“La genealogia del filosofo Giambattista Vico”, il nuovo libro di Nicola Pesacane

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Un posto a se, nel pensiero della filosofia moderna, spetta senza dubbio al napoletano Giambattista Vico (23 giugno 1668 – 23 gennaio 1744), per l’originalità del suo pensiero denso di futuri sviluppi. Il lavoro originale di Nicola Pesacane, tuttavia, getta luce sulla genealogia del noto filosofo, storico e giurista, risaltando l’aspetto biografico e familiare, in parte inedito.   

 

Nicola Pesacane nasce a Napoli nel 1962, dove vive e compie i suoi studi umanistici, dapprima presso il Liceo classico Umberto I e, successivamente, presso l’ Università Federico II, dove si laurea in Giurisprudenza nel 1988. Perfeziona i suoi studi non solo nel campo forense ma, anche, in quelli araldici, genealogici, nobiliari e cognonomastici, che diventeranno, con il trascorrere degli anni, il suo interesse primario. Nel 2012, infatti, consegue i titoli accademici di Master in Diritto Nobiliario e Cavalleresco, Araldica e Genealogia presso l’ Università statale di Madrid. Numerose sono le sue pubblicazioni in merito, tra cui spicca Introduzione alla Genealogia e all’ Araldica. L’Istituto Nobiliare nel Regno di Napoli, scritto unitamente ad altri studiosi (F. Ciufo, P.F. degli Uberti, M. Crisconio e M. Ulino).

La genealogia sul filosofo Giambattista de Vico risulta essere un’opera di assoluto interesse storico, in quanto mancavano ancora all’appello altri tasselli per completare la vita di questo grande personaggio dell’età dei lumi. L’ origine e il significato del cognome de Vico, divenuto Vico, è una ricerca che Nicola Pesacane ha svolto meticolosamente, consultando i libros baptizatorum delle parrocchie di Sant’Aniello e di San Benedetto a Maddaloni, oltre ai registri matrimoniali.

Figlio del modesto libraio Antonio de Vico – proprietario di una bottega a San Gregorio Armeno – e di Candida Masullo, Giambattista fu battezzato nella vicina Chiesa di San Biagio. Da sposato, visse dapprima in vico dei Giganti e alla sua morte fu sepolto nella Chiesa dei Girolamini in via dei Tribunali. Alternò a lungo gli studi presso i gesuiti e da autodidatta. Si dedicò, successivamente, alle discipline legali, iscrivendosi alla facoltà di Giurisprudenza di Napoli. Conseguita la laurea, si appassionò al legame tra diritto e filosofia. Nel 1699, ottenne la cattedra di retorica all’ Università di Napoli che gli permise di affittare una piccola casa in vico dei Giganti, tra via Tribunali e via Anticaglia, e metter su famiglia. Le case, comunque, ove dimorò Vico furono otto. L’ultima abitazione del filosofo è stata scoperta proprio da Nicola Pesacane, analizzando attentamente documenti ingialliti del passato: un quartino di proprietà dei padri Teatini al numero 9 di via SS. Apostoli, quasi di fronte all’imbocco del vico Santa Maria Vertecoeli, dove il filosofo trascorse gli ultimi mesi della sua vita e dove morì il 23 gennaio del 1744. Particolare rimane il funerale e la sua sepoltura. Le sue esequie furono turbate da un’ insolita disputa tra i confratelli della Congrega dei Bianchi di Santa Sofia, alla quale Vico era iscritto, e i docenti dell’ Università di Napoli, colleghi del defunto, su chi dovesse portare i fiocchi della coltre mortuaria. Dopo un violento alterco, tipico dell’epoca, la bara venne riportata a casa e, solo il giorno dopo, il figlio Gennaro riuscì a far celebrare i funerali.

A riguardo, successivamente, una lapide in memoria fu posta nella chiesa dei Girolamini proprio dal figlio Gennaro. Si racconta che in vita il filosofo fosse stato insignito del titolo di Conte Palatino: un’ illustre carica onorifica papale. Tale notizia, comunque, è smentita dall’autore in relazione al fatto che il filosofo avrebbe dovuto essere in possesso di un appropriato stemma, che sulla lapide invece non fu mai aggiunto.

Vico, una curiosità al di fuori del libro, ebbe rapporti stretti con i marchesi Rocca di Vatolla: Geronimo Rocca, vescovo di Ischia, fu mecenate del filosofo e gli diede l’incarico di precettore dei suoi nipoti; l’allievo Saverio Rocca, scagionato dal Vico all’epoca della congiura di Macchia in quanto sarebbe stato trascinato nella rivolta fallita da Antonio Carafa detto Malizia; il marchese Orazio Rocca, proprietario della Masseria Ciciniello della Terra di Somma, come appare  attestato nel catasto onciario del 1744, con cui il filosofo ebbe un contatto diretto, come afferma il Dott. Domenico Russo. A tal riguardo, Vico non solo definì il valente magistrato Orazio vir iuris scientia praestantissimus, ma compose per lui un’ eloquente epigrafe riportata nei suoi scritti pubblicati nel 1840 da Giuseppe Ferrari nella sezione opuscoli al vol. IV.

Un libro strepitoso, originale e ricco di aneddoti, che farà letteralmente spalancare gli occhi di meraviglia agli appassionati di storia, di araldica e genealogia.