del mestiere. Invece “acque sante” e “le note essenze” vennero chieste per curare la febbre di due “canapari” – il nome non viene indicato – e del “basolaro” Vincenzo De Rosa. Anche quando i Carmelitani andarono via, i parroci della Chiesa di San Giovanni rispettarono le tradizioni e durante la processione della Madonna del Carmine permisero che i malati venissero stesi su giacigli lungo le strade che dalla Chiesa portano verso il centro di Ottajano, nella speranza che la Madre del Carmelo ascoltasse le preghiere e  restituisse loro la salute. Importante fu il ruolo dei “portatori” che reggevano la statua della Madonna durante la processione: non a caso abbiamo dedicato ad essi l’immagine che correda l’articolo. Ma ne parleremo la prossima volta.