Le linguine con pannocchie, i purpetielli affogati e le sfogliatine celesti. Anche quando guarda al mare la cucina napoletana non dimentica la terra. L’importanza degli ingredienti. Il pane “saporito”. L’autorevolezza del lacryma bianco di De Falco.
>Linguine con pannocchie di mare (cicale): 500 gr. di linguine,500 gr. pannocchie ,250 gr. di pomodorini, aglio, olio, rucola, peperoncino, ½ bicchiere di lacryma christi del Vesuvio bianco di De Falco.
Pulite le pannocchie e incidetele sopra e sotto, disponetele in un tegame con aglio ed olio, fate soffriggere per circa 5 minuti versate il vino, e dopo che il vino è evaporato, aggiungete i pomodorini. Intanto calate le linguine, aspettate che siano cotte al dente, unitele al sugo, fate amalgamare il tutto, e servite aggiungendo una spruzzata di rucola.
>Purpetielli affogati: 1 kg. di purpetielli, 500 gr. di pomodorini , 100 gr di olive di Gaeta , una “palata” di pane “cafone”, capperi, aglio, olio,un bicchiere di lacryma christi del Vesuvio bianco De Falco, peperoncino e prezzemolo.
In un tegame di terracotta mettete tre spicchi d’aglio, olio, capperi e olive, fate soffriggere per circa 5 minuti, disponete con ordine i purpetielli, dopo 15 minuti aggiungete i pomodorini e fate cuocere per circa 20 minuti , intanto con le fette di pane preparate delle bruschette, su cui servirete i purpetielli dopo averli cosparsi con uno spruzzo di prezzemolo.
Ai due piatti si abbina il lacryma christi bianco dell’azienda De Falco.
>Biagio Ferrara
I “piatti” di un pranzo sono come le scene di un testo teatrale: hanno un valore in sè, e vengono esaltati, o sminuiti dall’insieme. Il pranzo è un sistema fatto di sistemi, perchè anche il singolo piatto è, avrebbe detto Aristotele, un >organon: a realizzare la perfezione di questo “organismo” concorre ogni suo elemento. La squisitezza dei “purpetielli” affogati dipende dalla freschezza dei molluschi e dall’arte del cuoco, prima di tutto: ma può essere danneggiata da una sola oliva che nasconda in sè una punta di acido, e da un aglio velenoso, e da un cappero bizzarro. E perciò Biagio pretende che le bruschette siano fatte dal pane che un fornaio di Palma Campania prepara con “il criscito” e cuoce sia con il forno a legna che con il forno elettrico: è pane che merita il suo nome, “saporito”.
Biagio usa, nella cottura, il lacryma christi del Vesuvio bianco di De Falco, e lo consiglia in abbinamento ai piatti: e tutti i commensali sono d’accordo, perchè questo lacryma è degno della sua storia – a San Sebastiano lo producevano già nel secondo Ottocento i Conti di Pianura e i Figliola -ed è degno della sua fama: con la sua elegante autorevolezza e con il profumo classico e rigoroso della mandorla mette ordine nel mobile fascio di odori profumi sentori e sapori, sensoriali e memoriali, che vengono su e sono suscitati dai piatti in tavola e dai tegami che cicalecciano sui fornelli. E’ un “bianco” solido, e mai monotono: libera dal suo corpo toni e vibrazioni che corrispondono in perfetta armonia con il sapore compatto delle pannocchie e con i profumi “friccecarielli” dei polipetti: e quando gusto una fetta di pane “saporito” intinta nel vino, sento che il coda di volpe riscalda la sua asciuttezza e che il sentore di mandorla diventa più intenso e persistente.
Da qualche tempo Biagio tende ad accordare i piatti per antitesi: le cicale di mare e i purpetielli hanno timbri diversi: quelle sono coerenti e affidabili, questi sono mobili e insidiosi. Ma ci fa notare, il cuoco, che anche in questo menù di mare alla fine è sempre la terra che comanda: e non solo attraverso le linguine, ma anche con il pane, con i pomodorini, con il vino, con il peperoncino, con le invadenti olive di Gaeta. E per accentuare l’antitesi, alla fine, quando viene il momento del dolce, lo chef porta in tavola le sfogliatine ricce di Sabatino Sessa, Maestro pasticciere di Ottaviano.
Regale è la delicatezza di queste sfogliatine: la crema e la sfoglia sono un tutt’uno, un solo luminoso sapore, una sola morbidezza che come la voce di una soprano modula, in un attimo, e con celeste naturalezza, più note: dal mare alla terra, dalla terra al cielo di questo boccone di Venere che è la sfogliatina di Sabatino.
Nella pittura e nella canzone napoletane spesso il mare non esiste di per sè, ma solo come specchio della terra e degli umori degli uomini. Nei quadri di Leon Giuseppe Buono – uno è riprodotto a corredo dell’articolo – nel mare si specchia l’immobilità dei muri e delle barche: a muoversi -ma è l’illusione di un movimento – sono solo le linee spezzate dei riflessi.
Nella canzone “Marechiare” le onde fanno da specchio ai garofani e alla finestra. Raccontò l’Artieri che Di Giacomo era infastidito dal successo della sua più nota canzone: riteneva che la fama non fosse meritata, e agli amici diceva: ” ‘A tengo ‘ncopp’ ‘o stommaco”. Non possiamo dire la stessa cosa del pranzo preparato da Biagio. La canzone e il disgusto del poeta meritano una riflessione a parte.
(>Foto: L.G. Buono, il porto di Pozzuoli)