CATTOLICI E POLITICA: RIPARTIRE DAL TERRITORIO

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Al laicato cattolico spetta di continuare l”esperienza antica di stare in mezzo alla gente per condividerne fatiche, attese e pensieri. Anche la Chiesa di Nola pensa di organizzare una Scuola di Formazione sociale e politica. Di Don Aniello Tortora

La vita politica in Italia e, soprattutto nel nostro Sud, ripiegata su sè stessa e su polemiche, interne e intestine, tra i diversi leader e schieramenti, si allontana paurosamente, giorno dopo giorno, dai problemi reali della gente. Aumenta lo sconcerto, la confusione, la incomprensione di quanto sta accadendo. Napoli è ancora piena di monnezza e il miracolo non c’è stato. Solo S. Gennaro, un paio di volte all’anno, è “attrezzato” per questo.
La Chiesa non può chiudere gli occhi davanti a ciò che sta succedendo o far finta di niente. Ma, cosa può fare, ancora?

Il laicato cattolico si sta movimentando ed è in movimento. Organizzato dalla Presidenza dell’Azione Cattolica Italiana, c’è stato a Roma un incontro con gli amministratori locali che, provenienti dall’esperienza di Azione Cattolica, si sono ritrovati nei giorni scorsi a Roma a ragionare attorno al bene comune. Riporto qui diverse considerazioni di qualcuno che vi ha preso parte. Mons. Bregantini, il Vescovo coraggioso di Locri (attualmente vescovo a Campobasso) ha offerto alcuni spunti di riflessione molto interessanti, parlando di responsabilitĂ  educativa, di speranza, di rischio.

Incontro di laici impegnati in una politica che non ha bisogno di ricorrere ad aggettivi per esprimere il suo essere atto di amore alla cittĂ . La voce del territorio, rappresentato da chi ne è al servizio in ruoli di governo, ha sempre toni di concretezza, di essenzialitĂ  e di coerenza.
Ma non si costruisce politicamente qualcosa di positivo lasciandosi risucchiare dalle polemiche e il territorio, non da oggi consapevole di questo rischio, si carica di una grande e promettente responsabilitĂ  educativa che si pone al servizio dell’intero Paese.
Uomini e donne scelgono l’impegno pubblico come sintesi, in continuo divenire, di un impegno culturale che trova le sue radici e le sue motivazioni nell’amore alla veritĂ , nella ricerca e nella costruzione del bene comune.

Un amore esigente che, in tempo di crisi, non si ferma alla pur necessaria azione assistenziale e chiede alle persone, alle famiglie, alla comunitĂ  di giocare le proprie risorse, di osare anch’esse qualcosa nella costruzione del futuro.
In questa prospettiva la Chiesa italiana con gli "Orientamenti pastorali" sull’educare, con l’agenda delle Settimane Sociali, cammina nel territorio e nel Paese con la consapevolezza che la responsabilitĂ  quotidiana, pensata e condivisa, rimane la strada maestra su cui passa la speranza.
In questa visione il territorio torna ad essere coltivatore di futuro non solo per sè stesso con la sua capacitĂ  di leggere e interpretare i segni dei tempi, con la sua saggezza che non confonde la sicurezza con la chiusura, la fierezza con l’orgoglio, la prudenza con la paura.

Essere come "una primizia", come l’annuncio vivo e visibile di una speranza che non delude e che usa anche lo strumento della politica per rendersi concreta: ecco il compito di un laicato cattolico che sta prendendo una visibilitĂ  che nulla ha a che fare con lo spettacolo mediatico.
Si pone in continuitĂ  con l’esperienza antica di una presenza e di una lungimiranza in mezzo alla gente condividendo le fatiche, le attese, le scelte e i pensieri. Una straordinaria stagione in cui nacque e si sviluppò una "palestra" di formazione per le nuove generazioni.
Molto è cambiato ma il dato essenziale, cioè l’essere dentro la storia e la vita della gente con un messaggio educativo, rimane di grande attualitĂ .

Furono, in anni più recenti, le scuole di formazione all’impegno sociale e politico a raccogliere l’ereditĂ  ma oggi la loro esperienza ha bisogno di diventare "laboratorio", luogo dove i saperi si misurano con la fatica di vivere, con il linguaggio proprio della politica.
È tempo di parole e di azioni nuove, certamente non ingenue o retoriche, per dire che l’impegno politico è una frontiera dove vive la speranza e dove i laici cattolici intendono essere. Forse è solo un sogno ma in alcune realtĂ  questo sta giĂ  avvenendo.
Credere nella speranza mentre tutto sembra andare contro la speranza. Anche in politica.

