CREDI E LASCIA CREDERE

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Può risultare dannoso, per l”equilibrio e la salute psichica del figlio,la condotta di coinvolgimento del piccolo nella scelta religiosa del genitore

Il caso
Con sentenza, il Tribunale di Prato dichiarava la separazione tra due coniugi, disponendo l’affidamento del loro figlio minorenne, in via esclusiva al padre, di religione cattolica, e regolamentando le frequentazioni materne.
La donna impugnava la sentenza del Tribunale relativamente allo statuito regime di affidamento, al riguardo lamentando essenzialmente che, quale unico elemento di valutazione, era stata utilizzata la sua adesione alla confessione religiosa dei Testimoni di Geova.

La Corte di appello di Firenze accoglieva le lamentele della madre e disponeva l’affidamento condiviso del minore, con sua collocazione prevalente presso la madre, nell’abitazione della stessa, e con obbligo della medesima di astenersi da qualsiasi condotta di coinvolgimento del piccolo nella propria scelta religiosa. Ciò disturbava la mamma che ricorreva in cassazione.
La Suprema Corte civile , sez. I, sentenza 12.06.2012 n. 9546, respinge il ricorso.

Motivi della decisione
La donna in sede di difesa, lamenta soltanto l’imposto obbligo di astenersi da qualsiasi condotta di
coinvolgimento del minore nella propria scelta religiosa. Sostiene che il giudice non possa imporre precisi limiti ai contenuti del suo rapporto con il figlio ed alle forme della loro comunicazione ed interazione, comprimendo le prerogative materne in punto d’istruzione ed educazione della prole, discriminandola rispetto al padre (cattolico o agnostico), in ragione della sua adesione a diversa confessione religiosa, nella specie dei Testimoni di Geova, e limitando il suo diritto di professare liberamente tale sua fede in presenza del minore che prevalentemente convive con lei.

la Cassazione afferma che in caso di separazione personale dei coniugi, è consentito al giudice di fissare le modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore e di adottare ogni altro provvedimento ad essi relativo, attenendosi al criterio fondamentale rappresentato dal superiore interesse della prole che assume rilievo sistematico centrale nell’ordinamento dei rapporti di filiazione, fondato sull’art. 30 della Costituzione. L’esercizio in concreto di tale potere, dunque, deve costituire espressione di conveniente protezione (art. 31, comma 2 Cost.) del preminente diritto dei figli alla salute e ad una crescita serena ed equilibrata.

Nella specie, l’avversata limitazione appare, dunque, ineccepibilmente aderente al dettato normativo, avendo i giudici d’appello assunto a parametro di riferimento l’interesse preminente del minore, interesse che, all’esito dell’insindacabile valutazione discrezionale delle risultanze istruttorie, sorretta da puntuale ed adeguato riscontro argomentativo, hanno ritenuto pregiudicato non già per loro soggettivi pregiudizi religiosi o per i connotati propri del movimento dei Testimoni di Geova, ma per gli effetti, specificamente evidenziati, dannosi per l’equilibrio e la salute psichica del figlio, ancora in tenera età, indotti dai contegni materni conseguenti e correlati all’adesione a tale confessione religiosa ed inseritisi in un contesto di vita del minore già reso particolarmente delicato dalla separazione dei genitori.