Passioni, empatia e numeri della donna che oggi «governa» le Pari Opportunità in Campania.
Quarantuno anni ben portati, due figli adolescenti, una laurea in scienze politiche e una pluriennale esperienza nel sociale, Francesca Beneduce ha natali trentini ma vive fin da giovanissima nel paese di origine della sua famiglia paterna, Sant’Anastasia, in provincia di Napoli. Dal 2013 è la presidente della commissione Pari Opportunità della Regione Campania. Il suo segno zodiacale è il Cancro, ma non ne ha tutte le caratteristiche giacché è nata – e si vede – nel primo giorno della cuspide Cancro-Leone. Si sente perciò, e tanto, l’influsso del segno di fuoco per eccellenza. Per i curiosi e gli appassionati dello zodiaco, il suo tema natale è allegato alla fine di questa intervista.
Francesca, sei laureata in Scienze Politiche. Perché hai scelto questa strada e, soprattutto, ti ha portato dove volevi?
«Finito il liceo classico pensavo di diventare avvocato o commercialista ma ho finito per scegliere una strada mediana, prediligendo un corso di laurea che mi ha formato molto, con un’impronta multidisciplinare e, devo dire, con ottimi docenti. Quindi sì, sono soddisfatta della scelta».
La tua tesi aveva come tema i crimini ambientali e il tuo relatore è stato il professore Ugo Leone, ex presidente del Parco Nazionale del Vesuvio. Dimentica per un attimo l’affetto che sicuramente vi lega e dimmi cosa pensi di lui nel ruolo che ha ricoperto: quello di responsabile dell’area protetta dove vivi.
«Leone è un professore eccezionale e, pur se non sempre d’accordo con le mie convinzioni in tema di ambiente, ha mostrato la sua democraticità consentendomi di non variare la mia tesi: in pratica all’epoca lui non riteneva l’elettrosmog da annoverarsi tra i crimini ambientali ma io mantenni la mia posizione e lui mi lasciò libera di sostenerla, nonostante la visione diversa. Come presidente del Parco Vesuvio mi hanno un po’ deluso le ricadute sul territorio della sua gestione ma, conoscendone le competenze inconfutabili, direi che l’apparato burocratico non gli ha forse consentito di fare quel che avrebbe voluto davvero per i nostri territori. Perché non è il Parco a non funzionare, è il sistema, l’apparato che blocca e continuerà a bloccare le azioni».
Hai cominciato a lavorare subito dopo la laurea?
«Io ho sempre lavorato. Già da giovanissima nell’attività di famiglia, una fortuna giacché volevo sposarmi giovane e infatti così è stato, avevo 25 anni. Creare una famiglia è sempre stata la mia esigenza primaria e pensavo che per la carriera ci sarebbe poi stato tempo. I fatti mi hanno dato ragione».
Il tuo impegno negli ultimi anni si è concentrato particolarmente nel sociale, era questo che sognavi dopo il corso di studi?
«Ho lavorato ai Piani Sociali di Zona a Somma Vesuviana e Castellammare di Stabia, programmando le politiche sociali dei territori e nel ruolo di amministrativo contabile. Mi sono immersa nella gestione integrata, nei luoghi dove si attua la programmazione europea, occupandomi dei centri e degli sportelli antiviolenza, degli accordi territoriali di genere, della conciliazione dei tempi di vita e lavoro delle donne, del Banco Alimentare e di molto altro, grandi progetti inclusi. Grosso modo era quello che volevo, sì: penso di aver trovato, nel periodo in cui ho operato nel settore, lo spaccato che potesse abbracciare il mio percorso e le mie competenze. Oggi faccio altro, quell’esperienza è terminata».
Già, fai altro. Donna per le donne, hai fatto della politica di genere e delle Pari Opportunità la tua missione, se così posso chiamarla. Come è iniziato questo percorso?
