Dite la verità, oltre ad Artemisia Gentileschi, ricordate il nome di qualche altra artista? E per quanto tempo ancora vogliamo raccontarci la favola che le donne, non avendo per secoli lo stesso accesso all’istruzione degli uomini, non hanno potuto neanche esprimersi artisticamente? La realtà, in questo come negli altri campi, dalla letteratura alla musica, è che la Storia l’hanno sempre scritta i vincitori e i potenti, cioè il genere maschile, e così come nei programmi scolastici ministeriali, nei grandi premi letterari e nelle giurie le autrici continuano ad essere oscurate, anche nelle biblioteche e nei manuali di studio i nomi femminili sono veramente pochi. E se a parole sono tutti bravi a prendere iniziative per realizzare le famose “pari opportunità”, nella realtà sono sempre necessari sforzi individuali, progetti speciali, per creare fondi dedicati nelle biblioteche, percorsi di studio più equilibrati e per portare, all’interno dei percorsi formativi, l’attenzione sulle questioni di genere. Ma se a fronte di questi sforzi la risposta delle istituzioni, degli “altri”, al di là dei proclami, è una sorta di tolleranza benevola, si finisce per perpetuare lo status della donna di “genere protetto”, cioè bisognoso di speciale attenzione. Si finisce cioè per riprodurre proprio lo schema culturale da cambiare. Lo sa bene chi come la professoressa Maria Cristina Antonini, docente di pittura e tecniche performative all’Accademia di Belle Arti di Napoli, lavora da anni in questa direzione.
Da cinque anni, in particolare, porta avanti il progetto Donne ad Arte, per la creazione, all’interno della bellissima biblioteca Anna Caputi dell’Accademia, di un fondo dedicato alle artiste, che ora, grazie alle donazioni delle artiste, ma anche di musei, associazioni e case editrici, è arrivato a quasi quattrocento volumi. Ogni anno Donne ad Arte viene affiancato da un altro progetto formativo, le cui prove d’opera vengono presentate in un evento aperto al pubblico. In questi anni, intorno alla professoressa si è formato un affiatato gruppo di lavoro, rigorosamente al femminile, che ha voluto denominarsi, affettuosamente, il gruppo de “Le fanciulle”.
“Non vogliamo menzionare i nomi individuali”, mi dice una “fanciulla”, “perché di anno in anno la composizione del gruppo cambia: qualcuna arriva, qualcuna va via. Ma tutte continuano ad appartenere al gruppo. Ad essere “fanciulle”.
Nel 2014, il primo anno, il progetto è stato “Abito, abitare, abitando” con la partecipazione delle Donne in nero di Napoli. “Mentre un popolo finiva la diaspora, un altro la cominciava…mentre l’uno cercava casa, l’altro la perdeva, in mezzo l’abitare, cioè la vita in estrema sintesi”, dice Erminia Romano delle DIN. Il prodotto finale del laboratorio è stato uno striscione, costruito con tante “pezze”, ritrovate, scelte, ritagliate e cucite insieme, ognuna con una storia, un significato particolare che veniva “portato” nel lavoro comune, attraverso il racconto e la comunicazione al gruppo. Ognuno ha donato una pezza che amava, perché questo è il senso del dono. In questo modo non solo si è creato uno striscione denso di contenuti, ma si sono anche costruite relazioni nuove. E la performance finale, di cui esiste un bel video, ha visto tutti i partecipanti, in nero, pronunciare in tante lingue il messaggio “Fuori la guerra dalla Storia”.
Il 2016 è stato l’anno di Donne in viaggio. “Per questo progetto”, dicono Federica e Mary, “ abbiamo incontrato donne immigrate, provenienti da diverse parti del mondo. Abbiamo lavorato insieme a studentesse della Federico II, coordinate dalla Prof. Francesca Marone, docente di Educazione all’immagine. Ci ha aiutato anche Ilaria Moscato”. Nel 2017, su richiesta della V Municipalità (Vomero), il progetto è stato “Donne in panchina”. L’idea era intendere la panchina non nel senso calcistico di “riserva”, ma come risorsa, come luogo di incontro. I bei volumetti realizzati dalle allieve, con le foto di Ilaria Moscato, contengono tutte le proposte del gruppo per la trasformazione delle panchine (purtroppo non ancora realizzate, anche se comporterebbe poca spesa).
“Penso sempre”, dice Maria Cristina Antonini, “a recuperare le parole delle donne e trasformarle in oggetti”.
Ogni anno, poi, in occasione dell’8 marzo e del 25 novembre all’Accademia la professoressa organizza un evento, un concerto, una lettura, un film, in modo che le questioni di genere non passino mai sotto silenzio.
Ora i volumi raccolti hanno anche una libreria a vetri dedicata, in un angolo della sala principale della biblioteca Anna Caputi. Ma quanta fatica!