A Ottaviano la cultura dell”odio “politico”, se c”è, non trae il suo cibo da qualche colorato manifesto anonimo. Chi lo pensa confonde l”effetto con la causa. Di Carmine Cimmino
Fu geniale la “trovata“ di Bruno Arpaia di colorare di tinte ispanoamericane il suo romanzo su Ottaviano, che era il bilancio della sua gioventù e, insieme, la riscoperta delle radici. Le radici – dichiarò lo scrittore qualche anno fa – “sono simili a un sonnacchioso morbo tropicale, che va e viene, aggrappato ai più perfidi ricordi, quelli che non hanno bisogno di madeleines per ritornare subdoli e improvvisi“..
Quella coloritura non fu solo un omaggio ai grandi maestri di una letteratura e di una civiltà, Paco Ignacio Taibo II, Gabriel Garcìa Màrquez, Carlos Fuentes, Osvaldo Soriano: fu, soprattutto, l’indizio di un’idea, con cui Arpaia si confronta da tempo: che Ottaviano, nei sussulti della lunga agonia, liberi i vapori velenosi della parte “ispanica“ della sua anima, e si costruisca uno spazio e un tempo in cui la natura si manifesta talvolta come magica, e uomini e cose risultano, contemporaneamente, episodio, circostanza e mito. Vedo che nascono associazioni per la promozione turistica della nostra città. Mi auguro che non trascurino l’importanza del turismo antropologico e che sull’ idea di Bruno Arpaia costruiscano qualcosa di originale:
che so, attraversare le tenebre di Ottaviano leggendo passi dell’ “Autunno del patriarca“ di Garcìa Màrquez, commentare i silenzi e il vuoto di strade e piazze con scelti passi dei “Racconti notturni“ di Hoffmann e trovare qualcosa che si adatti a Gogol, a Borges, a Italo Calvino. C’è molta roba: basta saper cercare. In “La mala ora“ Garcìa Màrquez racconta che in un villaggio flagellato da un’interminabile pioggia tropicale – la pioggia è la storia che si ferma nell’attesa, è lo spazio che dissolve ogni sua misura – la calma apparente viene rotta dai fogli anonimi che qualcuno ogni notte inchioda ai muri delle case. Quei fogli raccontano i vizi degli abitanti, ma non dicono nulla che tutti non sappiano già, da tempo: e tuttavia la quiete del villaggio si frantuma definitivamente sotto il colpo di fucile con cui César Montero, vittima del primo biglietto anonimo, uccide il musico Pastor: “… vide Pastor trascinarsi dall’altra parte della porta con una ondulazione di bruco su un rivolo di minuscole piume insanguinate.”.
Quali che fossero le intenzioni dell’autore (degli autori), sfogare la rabbia, offendere, ricordare, avvertire, provocare, confondere la vista e offuscare la luce facendo fumo, l’episodio dei manifesti anonimi che hanno attaccato pesantemente gli amministratori di Ottaviano è una cosa brutta assai. Brutta per l’insulto, “assassini“, brutta per il mezzo adottato per la comunicazione. Il sindaco di Ottaviano ha detto a Francesco Gravetti: vogliono avvelenare i pozzi, si alimenta la cultura dell’odio. L’avvelenamento dei pozzi da infame metodo di guerra è diventato, per via di metafora, uno strumento della logica della polemica. Durante un dibattito sull’eutanasia, prima che l’oratore X esprima la sua posizione favorevole, l’avversario Y cerca di condizionare il giudizio dell’uditorio, di “avvelenare i pozzi“, dichiarando che chiunque non sia contrario all’eutanasia non è degno nemmeno di chiamarsi uomo. Non credo che questa tattica logica c’entri con i manifesti anonimi di Ottaviano.
Il sindaco ha usato l’espressione nel suo significato generico di “comportarsi scorrettamente“. E la scorrettezza dell’anonimo è soda certezza. Deduco che il sindaco giudica invece corretta la linea di condotta che la sua amministrazione ha seguito e segue sulla questione della strada. Ricordo che i cittadini che abitano lungo via C. O. Augusto non sanno perché i lavori sono fermi, non sanno se e quando riprenderanno. Nessuno ha avuto il tempo di informarli: né con un manifesto, né per mezzo di un pubblico banditore, né lanciando volantini da un elicottero. Solo voci. Solo chiacchiere. La colpa è della Regione che non dà i soldi. Se è vero, perché il sindaco non lo comunica ufficialmente alla città? Se è vero, perché il PD, il partito del sindaco e di potenti consiglieri comunali, non solleva la questione in Consiglio Regionale?
I cittadini non sanno cosa gli amministratori pensano dei lavori già compiuti, dei budelli in cui è stato diviso il tratto piazza Municipio- piazza Rosario. Quando si esprimeranno, gli amministratori? Hanno bisogno ancora di tempo? Questa strada è un cul de sac. Giova ripetere certe cose, anche a costo di annoiare. É necessario che nei pozzi l’acqua resti sempre limpida. Il sindaco parla della cultura dell’odio. É un bel tema. Sul piano politico, la cultura dell’odio è una risposta alla cultura del disprezzo e dell’arroganza, e poggia sul sospetto che la cosa pubblica sia mossa dall’arbitrio, dall’ingiustizia, dall’interesse privato.
A Ottaviano la cultura dell’odio “politico“, se c’è, non trae il suo cibo da qualche colorato manifesto anonimo. Chi lo pensa confonde l’effetto con la causa.