Ieri la protesta dei lavoratori della multinazionale svedese in tutta Italia. Ad Afragola lo sciopero più riuscito.
In Italia Ikea disdice unilateralmente il contratto integrativo. Condizioni di miglior favore, adeguamenti in danaro: tutto azzerato, a partire dal primo settembre prossimo. Intanto la paura di vedere più smunto del solito il già magro salario s’impadronisce di molti lavoratori. E ieri, sabato, seconda ondata di scioperi nei 21 punti vendita del comparto italiano della multinazionale svedese del mobile “ fai da te ”, dopo la prima raffica di astensioni messe a segno all’inizio di giugno. Sciopero per tutto il giorno anche a Napoli e in Campania, nel negozio di Afragola, località Cantariello, due passi dalla strada degli americani, e in quello di Baronissi, porta settentrionale di Salerno. Ma è nel negozio di Afragola che si consuma la protesta più dura e partecipata dell’intero stivale. Qui infatti lo sciopero determina la chiusura anticipata dell’impianto. Saracinesche abbassate alle 18 e 30 invece che alle 21. Nel grande impianto partenopeo le ostilità iniziano all’alba, con il presidio sindacale installato da Uiltucs, Filcams-Cgil e Fisascat-Cisl davanti al varco d’entrata, bandiere delle tre organizzazioni piazzate su tutto il perimetro del grande impianto giallo e blu.
Le danze vere e proprie si aprono però alle 9, ora del via libera all’ingresso dei clienti. I lavoratori in sciopero, sono tanti, stendono sull’uscio d’ingresso le loro magliette aziendali. “Se calpestate queste magliette, calpestate i nostri diritti”, spiegano i manifestanti alla gente che si avvicina. Ma l’appello cade nel vuoto. La gente quelle magliette le calpesta senza battere ciglio. “ Vergogna ”, gridano gli scioperanti. Una disperazione che Maria, 34 anni, spiega così: “ Ho due figli da mantenere e sono sola: la disdetta del contratto integrativo mi toglierà 120 euro dai 750 euro che prendo ogni mese. Sarà una tragedia per me e soprattutto per i miei bambini ”. Tina, collega di Maria, ha preparato il testo per una canzone, “ Bella ciao ”. La canzone del partigiano è stata riveduta e corretta alla bisogna. “Una mattina mi son svegliato e diritti ciao, ciao, ciao ”, cantano i lavoratori in assetto da protesta, alcuni bimbi al seguito. Sono circa duecento. A un certo punto, mentre continuano a cantare, entrano nel negozio e sfilano in corteo tra mobili, tende e suppellettili. Faranno questo per ore, fino allo sfinimento. “ Vedete ? Sono entrato ma non ho comprato niente ”, rassicura all’uscita un cliente mancato nonché simpatizzante pro sciopero. E giù applausi. Le ore passano e i disagi aumentano. File enormi alle poche casse aperte, dove l’azienda ha spedito tutti quelli che lavorano negli uffici. “ Non ci sono mai quando servono davvero – la stizza di Pietro e Luigi, due scioperanti sulla quarantina – ma ora vanno a sgobbare alle casse, pronti a svolgere mansioni che hanno sempre evitato ”. All’interno una ragazza, nemmeno trentenne, Marianna, impeccabile in divisa, continua a lavorare come se nulla fosse, a pochi passi dai manifestanti.
“Perché non sciopero ? Perché mi fido della mia azienda ”, confessa, sguardo deciso e ambizioso. Marianna chiama al telefono il direttore, Anthony Joseph Iuliano, 43 anni, di Salerno. “ Ikea non vuole togliere i diritti – spiega al microfono – si tratta semplicemente di adeguare i costi alle nuove condizioni, per garantire lo sviluppo. Questo è un gruppo che ha voluto la pensione integrativa per i suoi collaboratori, che a Napoli ha investito 1milione e 200mila euro per migliorare il ristorante”. Nel frattempo per uno scherzo del destino l’altoparlante interno comunica: “Oggi il ristorante resterà chiuso”. Alla fine è la solita guerra della cifre. I sindacati parlano di adesione allo sciopero dell’80 %. L’azienda invece dirama un comunicato di segno opposto: “ tutti i negozi italiani sono rimasti aperti e in buona parte di essi l’adesione è stata scarsa o nulla ”. Tutti aperti. Tranne che a Napoli. Prossimo faccia a faccia sulla vertenza: il 22 luglio, a Bologna.