«All’inizio degli anni duemila, da responsabile di Azzurro Donna (ndr, nell’associazione legata alla componente femminile di Forza Italia la Beneduce ha ricoperto in passato ruoli a livello locale, provinciale e regionale) seguivo con attenzione, a Sant’Anastasia, le politiche dell’amministrazione di centrosinistra, dal fronte di opposizione. Non c’era allora una cultura delle politiche di genere ma io mi accorsi del bando, partecipai e fui eletta tra le commissarie, poi presidente».
E finisti, tu che arrivavi dal centrodestra, per essere a capo di una commissione varata da una giunta di centrosinistra.
«In realtà mi sono trovata subito come a casa mia e avevo ben chiari gli obiettivi. Sono riuscita ad arrivare dove volevo, pur non imprimendo mai alle mie azioni un taglio femminista che non mi appartiene e non limitando le attività della commissione alle sole questioni femminili. Sembro debole, lo so. Ma chi mi conosce sa quanto sono determinata e sa che preferisco condurre le guerre in maniera silenziosa e garbata».
Tra i risultati di quell’esperienza c’è, tra le altre cose, lo sportello antiviolenza. Ora sorgono un po’ dovunque ma all’epoca era una novità, no?
«Siamo state antesignane, con risorse tutte interne alla commissione. Innumerevoli donne si sono rivolte a noi e, nel corso dei mandati, qualche politico mi ha chiesto di inserirne i nomi in un database ma ho sempre detto no. Anche per questo non mi sono più candidata a ruoli cittadini: perché non si pensasse che volessi trarne benefici in termini di voti».
Donne maltrattate in un database? Le volevano schedare? Immagino non mi dirai chi è il politico che ebbe questa idea “geniale”.
«Infatti non te lo dirò. Di donne che subiscono violenze quotidiane ce ne sono tantissime, a Sant’Anastasia come in tutta la provincia di Napoli, in qualunque ceto sociale con picchi in quelli più per così dire “alti”. Abbiamo fatto quanto in nostro potere, anche aiutandole ad allontanarsi da chi usava loro violenza».
Nel 2013, poi, è arrivato l’incarico nella commissione regionale Pari Opportunità.
«Sì, ho partecipato al bando quando avevo già abbandonato tutti gli incarichi di partito, ero solo Francesca Beneduce e basta. Sono stata eletta presidente come trait d’union tra il vecchio e il nuovo e, credimi, per amalgamare 21 donne occorre un po’ di tempo. Qualcuna aveva già esperienza, altre no, poi c’erano i “mostri sacri”, insomma non era facile».
Sei riuscita a raggiungere, da luglio 2013, gli obiettivi che volevi?
«Cose importanti ne abbiamo fatte, eccome. Ho trovato il supporto del presidente Stefano Caldoro che ha tenuto per sé la delega alle Pari Opportunità e che ha molto apprezzato l’impegno: se oggi parlo ancora da presidente un motivo ci sarà. Sai cosa? Sono arrivata lì con le mie sole forze, come esperta della materia, come Francesca, scevra di appannaggi politici. Se non mi fossi imposta avrei prodotto zero».
Cosa hai prodotto, invece?
«Intanto abbiamo predisposto la Legge Quadro sulle Pari Opportunità, apprezzata da più parti e già depositata. Abbiamo cominciato a parlare di medicina di genere collaborando con le associazioni di categoria, con gli ospedali, con il Triage Rosa del San Paolo, con le farmaciste che in pratica sono i principali “sportelli di ascolto”, front office sui territori. Si è iniziato a discutere di linguaggio di genere, di educazione ai sentimenti e molto altro, stiamo lavorando».
Le quote rosa sono l’incubo di tutti gli uomini che devono preparare le liste, dei sindaci che devono scegliere le giunte. A me, se posso dirlo, fanno venire i brividi. Mi sento, come donna, inserita in una specie protetta. A te aggradano sul serio?
