L’etimologia della parola “struffoli”. Catone parla, nel “De agri cultura” (composto intorno al 160 a.C.), di struffoli e di mostaccioli, di mostaccioli parla anche Ateneo (III sec.d.C.). I valori simbolici delle scorze di limone e di arancio negli struffoli “moderni”. Correda l’articolo l’immagine del quadro di Alma Tadema “Le rose di Eliogabalo”.
Per qualcuno vengono dalla Spagna, per altri dalla Grecia antica e da lì portati a Napoli, la più greca delle italiche città. Molti fanno derivare il nome dall’aggettivo del greco antico “stroggùlos”, “rotondo, arrotondato”. Credo, invece, che il nome derivi, sì dal greco, ma da “streph”, radice del verbo “strépho”, “volgere, avvolgere”, da cui “stròphos”, “striscia, nastro” e “strophé”: e da qui l’italiano “strofa”. Insomma, i Greci non vollero sottolineare solo l’immagine della “rotondità”, ma anche quella della “pressione” che innesca l’arrotondarsi. Catone nel “De agri cultura” li chiama “globuli” e ne dà anche la ricetta: “Mettere in un recipiente del formaggio e della farina di farro in parti uguali. Mescolare e amalgamare con cura. Con il composto fare tanti piccoli “globi”. Versare dello strutto in una padella precedentemente riscaldata e friggervi i “globi” in quantità tali da poter essere agevolmente girati nella fase di cottura. Quando risultano convenientemente dorati, scolarli, spalmarli di miele e grattugiarvi sopra del papavero.”: Per i mostaccioli, che Catone chiama “mustacei”, ricordando che un “buon mosto” è l’ingrediente fondamentale, si consiglia di “cucinarli al forno su teglie su cui sarà stato depositato uno strato di foglie d’alloro precedentemente lavate e ben asciugate” (la traduzione è di Francesco Maria Amato). I Romani attribuivano all’alloro “virtù” quasi miracolose, e, in particolare la proprietà di favorire la digestione anche dei “piatti” più pesanti.
L’alloro era, come ci dice il mito di Dafne, una pianta cara ad Apollo, che la scelse per intrecciare le corone assegnate ai vincitori delle gare di Olimpia e ai poeti “laureati”: era segno d’amore e perciò – ce lo conferma Giovenale – i Romani ritenevano indispensabile la sua presenza ai banchetti matrimoniali. Ateneo parla di due tipi di mostaccioli: l’uno al sesamo, l’altro “condito” con vino passito, pepe e ruta: tutti, ingredienti, diciamo così, “matrimoniali”. L’idea che sta alla base degli struffoli di oggi fu disegnata da Ippolito Cavalcanti duca di Buonvicino nella settima edizione della sua “Cucina teorico- pratica” data alle stampe nel 1852.
Il duca sottolinea l’importanza di due ingredienti già citati nell’edizione del 1847, la scorza di limone e la scorza di “portogallo”, di arancia. Il compito di amalgamare le urtanti note di sapore degli agrumi è affidata, nella realtà e nel simbolo, alle uova. L’arancia è “segno” di gioia e di luce, il limone rappresenta invece la generosità e la fedeltà nell’amore, ma era anche considerato un antidoto contro il veleno e le insidie dell’invidia e del male. E dunque gli struffoli cosparsi di confettini di ogni colore ci dicono che nel nostro aprirci al mondo non dobbiamo mai distrarci: al di là della liea amara rappresentata dal limone è indispensabile proteggerci con il “sole” della nostra intelligenza e di una corretta percezione delle cose. La perfezione è sferica, come l’ordine del cosmo: ma questa “sfera” va consolidata con grande attenzione.