Le ricette di Biagio. Tagliatelle alla “luna rossa”, con “caso muscio” e pancetta.

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Imitazione e variazione nell’arte della cucina e nella storia della canzone: con “Anema e core” e con “Luna Rossa” si passò dai poeti ai parolieri. L’ originalità della ricetta: l’uso del “caso muscio” e l’abbinamento con il “Mòdà” dei Sorrentino.

Ingredienti: gr. 400 di tagliatelle; una fetta di 100 gr. di pancetta; gr. 200 di caso muscio irpino; gr. 50 di burro; grani di pepe; uno spruzzo di parmigiano grattugiato; sale.
Dopo aver cotto al dente le tagliatelle, e averle scolate con cura, riponetele in una zuppiera, condite con il burro, e mischiate. Aggiungete la pancetta tagliata a strisce corte e sottili, ‘o caso muscio diviso in piccoli dadi e il pepe, e impastate ancora. Dopo aver versato il tutto in una teglia da forno, già calda e velata lievemente di burro, coprite le tagliatelle con uno spruzzo misurato di parmigiano: la teglia va messa nel forno, ove resterà per 6-7 minuti. Si suggerisce l’abbinamento con il “Modà” dell’azienda Sorrentino.

Biagio Ferrara

Diceva Goethe che all’inizio ci sono Omero e i tragici greci: il resto della letteratura occidentale è solo imitazione: quel tipo di imitazione che si appropria della sostanza delle cose, ma mette nella veste un tocco di novità, un bottone, un colore, un merletto. Qualcosa di simile ha fatto, nel quadro che correda l’articolo, Ivan Ajvazovskìj, un pittore russo la cui vita coprì tutto il secolo XIX: ha “impaginato” l’immagine del golfo di Napoli ispirandosi alle solari inquadrature del suo connazionale Scedrin e di Pitloo, e ha immerso il tutto nei colori dei notturni di Caspar David Friedrich: che sono colori freddi, imbronciati, minacciosi. Ma il problema è complesso. Forse ha ragione chi dice che in arte l’imitazione non è possibile: uno straordinario personaggio inventato da Borges, Pierre Menard, ebbe l’ambizione estrema e “mirabile” di “produrre alcune pagine che coincidessero – parola per parola e riga per riga – con quelle di Miguel de Cervantes”. Queste pagine “coincidenti” non si può dire che fossero una meccanica trascrizione del testo di Cervantes: certo, le parole corrispondevano, una per una: ma Menard, uomo del sec.XX, vi trovava e vi metteva significati che Cervantes non avrebbe mai immaginato.

Il piatto proposto da Biagio è la variante creativa di uno schema classico, in cui la pasta lunga, un salume dal sapore largo e pacato, un formaggio a pasta molle, e la sapiente forza del fuoco che scioglie e addensa concorrono, con l’aiuto di ingredienti secondari, a formare un equilibrato “composto”. Ma c’è chi usa al posto delle tagliatelle gli spaghetti, e sostituisce il caso muscio con la caciotta, e con il prosciutto cotto la pancetta. La percezione primaria è sostanzialmente la stessa, perchè alla fine è la pasta che detta il ritmo, ma le percezioni secondarie possono anche risultare nettamente diverse: ciò dipende anche dalla mano del cuoco, dalla qualità del cacio e, infine, dalle virtù del vino che accompagna il piatto.

Biagio ha proposto il “Mòdà” dell’ Azienda Sorrentino, un piedirosso vivace, la cui piacevolezza non è mai banale, la cui rotondità non è mai scolastica, e che mi pare abbia sostenuto e ingentilito con la sua eleganza la morbida e densa presenza della pancetta e del caso muscio irpino. Il vigore del “Mòdà” ha perfettamente bilanciato l’inclinazione del piatto verso un sapore pacioso e flemmatico, dettato dalle tagliatelle e dal caso muscio, verso una pacatezza di timbro che era più forte del pepe e dello spruzzo di parmigiano.
Resistendo alle pressioni di altri “artisti” della cucina che gli suggerivano – e qualcuno gli intimava – di usare la caciotta romana invece che l’insidioso ” caso muscio“, e mettendo in tavola il “Mòdà” dell’ Azienda Sorrentino, Biagio ha dimostrato di essere consapevole della propria originalità, e di saperne controllare qualità e misura.

Scrive Paliotti che nel 1950, con “Anema e Core”, “canzone dalla linea melodica di gusto anglosassone”, e con “Luna rossa”, si aprì un nuovo capitolo nella storia della canzone napoletana e i parolieri presero il posto dei poeti: insomma, il testo divenne servo della musica e i temi vivi della tradizione napoletana si irrigidirono in stereotipi e luoghi comuni, contro i quali è stata condotta e ancora si conduce un’aggressione impietosa: è anche essa un luogo comune. Certo, la Napoli della canzone è piena di innamorati che di notte vanno a piangere sotto il balcone delle donne amate, ne invocano il nome, e, dopo aver rotto il sonno dei vicini, scoprono che le belle sono andate via senza lasciar traccia, ” se n’ ‘è ghiuta l’ata sera / senza me vedè”.

Ma la figura del “patetico” di “Luna rossa” presenta qualche tratto nuovo, nell’abbigliamento e nel modo di camminare: vaco distrattamente abbandonato:/ Ll’uocchie sott’ ‘o cappiello annascunnute / mane int’ ‘a sacca e bavero aizato:/ vaco siscanno è’ stelle ca so’ asciute:.E’ la versione piccoloborghese del nobile protagonista di ” Vecchio frack”, la canzone che Modugno cantò cinque anni dopo.

L’ OFFICINA DEI SENSI