«No, non mi piacciono, ma sono un male necessario. In caso contrario le donne non sarebbero mai scelte, meglio qualche donna «zoppicante» che nessuna. Del resto ci sono in politica molti uomini incompetenti, ma loro si nascondono un po’ meglio, soprattutto negli ambienti politici. Devo purtroppo ammettere però che la maggior parte delle donne che oggi ricoprono ruoli di responsabilità sono proprio quelle che farebbero di meno per le altre donne. Ma io non smetterò mai di lottare».
Il tuo è un incarico soddisfacente anche dal punto di vista economico?
«Mi prendi in giro?»
No, è una domanda seria. Ma se non vuoi rispondere capisco.
«No no, ti rispondo eccome. Chiariamo una cosa: il ruolo di presidente della Commissione Regionale Pari Opportunità è a titolo completamente gratuito».
Cioè tu lavori ogni giorno gratis? Avrai gettoni di presenza…
«No, nessun gettone».
Puro volontariato sul serio? Certo, la passione non si discute.
«Già, che si sappia bene».
Non ti capita mai di domandarti «Chi me lo fa fare?»
«Come no, un giorno sì e l’altro pure. Poi prevale la parte di me che non molla mai. Quando inizio una cosa devo finirla, posso avere incidenti di percorso ma arrivo al traguardo. E se cado, mi rialzo».
Non resisto, devo chiedertelo: ci credi davvero alle pari opportunità? Pensi sul serio che oggi siano un assunto concreto?
«Dipende da che punto di vista le vedi».
Tu da che punto di vista le vedi?
«Io ti dico solo che oggi vedo più uomini che le applicano, rispetto alle donne stesse. Le violenze peggiori io le ho subite dalle donne, un uomo non si permetterebbe mai –per come mi pongo – di mancarmi di rispetto come alcune esponenti del mio sesso hanno fatto. Io ci credo sul serio nelle pari opportunità, sì. Ma ho, per esempio, considerato un’aberrazione spendere quasi l’intero budget disposizione della Crpo per quattro convegni, quel che voglio fare è cambiare la struttura, la percezione delle commissioni, sia quelle comunali sia quella regionale».
Una parte importante della tua vita mi pare di capire sia dedicata alla politica. Come è iniziata questa passione?
«L’ho respirata fin da piccola. Il mio nonno materno era iscritto e dirigente del Pci nolano».
Comunista? Il Dna è un’opinione, in questo caso.
«Il Dna aveva già fallito in precedenza perché mia madre è stata sempre vicina alla Democrazia Cristiana, fin quando è esistito il partito. E mio padre è stato segretario del circolo cittadino Dc prima degli anni ’70. Nell’ultimo tesseramento c’ero anche io, lo chiesi come regalo. Mi sentivo e sono una moderata».
Dunque le uniche due tessere che hai avuto in tasca sono quella Dc e poi quella di Forza Italia?
«Sì, mi sono iscritta a Forza Italia nel 1997».
Un po’ in ritardo rispetto alla discesa in campo di Berlusconi.
«Ero molto scettica sulla figura di Berlusconi e lo sono ancora. Seguii l’idea. Gli uomini invece ti deludono, inevitabilmente. Quel progetto rispondeva alle mie esigenze ideali e di meritocrazia. In linea generale sono una conservatrice, convinta che oggi il liberalismo stia sfociando in rozzo e grossolano lassismo. Come dire, ci si è allargati un po’ troppo. Mi avvicinai a Forza Italia perché la Dc non esisteva più e, volente o nolente, occorreva un’area moderata».
Cosa non ti piace di Silvio Berlusconi?
«Non mi piace l’immagine che ha dato al Paese delle donne di centrodestra, ha creato problemi soprattutto a noi, alle ultime ruote del carro sui territori, a tutte coloro che si affacciavano alla politica. Vedi, io mi sento ancora intimamente “azzurra” ma ho dismesso la tessera già dalla nascita del Pdl, non mi piacque quella fusione a freddo e avevo ragione».
