Le ricette di Biagio. Il menù alla Marechiaro. Dopo i purpetielli, le sfogliatine di Sabatino

0
247

Le linguine con pannocchie, i purpetielli affogati e le sfogliatine celesti. Anche quando guarda al mare la cucina napoletana non dimentica la terra. L’importanza degli ingredienti. Il pane “saporito”. L’autorevolezza del lacryma bianco di De Falco.

Linguine con pannocchie di mare (cicale): 500 gr. di linguine,500 gr. pannocchie ,250 gr. di pomodorini, aglio, olio, rucola, peperoncino, ½ bicchiere di lacryma christi del Vesuvio bianco di De Falco.

Pulite le pannocchie e incidetele sopra e sotto, disponetele in un tegame con aglio ed olio, fate soffriggere per circa 5 minuti versate il vino, e dopo che il vino è evaporato, aggiungete i pomodorini. Intanto calate le linguine, aspettate che siano cotte al dente, unitele al sugo, fate amalgamare il tutto, e servite aggiungendo una spruzzata di rucola.

Purpetielli affogati: 1 kg. di purpetielli, 500 gr. di pomodorini , 100 gr di olive di Gaeta , una “palata” di pane “cafone”, capperi, aglio, olio,un bicchiere di lacryma christi del Vesuvio bianco De Falco, peperoncino e prezzemolo.

In un tegame di terracotta mettete tre spicchi d’aglio, olio, capperi e olive, fate soffriggere per circa 5 minuti, disponete con ordine i purpetielli, dopo 15 minuti aggiungete i pomodorini e fate cuocere per circa 20 minuti , intanto con le fette di pane preparate delle bruschette, su cui servirete i purpetielli dopo averli cosparsi con uno spruzzo di prezzemolo.
Ai due piatti si abbina il lacryma christi bianco dell’azienda De Falco.

Biagio Ferrara

I “piatti” di un pranzo sono come le scene di un testo teatrale: hanno un valore in sè, e vengono esaltati, o sminuiti dall’insieme. Il pranzo è un sistema fatto di sistemi, perchè anche il singolo piatto è, avrebbe detto Aristotele, un organon: a realizzare la perfezione di questo “organismo” concorre ogni suo elemento. La squisitezza dei “purpetielli” affogati dipende dalla freschezza dei molluschi e dall’arte del cuoco, prima di tutto: ma può essere danneggiata da una sola oliva che nasconda in sè una punta di acido, e da un aglio velenoso, e da un cappero bizzarro. E perciò Biagio pretende che le bruschette siano fatte dal pane che un fornaio di Palma Campania prepara con “il criscito” e cuoce sia con il forno a legna che con il forno elettrico: è pane che merita il suo nome, “saporito”.

Biagio usa, nella cottura, il lacryma christi del Vesuvio bianco di De Falco, e lo consiglia in abbinamento ai piatti: e tutti i commensali sono d’accordo, perchè questo lacryma è degno della sua storia – a San Sebastiano lo producevano già nel secondo Ottocento i Conti di Pianura e i Figliola -ed è degno della sua fama: con la sua elegante autorevolezza e con il profumo classico e rigoroso della mandorla mette ordine nel mobile fascio di odori profumi sentori e sapori, sensoriali e memoriali, che vengono su e sono suscitati dai piatti in tavola e dai tegami che cicalecciano sui fornelli. E’ un “bianco” solido, e mai monotono: libera dal suo corpo toni e vibrazioni che corrispondono in perfetta armonia con il sapore compatto delle pannocchie e con i profumi “friccecarielli” dei polipetti: e quando gusto una fetta di pane “saporito” intinta nel vino, sento che il coda di volpe riscalda la sua asciuttezza e che il sentore di mandorla diventa più intenso e persistente.

Da qualche tempo Biagio tende ad accordare i piatti per antitesi: le cicale di mare e i purpetielli hanno timbri diversi: quelle sono coerenti e affidabili, questi sono mobili e insidiosi. Ma ci fa notare, il cuoco, che anche in questo menù di mare alla fine è sempre la terra che comanda: e non solo attraverso le linguine, ma anche con il pane, con i pomodorini, con il vino, con il peperoncino, con le invadenti olive di Gaeta. E per accentuare l’antitesi, alla fine, quando viene il momento del dolce, lo chef porta in tavola le sfogliatine ricce di Sabatino Sessa, Maestro pasticciere di Ottaviano.

Regale è la delicatezza di queste sfogliatine: la crema e la sfoglia sono un tutt’uno, un solo luminoso sapore, una sola morbidezza che come la voce di una soprano modula, in un attimo, e con celeste naturalezza, più note: dal mare alla terra, dalla terra al cielo di questo boccone di Venere che è la sfogliatina di Sabatino.
Nella pittura e nella canzone napoletane spesso il mare non esiste di per sè, ma solo come specchio della terra e degli umori degli uomini. Nei quadri di Leon Giuseppe Buono – uno è riprodotto a corredo dell’articolo – nel mare si specchia l’immobilità dei muri e delle barche: a muoversi -ma è l’illusione di un movimento – sono solo le linee spezzate dei riflessi.

Nella canzone “Marechiare” le onde fanno da specchio ai garofani e alla finestra. Raccontò l’Artieri che Di Giacomo era infastidito dal successo della sua più nota canzone: riteneva che la fama non fosse meritata, e agli amici diceva: ” ‘A tengo ‘ncopp’ ‘o stommaco”. Non possiamo dire la stessa cosa del pranzo preparato da Biagio. La canzone e il disgusto del poeta meritano una riflessione a parte.

(Foto: L.G. Buono, il porto di Pozzuoli)

L’OFFICINA DEI SENSI