Quell’albeggiare annunciato dagli amministratori locali con le radici in Ac è un messaggio da non trascurare, è un percorso da indicare alle giovani generazioni come strada non interrotta per giungere a mete alte.
Anche la Chiesa di Nola si sta interrogando e la Commissione diocesana per i Problemi sociali e il lavoro ha in mente di organizzare una Scuola di Formazione sociale e politica.
(Fonte foto: Rete Internet)

LA RUBRICA

EMENDAMENTO 1707: UN PO” DI CHIAREZZA

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Facciamo chiarezza su un emendamento (congelato) al decreto legge sulle intercettazioni, che avrebbe escluso l”obbligo di arresto per gli autori di atti sessuali di “lieve entitĂ ” su minori. Di Simona Carandente

Da qualche tempo a questa parte, viene diffuso in rete un contributo scritto attraverso il quale, in buona sostanza, si grida allo scandalo governativo, con tanto di accorato appello a porre alla gogna i presunti responsabili, rei di aver introdotto al decreto legge sulle intercettazioni un emendamento "salva pedofili", meglio noto come Emendamento 1707.
Attraverso questa modifica legislativa, peraltro allo stato congelata, alcuni senatori di Pdl e Lega avrebbero voluto creare una sorta di scappatoia, finalizzata all’impunitĂ , per coloro (pedofili, molestatori e quant’altro) che si fossero resi autori di violenze sessuali minori o, per usare le parole della legge, di "lieve entitĂ ".

Per dovere di cronaca e rispetto della legge, entitĂ  di per sé suscettibile delle più svariate interpretazioni ed applicazioni, occorre fare un po’ di chiarezza sulla delicatissima questione, a prescindere da ogni connotazione di tipo politico o giudizio di sorta sui potenziali firmatari.
Da una lettura attenta ed accurata della norma, si evince che quest’ultimo avrebbe escluso, laddove approvato, l’obbligo di arresto per chi veniva sorpreso a compiere violenze sessuali di "lieve entitĂ " verso i minori, espressione da interpretare in maniera rigorosa.
La norma non parla di violenza sessuale di minore entitĂ , bensì di atti sessuali di minore gravitĂ , intendendo per tali gli atti compiuti tra soggetti quasi coetanei, entrambi consenzienti, riprendendo un concetto giĂ  esistente nel codice Penale, al quale sarebbe stata obbligata la facoltativitĂ  dell’arresto.

Per essere più concreti, laddove ad esempio due adolescenti compissero atti sessuali tra loro in maniera consenziente, non sarebbe obbligatorio per legge procedere all’arresto del presunto reo, lasciandone però intatta la facoltĂ  agli aventi diritto.
In particolare, dal punto di vista processuale, ed in relazione al reato di cui all’art.609 bis c.p, la minore gravitĂ  si riferisce essenzialmente alla condotta del reato, ricollegandosi alla caduta della distinzione tra congiunzione carnale consumata e non, sommandosi al fattore etĂ  dei soggetti coinvolti, con l’evidente necessitĂ  di non criminalizzare i rapporti tra adolescenti, anche alla luce dei mutati costumi sessuali.

Non bisogna poi dimenticare che, secondo la giurisprudenza, costituiscono atti sessuali anche la mano morta, le carezze, i fischi di apprezzamento ed addirittura gli sguardi indiscreti, atti indubbiamente di minore gravitĂ  rispetto ad uno stupro, per i quali non avrebbe senso imporre l’obbligo dell’arresto in flagranza.

Se la formulazione della norma ha destato incertezze nei cd. non addetti ai lavori, giungendo ad un vero e proprio travisamento da parte dell’opinione pubblica, che ha dipinto l’emendamento come una disposizione salva-pedofili, meno condivisibile appare la campagna di criminalizzazione a mezzo internet nata in rete. Non sempre, al di lĂ  delle apparenze, si può gridare al ladro. (mail: simonacara@libero.it)
(Fonte foto: Rete Internet)

LA RUBRICA

RIFIUTI. OVVERO: SOLDI, AFFARI E POTERE

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Scegliere gli inceneritori per risolvere il problema dei rifiuti significa puntare al business. Pensate un po”: Cosentino e Cirielli minacciano di far cadere il Governo se l”affare di Salerno gli viene sfilato da Caldoro. Di Amato Lamberti

Come volevasi dimostrare, attorno ai rifiuti si combatte una battaglia dove contano solo i soldi, gli affari e il potere. La soluzione del problema dello smaltimento dei rifiuti, magari con il minimo di ricadute sulla salute dei cittadini e sugli interessi del territorio, non interessa nessuno, né a destra, né a sinistra. La scelta degli inceneritori è legata solo alla marea di soldi che mettono in movimento. Nessuna altra considerazione ha valore. La ministra Carfagna minaccia di dimettersi se la gestione dell’affare finisce nelle mani dei suoi nemici Cirielli e Cosentino perché sa bene che non le lascerebbero alcuno spazio di decisione e di potere.