Ma ora c’è di nuovo Forza Italia.
«Non è e non sarà mai il partito che è stato in origine. Ha perso smalto e vigore. Non è un caso che mi sia candidata, con spirito di servizio, alle elezioni politiche, con il Mir (ndr, Moderati in Rivoluzione) di Gianpiero Samorì. Però anche quel progetto si è affievolito, omologandosi praticamente a Forza Italia e deludendo chi pensava potesse traghettarci verso qualcosa di nuovo e io non ci credo, non più».
Perciò al momento non hai una «casa» politica?
«Me la sto creando».
Racconta, come?
«Ho aderito al parlamento virtuale. Mi ha chiesto di parteciparvi Giampiero Catone (ndr, già sottosegretario, giornalista e direttore del quotidiano La Discussione), per un ruolo importante. In pratica è un “parlamento ombra” che analizza progetti e produzione del Parlamento reale. Finalmente è come se fossi al mio primo congresso politico, occasione mai avuta in Forza Italia. Anche quello del Pdl fu una farsa». Da poche ore sono la donna più votata tra le aspiranti “onorevoli” candidate e componente della commissione di garanzia oltre che segretario nazionale del gruppo Dc. Le leggi da noi approvate diverranno proposte di legge del Parlamento reale, grazie a numerosi deputati bipartisan».
I tuoi geni democristiani sono vivi e vegeti, a quanto pare.
«Già, sono una moderata, sempre».
Politica, pari opportunità, sociale. Un master in Sviluppo locale, bibliotecaria. Tanta roba, direi. Ma io so che c’è un altro settore della tua vita che è importante per te. Parlo del Banco Lotto, l’attività della tua famiglia che da decenni è a Sant’Anastasia, precisamente in piazza Madonna dell’Arco. I numeri cosa sono per te, un retaggio che ti porti dietro?
«Non ne esci mai. Sì, sono cresciuta con questo retaggio e lo trovo un campo pieno di poesia, nonostante si tenti di denigrarlo, di farlo scadere nello squallore. Ma è tutt’altro. Io ho anche rivestito ruoli sindacali di categoria nel comparto, con Assogiochi, spuntandola in battaglie e rivendicazioni importanti contro l’AAMS (ndr, amministrazione autonoma dei monopoli di Stato)».
Ti capita di pensare ai numeri durante il giorno? Cioè, se ti accade qualcosa, abbini automaticamente una terna, una quaterna?
«A volte, però mi capita molto più spesso di consigliarli agli altri, se me li chiedono. C’è molta differenza tra cabalisti e numerologi, io appartengo alla seconda categoria».
E gli amici che te li hanno chiesti hanno poi vinto?
«Spesso. Ho avuto belle soddisfazioni. Tra me e i numeri c’è empatia».
Beh, dammi tre numeri, dai.
«Ci penso».
Intanto mi regali un aneddoto, qualcosa che ti è capitato con i clienti del Lotto?
«No, non posso. Mio padre Natale, che ha sempre tenuto molto all’immagine e ci ha insegnato a rispettare i clienti che sono molto particolari, ripeteva sempre che “le vincite sono come il mal di pancia, chi le ha se le tiene”. Mi spiego: quel che accade nel Banco Lotto resta lì, nessuno saprà mai se nella nostra attività ci sono state grosse vincite o meno, non siamo di quelli che cercano la pubblicità sui giornali, non ci interessa».
C’è un numero che ti porta fortuna?
«No, ma preferisco i pari».
Francesca, che vuoi fare da grande?
«Sono ancora giovane, posso pensarci. Mi sono data una quarantina d’anni di tempo».
Sarai un’energica ottantenne, per allora avrai deciso?
«Forse, ma è che ho tante cose da fare per pensarci adesso».
