Se pensavate ai numeri greci come esorbitanti dovrete ricredervi, guardando a quelli della Cina.
Sembra tutto finto, aleatorio, lontano dall’economia reale. Ma come al solito, gli effetti di una bolla finanziaria che scoppia sono estremamente reali.
Cos’è una bolla? Un gonfiarsi di aspettative e di entusiasmi che portano la volontà a comprare degli investitori a livelli altissimi, i prezzi salgono e i numeri non rispecchiano più il vero andamento e i risultati delle aziende sottostanti i titoli azionari. Ad un certo punto, qualcuno (più o meno consapevolmente) decide che i prezzi sono troppo alti, che hanno raggiunto il picco massimo e quindi non potranno che diminuire: questo è il momento adatto per vendere. Qui si innesca il meccanismo perverso tale per cui tutti, anche gli investitori più specializzati, non possono far altro che seguire il mercato e vendere: la bolla è scoppiata.
Vendere equivale a comunicare ai mercati la mancata volontà di detenere quel titolo; i mercati percepiscono un succedersi di vendite come una notizia estremamente negativa e i prezzi (effettivamente) scendono.
Nella microstruttura dei mercati finanziari è cruciale la convivenza di investitori disinformati e “insiders”: maggiore la proporzione di questi ultimi, maggiore il contenuto informativo delle transazioni e quindi maggiore dovrebbe essere l’influenza sui prezzi. In realtà, i mercati sono ben lontani dall’essere trasparenti, il che rende difficile distinguere i due tipi di investitori.
È chiaro, quindi, come i driver delle crisi finanziarie non sono mai economicamente “reali”.
La bolla cinese, in questo momento, sta scoppiando.
I numeri del crollo sono paragonati alla crisi del ’29 e il panico diffusosi alla crisi dotcom di fine anni ‘90.
La bolla si era formata un anno fa, quando la borsa di Shangai era cresciuta del 150%: il valore di ogni azione, in media, era più che raddoppiato in soli 12 mesi.
Dal 12 giugno i prezzi hanno cominciato a scendere: lo Shanghai Stock Exchange Composite Index ha perso il 28%. Il valore eroso dalle azioni cinesi è di circa 3.900 miliardi di dollari, vale a dire 16 volte il Pil della Grecia e 10 volte il suo debito pubblico.
Il governo cinese ha messo in atto una serie di misure “contenitive”, per evitare speculazioni e un ulteriore tracollo della borsa.
Per ridurre le vendite sono state sospese 1.400 azioni: per sei mesi sarà vietato vendere titoli per chiunque abbia partecipazioni azionarie superiori al 5%.
Le IPO (meccanismo attraverso il quale le aziende si quotano in borsa per la prima volta) sono state bloccate, per evitare un’eccessiva ed ulteriore perdita di capitalizzazione aziendale.
Per alimentare la ripresa del mercato sono state promesse massicce iniezioni di liquidità, in particolare sono stati autorizzati nuovi metodi di indebitamento per permettere agli investitori di operare sul mercato finanziario.
Fortunatamente la particolare struttura della borsa di Shangai, altamente regolamentata e controllata, rende il numero di investitori occidentali nel mercato cinese non altissimo, ragion per cui il panico non si è diffuso nel mercato europeo ed americano. Anche se gli investitori cinesi nel mercato occidentale non sono pochi, quindi un eccessivo rallentamento dell’economia cinese potrebbe ridurre l’afflusso di denaro.
Più grande, e grave, è il problema all’interno della Cina stessa. Sulla scia di un eccessivo entusiasmo moltissimi piccoli investitori (disinformati e inconsapevoli), convinti della facilità di guadagno, hanno cominciato ad entrare nei mercati: se la bolla scoppia saranno proprio questi ultimi a subire i maggiori danni.