Preferisce che l’affare passi nelle mani di Caldoro con il quale ha buoni rapporti e possibilitĂ  di incidere sulle decisioni. Naturalmente Cirielli e Cosentino non ci stanno e minacciano addirittura di non votare la fiducia al Governo se l’affare gli viene tolto dalle mani. Pensate quanto grande deve essere l’affare e quali aspettative mette in campo se si arriva a minacciare la caduta del governo di cui si fa parte. A nessuno dei contendenti viene in mente che forse sarebbe meglio non costruire inceneritori visto che è dimostrato che mettono in serio e costante pericolo la salute dei cittadini. Pensano solo ai 300 milioni di euro di finanziamenti per costruirne uno solo e ai 30 milioni di euro ogni anno come royalties provenienti dalla vendita dell’elettricitĂ  prodotta.

Un vero grande affare, 30 milioni di euro l’anno, da qui all’eternitĂ , per finanziarsi di tutto, dalle campagne elettorali ai partiti personali. Anche qui a nessuno viene mai in mente che quei soldi potrebbero almeno servire a sgravare i cittadini dei Comuni più direttamente interessati dalla Tarsu, visto che gli si rovina la salute e il futuro del territorio. E invece niente: qualche compensazione caritatevole per i Comuni, che così aggiustano i conti degli sprechi, e il resto ad amici, sodali, non importa se camorristi, sempre nel nome dei supremi interessi della politica, come loro chiamano l’attivitĂ  di spartizione delle risorse tra i componenti delle cricche di cui sono a capo.

La sinistra freme, ma non pensiate perché vede messa in pericolo la salute dei cittadini e il destino del territorio, ma solo perché si vede estromessa dall’affare e dove può punta i piedi. A Salerno e a Napoli i sindaci dichiarano che non si limiteranno certo a mettere a disposizione una porzione di territorio. Se si fa sul territorio comunale vogliono non solo gestire l’appalto dell’inceneritore ma anche la cessione dell’elettricitĂ  prodotta.

E questo non per meglio garantire la salute dei cittadini, che sarebbe comunque compromessa; non per alleggerire i cittadini del peso della Tarsu, che anzi viene aumentata; non per migliorare le condizioni di vita dei quartieri del centro storico e delle invivibili periferie, che restano in attesa di altri interventi straordinari, magari dopo qualche crollo; ma per procurarsi il denaro che serve a ripianare i deficit provocati dagli sprechi del passato e del presente, e perché no, da quelli del futuro.

È inutile che continuiamo a discutere sul fatto che le discariche rendono il territorio invivibile, come hanno dimostrato le indagini a Pianura; che gli inceneritori di qualsiasi livello tecnologico buttano nell’aria una tale quantitĂ  di sostanze tossiche e nocive da mettere in pericolo la vita non solo delle persone, ma anche quella degli animali e delle piante, compresi broccoli, cavoli e patate. Per la politica, e quindi per giornali e televisioni che danno loro sempre ragione, queste cose non contano niente.

Contano solo i soldi e gli affari. Ai poveri cittadini lasciano solo il diritto di andarsene dove meglio credono: se si azzardano a protestare, perché vorrebbero vivere su una terra non inquinata, diventano terroristi, facinorosi e provocatori da manganellare a sangue.
(Fonte foto: Rete Internet)

CAMORRA E POLITICA

LA CAMORRA NELLA SECONDA METÁ DELL’OTTOCENTO

Scriveremo dei sistemi di camorra nel Vesuviano, Nolano e nell”agro nocerino-sarnese. Ma anche dei patti con la societĂ  civile. Come quello del 1980, in occasione del terremoto in Irpinia. Di Carmine Cimmino

Ciò che scriveremo non potrĂ  non toccare la storia recente, i patti tra camorra e societĂ  civile. Tra questi quello stretto dopo il terremoto del 1980, dove fu messo in moto un congegno del malaffare che sta funzionando anche nell’emergenza rifiuti.