Se potessi tornare indietro cambieresti qualcosa? Faresti altre scelte?
«Qualche correttivo lo applicherei. Sarei più dura, meno credulona, confiderei meno nelle persone sbagliate. Anche se, in verità, da incontri nati male sono spuntati poi fiori bellissimi».
La famiglia, intesa in senso allargato dunque genitori, fratelli, sorelle, zii, conta molto nella tua vita?
«Molto. Siamo legatissimi, come mia madre ci ha insegnato. Un’unione ancestrale, salda».
Tu ti occupi essenzialmente di donne. Poi torni a casa e trovi tre maschi.
«Si, mio marito Sabato, che lavora in Aeronautica e nonostante ciò è molto presente, e i miei due figli, Gaetano e Stefano, rispettivamente 16 e 12 anni».
Le pari opportunità si applicano in casa tua? Come insegni ai tuoi figli il rispetto verso le donne?
«Mio marito, intanto, collabora tantissimo nell’educazione dei ragazzi e nell’accudire alla casa. I miei figli hanno un carattere diverso, il primogenito è più disponibile nel dare una mano, il secondo assai meno. In ogni caso tutti loro respirano i temi delle pari opportunità, li vivono, li masticano».
Ti manca una figlia femmina?
«No, sul serio. Volevo due figli e li ho».
Vizi e virtù di Francesca?
«Il mio unico vizio, la mia sola dipendenza, è la politica. Mi disintossico ma poi ci ricado. Per il resto non bevo, sono completamente astemia e non ho mai fumato nemmeno una sigaretta. Virtù non saprei».
Rispondi così per farti dire che la tua virtù è la modestia? Su, cosa dice chi ti conosce bene?
«Che sono umile, che sono una persona per bene. C’è anche chi mi considera “montata” e presuntuosa ma si tratta di un’esigua e sparuta minoranza».
La maggioranza ha sempre ragione, no?
«In genere, non sempre, ma in questo caso sì».
Cosa fai nel tempo libero, ammesso tu ne abbia?
«Mi dedico alla cultura personale, leggo. Ho appena finito un bellissimo libro, «Scacco Matto» di Mariarosaria Alfieri e Antonella Esposito, presenziando anche alla presentazione tenutasi di recente a Somma Vesuviana con le autrici».
Sì, interessante. Ma esula per un attimo dalle tue attività, per favore: quel libro tratta delle tematiche che ti sono care nel tuo ruolo, dalle donne schiave del sesso alle mamme assassine, dallo stalking alla pedofilia. Invece vorrei mi dicessi cosa leggi per tuo mero piacere. Qual è il libro che ti ha profondamente segnato?
«Un romanzo di Florence Montgomery, “Incompreso”. La storia di un bambino costretto a soffocare i suoi slanci a causa degli adulti incapaci di comprenderlo. Ho poi visto anche il film, la regia era di Luigi Comencini, piangendo a profusione».
Hai gli occhi lucidi. Non metterti a piangere adesso. Sei così tanto emotiva?
«Sì, mi capita spesso».
In tv cosa guardi?
«La guardo pochissimo. La serie che mi sta appassionando adesso è “The White Queen” basata su una saga britannica di genere storico».
Sei cattolica?
«Sì, mi piace molto anche il messaggio di Papa Francesco. Certo non sono tra coloro che vanno in chiesa a battersi il petto, mi confesso quando lo ritengo necessario, in famiglia preghiamo ma credo che la religione non vada imposta, è qualcosa che nasce dal cuore. Nel mio c’è. Sai bene che tempo fa volli istituire la celebrazione di una funzione religiosa in occasione della Festa della Donna. Anche quel progetto va avanti e ci sopravvive».
Sei una brava donna di casa e ti piace cucinare?