Scrisse anni fa Marcella Marmo che aspetti importanti del fenomeno della camorra nel secondo Ottocento, come “la camorra politico-amministrativa, le clientele camorriste, il funzionamento della finanza locale” tra il 1870 e il 1900 e la storia stessa dei termini bassa camorra e alta camorra non erano stati ancora studiati. Mi pare che questo elenco di temi trascurati sia incompleto: occorre stabilire, per esempio, se nell’Ottocento si siano formati, nel Vesuviano, nel Nolano e nell’agro nocerino-sarnese sistemi delinquenziali che potremmo definire in senso lato organizzazioni camorriste, e in quali settori abbiano svolto la loro attivitĂ  criminosa.

Giornalisti, romanzieri, poeti e studiosi del secondo Ottocento documentano l’ intensitĂ  del fascino che la camorra in genere, e alcuni camorristi in particolare, esercitarono su ambienti di ogni livello: ma restano poco chiari i meccanismi della mitizzazione, che fu certamente alimentata da impulsi sociali e psicologici e forse giĂ  dall’astuzia della borghesia, che cercava di rovesciare su Salvatore De Crescenzo, su Francesco Cappuccio e su Enrico Alfano tutta la responsabilitĂ  degli affari illeciti e dei delitti che ne erano il sanguinoso corollario. La mitizzazione dei padrini è oggi un fenomeno molto più vasto che in passato: e ho il sospetto che quell’astuzia della societĂ  civile da causa terza sia diventata la causa prima .

Patti tra mafia e camorra, da una parte, e apparati dello Stato dall’altra, sono stati stretti anche nell’ Ottocento, come vedremo: ma per quanto gravissimi, essi possono essere spiegati con la ragion di Stato, e non bastano certamente a legittimare le organizzazioni criminali. Quando parliamo del problema delle relazioni tra camorra e societĂ  civile, ci riferiamo non all’esistenza oggettiva di queste relazioni, che nessuno si sogna di mettere in discussione, ma alla misura di esse. Bisogna capire se la parte, diciamo così, deviata, della societĂ  civile si pieghi all’imperio della camorra arrendendosi alle ragioni delle pistole e a quelle del danaro, o se invece non sia proprio questa parte, diciamo così, deviata a dettare le regole del gioco, e a servirsi della camorra per accaparrarsi appalti e commesse.

Sappiamo che intorno all’affare della ricostruzione dopo il terremoto del 1980 si scatenò una sanguinosa guerra di camorra: ma forse sarĂ  utile dedicare qualche articolo alla relazione finale della Commissione Parlamentare d’Inchiesta, presieduta dall’on. Scalfaro, che descrisse quello scandalo smisurato come un’azione scenica in cui non era facile distinguere i protagonisti dalle comparse, gli attori dai suggeritori, e il costumista dal regista. Fu un caos ordinato, in cui dall’emergenza prima, fatta di migliaia di morti e feriti, di paesaggi naturali, urbani e sociali squassati dal sisma, nascevano, in sequenza interminabile, altre emergenze. In Irpinia fu messo a punto un mostruoso congegno del malaffare, che ora sta funzionando a tutto motore nell’emergenza della monnezza.

Ma ancora la settimana scorsa Rai 3 corredava un suo servizio su quel terremoto con l’ immagine di Raffaele Cutolo, accampata sullo schermo a trasmettere un messaggio – il disastro fu un affare per la camorra – certamente vero, ma vero solo in parte. Poiché resta ancora da stabilire quale fu la misura di questa parte, e quale la misura della parte che toccò alle industrie del Sud e del Nord, ai politici di tutte le taglie, alle banche, ai tecnici, ai funzionari dello Stato: e resta da stabilire se la camorra aveva, tra l’80 e l’83, la sapienza giuridica, tecnica e finanziaria per montare da sola una macchina così complicata e così raffinata, e per farla funzionare.

Nel 1863 lo Stato unitario decise di estirpare la camorra da Napoli con la stessa mano militare che stava spazzando via il brigantaggio. Tra il 1864 e il 1868 camorristi veri o presunti, oziosi, vagabondi, e poi ladri qualificati e contrabbandieri vennero tutti inviati al domicilio coatto. Il loro ritorno, le elezioni del 1874 e la grave crisi economica degli anni ’70 scatenarono, a Napoli e nella provincia, quell’ “infezione“ della cosa pubblica, della legalitĂ , dell’etica, dei principi primi dell’ordine sociale, che portò all’inchiesta Saredo e al processo Cuocolo. A queste vicende, in cui si trovano tutte le radici del nostro nero presente, dedicheremo una serie di articoli. Partiamo dal 1874.