«Molto, preparo di tutto. Soprattutto dolci e i ragazzi aspettano con ansia che sforni torte, anche se preferiscono il mio Tiramisù. Ma è una passione di famiglia, me l’ha insegnato mamma e ho uno zio pasticciere. Ecco, per rispondere alla tua domanda di prima: da grande potrei fare la pasticciera, chissà».
Ti piaci?
«Dipende dai periodi, non sempre. Intendi fisicamente?»
Si. Presti molta attenzione al trucco, ai vestiti?
«Mi trucco ogni giorno da qualche anno. Mi sistemo. Uso colori tenui e caldi negli abiti, per non sbagliare. Scelgo quel che mi sta bene, nulla di più».
Qual è il tuo ideale fisico di donna?
«Non troppo magra, non troppo appariscente, bella. Una donna che si lasci guardare senza essere volgare».
C’è un’attrice o comunque una donna famosa che incarna questa descrizione?
«Non so. Potrei dirti il mio ideale di uomo».
Dillo.
«No, lasciamo stare».
Ma dai, tuo marito non sarà mica geloso.
«No, certo. Va bene, mi piace il Made in Italy come in ogni cosa, dunque Raoul Bova».
Cosa ti infastidisce di più del maschilismo imperante? C’è qualcosa che gli uomini possono dire o fare e che proprio non sopporti?
«Gli stereotipi con cui ci classificano. I sorrisini mentre ti ascoltano parlare di Pari Opportunità. Mi disturba tantissimo».
Hai mai fatto qualcosa contro la legge? Che so, rubare una caramella o prendere una multa?
«Mai. Una multa, una sola, sì. A Sant’Anastasia. Dovevo recuperare dei libri in municipio e portarli in biblioteca e non c’era spazio per parcheggiare da nessuna parte. Ovviamente l’ho pagata. Altre volte mai, non metto il piede a tavoletta sull’acceleratore per esempio, sono moderata anche quando guido».
Hai tante amiche?
«Solo due, tutte le altre sono conoscenze. Amiche vere, che ho sottoposto a grandi prove perché non mi fido più come una volta, davvero unicamente due: a loro posso raccontare i fatti miei».
L’amore?
«Solo uno, mio marito. Credo nell’amore eterno e senza ripensamenti. Va alimentato giorno per giorno con le piccole cose quotidiane. Litigare è anche bello, per poi fare pace».
Supponiamo che tu debba sostenere un colloquio di lavoro e che ti si chieda di descriverti con un solo aggettivo. Quale scegli?
«Affidabile».
Se scegliessi di non vivere più in provincia di Napoli dove ti piacerebbe trasferirti?
«In Trentino, nei miei luoghi natii. Se fossi rimasta lì non sarei più tornata sul serio. Invece mi ci hanno portato, a Napoli, minorenne e inconsapevole».
Magari ora saresti nelle fila leghiste…
«Chi può dirlo?».
Sei scaramantica, superstiziosa?
«No, professo il “non è vero ma ci credo”. Qualche cornino portafortuna lo porto con me. Perché credo nel malocchio, sai quando incontri una tale persona e ti scoppia subito il mal di testa…».
Senza scomodare il malocchio si potrebbe chiamare negatività. Succede.
«Il corno però lo tengo lo stesso».
Ce l’hai anche adesso?
«Assolutamente sì».
Non dirmi che hai mal di testa. Così, per sapere.
«No, no».
L’essere umano è fondamentalmente buono o cattivo?
«Nasce buono, poi si guasta per l’ambiente, le relazioni. La “razza” non la cambi, mai».
I tuoi figli sono adolescenti. Come li difendi da violenze, cattiverie, pericoli? Cosa permetti loro e cosa no?
«Con le nuove tecnologie il rischio più grande è quello di imbattersi, in rete, in manifestazioni di cyber-bullismo o pedofilia. Ho tolto il computer dallo studio e l’ho sistemato in cucina sacrificando un po’ di spazio, ma così sono più tranquilla. Ho messo loro i blocchi sul cellulare. Per il resto sono cosciente che un po’ devono trasgredire, senza esagerare, come abbiamo fatto tutti. Sappiamo tutti però che oggi la violenza può arrivarti fino in casa, tramite la rete, bisogna vigilare. Io lo faccio».