In quell’anno il prefetto Mordini inviò un questionario sullo stato della camorra agli ispettori dei quartieri di Napoli, e a quelli di Barra e di Portici. L’ispettore del quartiere Chiaia, nella sua lunga risposta, osservò che la camorra non era stata combattuta “alle radici: dopo i primi colpi si è soprasseduto, tanto che questa ha ripreso lena e ha mutato d’indirizzo, per modo che le è riuscito agevole di rinvigorire e nascondersi, in guisa da lasciare financo dubitare della sua esistenza. Il rimpatrio dal domicilio coatto è stato letto come debolezza del Governo…La camorra ha saputo distendere i suoi rami fin nel campo delle elezioni politiche, da dove ha tratto nuova vita sicurezza e garanzia”.

Mentre sotto i Borbone era organizzata come una setta, oggi, continua l’ispettore, “la camorra ha preso un altro indirizzo e, invadendo le diverse branche di commercio e industrie”, costringe gli imprenditori e i commercianti a “mettersi frastornati nella imprescindibile necessitĂ  di farla compartecipe degli utili”. L’altra “modificazione della camorra consiste nel decentramento (l’ispettore scrive discentramento), poiché non si ha nessuno elemento che faccia ritenere che esista fra componenti di essa un ordinamento riconosciuto e accettato, con direzioni e dipendenze”, e se i camorristi in pubblico ostentano reciproca assistenza, “lo fanno per dare di sé un’immagine, per imporsi e per generare quel panico che è tanto utile alle loro delittuose imprese”.

L’ispettore reggente di Portici disse con chiarezza la sua amara veritĂ : “a partire dal 1870 lo Stato ha mostrato condiscendenza verso i capi della camorra nella lusinga che per opera di costoro si scoprissero i delinquenti comuni”. I capi organizzavano furti, ne affidavano l’esecuzione a ladri infidi, e al momento opportuno avvertivano la polizia, che sorprendeva i mariuoli in flagranza di reato. La camorra otteneva così due risultati: rafforzava il proprio prestigio e si liberava di personaggi scomodi. “Si è arrivati al punto di vedere un funzionario di P.S., il delegato Vacca, gozzovigliare pubblicamente assieme al noto Cappuccio e ad altri”: così scrive il reggente di Portici, con nervosa grafia.

Egli proponeva che il domicilio coatto fosse perpetuo, e si permetteva di far notare al Prefetto che era una follia pura mandare i coatti in quelle province, Salerno, Avellino, Benevento, Caserta e Foggia, in cui la camorra aveva giĂ  messo radici: lì i camorristi che arrivano da Napoli trovano sostegno nei correligionari del luogo. Correligionari: è una parola che da sola vale quanto un libro. Napoli è la cittĂ  in cui il tempo si è fermato. È una pacchia per chi scrive di storia.
(Fonte foto: C.C.)

LA RUBRICA

“PER LA SOLIDARIETÁ CI VUOLE CUORE”

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Il Gruppo Partenopeo Rotary ha sviluppato un progetto che punta a promuovere l”educazione alla salute e la cittadinanza attiva e consapevole.

Interessanti, efficaci, essenziali sono stati gli interventi realizzati nel corso del mese di novembre 2010 dal Rotary Club Napoli Ovest con i ragazzi dela II F e II i del Liceo Scientifico"Mercalli e presso altre Scuole Medie Superiori napoletane, tra cui l’ITC "Pagano" e l’ IPIA "Bernini", nell’ambito del progetto "Salva-gente per il Cuore", rivolto ai giovani adolescenti e che mira al raggiungimento degli obiettivi trasversali dell’educazione alla salute ed alla cittadinanza attiva e consapevole.

Il progetto, promosso dal Gruppo Partenopeo Rotary, è stato ideato e coordinato dal cardiologo Nello Ascione del Rotary Napoli Castel dell’Ovo, che lo ha presentato presso la scuola media Tito Livio di Napoli. In tale occasione il dott. Ascione ha sottolineato che lo scopo principale del progetto “Salva-gente” è quello di infondere nei ragazzi, protagonisti o spettatori di una emergenza sanitaria, la capacitĂ  di prestare soccorso per aiutare la vittima dell’infortunio.

In modo semplice e chiaro e con un lessico accessibile all’uditorio, il dott. Carlo Grifasi e la dott.ssa Nicoletta De Rosa, in rappresentanza del Rotary Napoli Ovest, hanno relazionato sui principi fondamentali del “primo soccorso” e si sono soffermati sugli aspetti dell’ arresto cardio-respiratorio: nel corso della lezione, che ha visto alternarsi momenti di frontalitĂ  con attivitĂ  laboratoriali e di coinvolgimento attivo, è stato illustrato come si effettua una chiamata al 118, come si praticano le manovre di rianimazione cardio-polmonare e come si usa il defibrillatore semi-automatico.