Per prepararli e fornire loro gli strumenti adeguati, è giusto. Ritieni eque le pene che ci sono in Italia per i reati di pedofilia?
«No, sono troppo miti. La castrazione chimica non la scarterei».
Sei romantica?
«Sì»
Il gesto più sentimentale che offri a tuo marito?
«Una carezza».
Lui ti regala ancora fiori dopo tanti anni insieme?
«In verità non me ne ha mai regalati, nemmeno il giorno del matrimonio».
Perché, non ti piacciono i fiori?
«Molto, ma è lui che è distratto».
Mi sa che dopo aver letto quest’affermazione non potrà sottrarsi. Che fiori preferisci?
«Le rose, di qualunque colore».
Marito avvisato. Avete animali in casa?
«Quanti ne vuoi. Un cane, innumerevoli gatti, galline, pulcini. Pure qualche talpa, credo. In giardino, naturalmente».
Trovi una lampada di quelle che, se le strofini, spunta il genio pronto ad esaudire un tuo solo desiderio. Cosa chiedi?
«Un’enorme somma di denaro con la quale creo le condizioni di sviluppo nel mio paese per dare lavoro a chi ne ha bisogno. Se fai del bene ti torna indietro, ma preferisco creare le basi perché ciò accada, invece di fare elemosina».
Se potessi scegliere un superpotere?
«Ma io ce l’ho già un superpotere, l’empatia con gli altri».
Accidenti, non è che leggi nel pensiero?
«Forse».
Quanti anni ti piacerebbe vivere?
«Tutti quelli che il Signore mi concederà, in buona salute perché sono una donatrice di organi. Anche di sangue».
Hai paura della morte?
«Non della morte in sé, solo che vorrei arrivarci bene. Mi fa paura il “come”».
Potendo scegliere tra tutti gli uomini e le donne della terra, chi inviteresti a cena?
«La regina Elisabetta d’Inghilterra. Sai, tra donne ci capiremmo».
Magari un the piuttosto che una cena. Entrambe con quei cappellini strani…
«Sì, perché no? Sarebbe divertente».
Ti si concede la possibilità di farti ascoltare da tutte le donne del mondo. Cosa dici?
«Rispettatevi di più, così lo faranno anche gli altri».
Diventi il Ministro delle Pari Opportunità italiano. Che fai?
«Rifinanzio tutti i centri antiviolenza, predispongo una mappatura e un monitoraggio per accertarmi che agli sportelli ci sia gente seria e competente, creo interlocutori in Europa che al momento non abbiamo».
Hai la possibilità di buttare giù da una torre Matteo Salvini o Matteo Renzi. Chi resta con te?
«Butto giù tutti e due dalla torre. Salvini, nonostante dica ogni tanto cose condivisibili, non mi ispira più di tanto, Renzi è un bischero che pensa di trasformare l’Italia in Firenze. Bella città, bella gente ma è stata capitale d’Italia già una volta, non ci serve un balzo indietro. Cerchiamo piuttosto di guardarci un po’il nostro, di recuperare i valori».
Se Berlusconi ridiscende in campo tu ci sei?
«Se non c’è alternativa sì. Ma stiamo già guardando oltre».
Scegli un proverbio che ti si confaccia.
«Fai bene e dimenticalo, fai male e ricordalo».
Francesca, per chiudere questa lunga chiacchierata ti chiedo di stare al gioco: pensa al momento storico in Italia e offri tre numeri ai nostri lettori. Senza impegno.
«1, l’Italia; 20 Napoli e la festa; 31, il risveglio atteso».
Ora i miei, ma a registratore spento, grazie.