"Salva-gente per il Cuore" è un progetto educativo il cui scopo fondamentale è quello di far sì che i giovani, conoscendo i principi di Primo Soccorso, possano metterle in pratica, anche semplicemente chiamando il 118 e dimostrando spirito di solidarietĂ  nei confronti degli altri.
I ragazzi hanno partecipato con interesse alle attivitĂ  proposte ed hanno rivolto agli esperti esterni quesiti pertinenti e che hanno reso l’incontro maggiormente stimolante e produttivo, grazie anche al clima di disponibilitĂ  ed interazione che il dott. Grifasi e la dott.ssa De Rosa hanno saputo creare interagendo con gli studenti.

Il tempo è volato molto in fretta, come sempre accade quando la modalitĂ  di intervento è interattiva e partecipata, ed i ragazzi sono rientrati nelle proprie aule arricchiti da una gradevole esperienza di solidarietĂ  e di educazione alla salute.

OSSERVATORIO ADOLESCENTI

NON SEMPRE I GENITORI SONO ESENTI DALLA RESPONSABILITÁ PER L’ILLECITO DEL FIGLIO MINORE

Il caso di cui trattiamo questa domenica si riferisce alla culpa in educando con riferimento alla famiglia. Non sempre è sufficiente la prova di avere genericamente impartito un”educazione al minore.

Il caso
T. quasi maggiorenne, mentre è alla guida del proprio ciclomotore, si scontra con un altro ciclomotore guidato dal minore S., che, riportando gravissime lesioni, cade in coma vegetativo e dopo circa quindici giorni muore. I genitori di S. citano i giudizio i genitori di T. per sentirli condannare al risarcimento dei danni patiti in proprio e dal figlio morto. Essi deducono la responsabilitĂ  di cui all’art. 2048 del codice civile a norma del quale i genitori rispondono dell’illecito commesso dal loro figlio minore abitante con essi, salvo che provino di avere fatto tutto il possibile per impedire il fatto. I genitori di T. chiedono la prova per testi al fine di dimostrare di avere impartito una buona educazione al figlio, peraltro prossimo alla maggiore etĂ  al momento del fatto, e quindi andare esenti da responsabilitĂ .

La Soluzione è stata accolta dalla Suprema Corte (Cass. Civ., Sez. III, 22 aprile 2009, n. 9556), e si sostanzia nei seguenti punti salienti.

I genitori sono responsabili, a norma dell’art. 2048 del codice civile, del fatto illecito commesso dal loro figlio minore che abita con essi, se non provano di avere fatto tutto il possibile per avere impedito il fatto. Tale prova consiste nell’assenza di culpa in vigilando ed in educando e l’una non esclude l’altra. Inoltre, la prova deve essere precisa e specifica; non è quindi sufficiente dimostrare di avere genericamente impartito un’educazione al figlio, ma è necessario provare in modo rigoroso di avere impartito insegnamenti adeguati ad indurre il minore ad una corretta vita di relazione. Ne consegue che quando le modalitĂ  del fatto illecito commesso dal minore sono tali da rendere evidente la sua incapacitĂ  di percepire il disvalore della sua azione, correttamente il giudice di merito respinge la prova per testi volta a dimostrare in modo generico l’adempimento del dovere genitoriale di educazione.

Nel caso di specie, correttamene i giudici di merito hanno respinto la prova per testi richiesta dai genitori di T., convenuti in giudizio per il risarcimento dei danni, volta a dimostrare di avere genericamente assolto al loro dovere educativo nei confronti del minore che, con la sua condotta manifestamente imprudente, ha causato il sinistro, guidando il ciclomotore senza casco e con destrezza.

GENITORI, SCUOLA E DIRITTO

L’UORGIO P””A TOSSE E L’ALICE “E MATENATA

Due modi di dire che hanno antiche origini ma ancora oggi fotografano bene situazioni reali. Di Carmine CimminoHa avuto l’uorgio p’’a tosse chi credeva di aver giĂ  vinto, ed è stato sconfitto, il presuntuoso sgonfiato, il tirannello buttato giù dal piedistallo su cui era montato e stava seduto come per diritto divino. Davide che abbatte Golia gli dĂ  l’uorgio p’’a tosse. L’espressione non si attaglia a ogni tipo di vittoria, ma solo alla vittoria sorprendente e imprevista, riportata contro chi crede di non avere rivali: con me se mmesurano ‘a palla. La metafora ruota intorno all’immagine della tosse. La tosse è un sintomo fisiologico, di un’affezione al sistema respiratorio, ma è anche un segnale psicologico: avverte che l’equilibrio degli umori si sta alterando, e che prende il sopravvento l’umor nero del fastidio e dell’ira.

Tossisce a colpi secchi chi non ha più voglia di ascoltare gli altri: hanno parlato giĂ  troppo, e a vuoto, e bisogna mettere punto. Devo mettere punto. Questa tosse psicosociale può essere diplomatica, urtante, camorrista, scatarrante: c’è anche la tosse ironica, c’è la tosse sarcastica. Ha diritto di tossire colpi di tosse di tale portata solo chi detiene ed esercita un potere vero, reale: ma spesso se li consente, questi colpi, anche qualcuno che non conta niente, che non è nessuno. Talvolta alza la voce anche chi farebbe bene a tacere: uno che non è nessuno e invece crede di essere qualcosa o qualcuno. Pure ‘e pulece teneno ‘a tosse.

Come l’orzo placa la tosse vera, così le bastonate, vere e metaforiche, calmano e riportano alla ragione chi ha perso la testa, chi se n’è gghiuto c’’a capa. Sul significato dell’ espressione non ci sono dubbi. Qualche studioso di lingua napoletana ritiene che il centro della metafora sia non la tosse, ma l’orzo, e che il tutto trovi la sua spiegazione nel fatto che nel repertorio delle punizioni lievi previste per i legionari romani colpevoli di infrazioni lievi c’era l’obbligo di mangiare pane d’orzo invece che di grano. Non mi convince, la tesi, prima di tutto perché non spiega cosa c’entri la tosse, e poi perché l’orzo entrava nel menù dei gladiatori e dei legionari per le sue virtù medicamentose, e non come strumento di punizione.

Dice Plinio che una tisana d’orzo, con l’aggiunta di porro, era un ottimo rimedio contro la tosse i catarri di petto e le infezioni alla trachea e ai polmoni. I legionari romani in tempo di pace mangiavano di tutto: in guerra, e in territorio nemico, la portata più importante del rancio era un terrificante miscuglio di orzo, di vino prossimo a diventare aceto, e di aglio. Anche gli opliti ateniesi e i soldati di Alessandro mangiavano aglio. L’orzo rinfrescava il sangue e l’aglio vi immetteva tutta la sua energia. Ma non possiamo parlare dell’aglio in un articoletto dedicato all’orzo, che ha sapore approssimativo e stracco. L’aglio va nella lista degli argomenti che meritano un trattamento di riguardo: tra l’altro, è un protagonista incisivo, anche se riservato, della cucina napoletana.

L’orzo entrò, e forse ancora entra, nelle pomate che le signore usavano per conservare fresca la pelle del volto, e per spianare le rughe dell’etĂ  matura. Ma in ogni sua misura il tempo è nemico feroce della bellezza: non solo il tempo degli anni, ma anche quello delle ore. La freschezza di certi volti femminili, in cui l’opera della natura ha ricevuto il sostegno morbido e invisibile delle creme, è viva e piena nel primo quarto della giornata; poi, sciogliendosi gli unguenti a poco a poco, a poco a poco lo splendore di quei volti si vela, la stanchezza lo appanna, lo offusca, lo spegne. Queste donne sono come alici ‘e matenata: le alici appena pescate, che di primo mattino sfavillano, nel luccichio ancora intenso dell’acqua di mare, sui banchi delle pescherie.

Poi l’acqua si prosciuga, le alici si strapazzano, i colori si abbassano in quel grigio che prima ne esaltava l’intensitĂ , e il grigio da azzurro diventa neutro e smorto, e nulla lo può ravvivare: né le generose spruzzate d’acqua marina che la mano sapiente del pescivendolo distribuisce senza sosta, né i vermigli riflessi delle triglie, dei gamberoni e degli scorfani che quella mano sapiente non a caso ammucchia sui fianchi e sui bordi delle spaselle di pesce azzurro.

L’OFFICINA DEI SENSI

“ERAVAMO SOTTO NATALE”

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Si avvicina per i napoletani un momento magico dell”anno. La speranza prende il sopravvento sulle angherie della vita e diventa un modo di essere. Una espressione dialettica. Di Luigi Jovino

Nel linguaggio popolare i rafforzativi non vengono mai usati a caso. Nelle povere famiglie dove si è abituati a risparmiare su tutto, anche una frase in più può rappresentare uno spreco. «Una parola è poco e due sono troppe», diceva un contadino che non era mai entrato in chiesa per non essere costretto a togliersi il cappello nemmeno davanti a Gesù Cristo. I racconti popolari che raccolgono l’anima della gente semplice vengono, perciò, sintetizzati al massimo. I concetti sono distillati in sequenze concatenate e logiche. Le parole sono limpide, brevi ed essenziali. Non c’è una costruzione che non abbia senso o ragione di essere.

Quando un racconto popolare inizia con la frase eravamo sotto Natale è come se si fosse fatta una premonizione. Sotto Natale a Napoli significa: case fredde, acqua gelata nelle "cannole", ghiaccio alla finestra che si scioglie con l’alito caldo, strade buie e deserte che riportano alla mente i lati più angusti del presepe. Sotto Natale suggerisce un contesto. Sembra quasi una parola d’ordine da cui si sviluppa un canovaccio dagli esiti scontanti. La frase trova una ragione d’essere anche nel complesso dell’economia del vicolo perché richiama la frenesia del possedere. La necessitĂ , cioè, di avere a disposizione le cose minime che in un periodo magico dell’anno non possono mancare.

E per non farsi mancare il necessario a Natale il senso comune giustifica anche qualche "mala azione" o i piccoli raggiri che hanno reso, famoso nel mondo la fantasia del popolo partenopeo. A Natale insomma la gente non vuole sentirsi povera. Si sente autorizzata a far di tutto pur di sconfiggere la triste condizione. Viene quasi voglia di pensare che la filosofia del «tutti dobbiamo campare» si alimenta proprio dall’atmosfera anarcoide-amnistiale che si respira in una zona franca. Nell’attesa del Natale. Il significato più potente della frase va assegnato, però, alla speranza, unica arma che il popolo umile ha per proteggersi dal fato e dalle ingiustizie della vita. Eravamo sotto Natale offre il senso di una grande attesa, dove tutto può accadere. Anche la più ambita delle aspirazioni.

La speranza che rimane sempre una forma di rivalsa, viene perciò usata come un grimaldello per forzare il susseguirsi scontato degli eventi con l’obiettivo di segnare una rivincita prima che le cose accadano realmente. Nella sequenza logica di causa ed effetto una storia che inizia con la frase Eravamo sotto Natale non può finire male. Bisogna esserne sicuri! Quando qualcuno presenta una storia del genere c’è sicuramente il lieto fine. L’articolazione della trama prepara a difficoltĂ  di ogni genere. A momenti in cui il mondo sembra crollare addosso a protagonisti, colpiti da ogni tipo di sfortuna e di angherie. Il freddo, però, è sempre presente. Svilisce ogni aspirazione. Pesa sulla vicenda più di ogni altro accadimento. Le luci, invece, sono fioche e sospese. Poi d’improvviso cambia tutto. Arriva il finale che non è mai a sorpresa.

C’è da preoccuparsi, invece, quando l’ambientazione del racconto richiama spiagge assolate, spighe di grano e il fresco di una serata trascorsa vicino al mare. Non garantiscono esiti ad effetto nemmeno i mesi autunnali che hanno ispirato per secoli i poeti con un pesante carico di atmosfere, foglie, frutti e colori. La gente semplice con questo modo di rappresentare se stessa ha saputo materializzare la fiaba del Cristo fatto uomo. Sulla speranza ha costruito un modello di vita ed uno stile di espressione dialettica. E nell’attesa del Natale si consuma l’essenza stessa dell’essere, sempre sospeso tra ricordi e presentimenti. Quando poi viene Natale si esaurisce la poesia.

La speranza ha esaurito la sua forza propulsiva e si confonde tra le righe dell’evento. Un minuto dopo che è nato Gesù, dopo i canti di gioia, i bengala a stelline e le preghiere, ritorna la tristezza. E l’inverno si fa avanti forte con il suo carico greve. E hai voglia ad aspettare che a settembre il racconto riprenda… Eravamo sotto Natale. (Tratto dal libro “Storie minime”)

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IL MONDO DELLE CARCERI IN SUBBUGLIO

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Il “Piano Carceri”, presentato come innovativo non solo per le strutture ma per i contenuti, si è limitato invece, solo ad imbiancare qualche muro di chissĂ  quale carcere. Forse scioperano i direttori penitenziari. Di Simona Carandente

Vi sono tematiche di ampio respiro, afferenti al contesto giuridico-penitenziario, che rischiano di sembrare ridondanti, talvolta anche ripetitive, monotone. Eppure, nonostante la larghissima diffusione dei mezzi di informazione e comunicazione, nonostante le belle parole profuse a destra e manca, rischiano di rimanere lettera morta, come tante altre promesse non mantenute da chi ne aveva, e tuttora ne ha, ampia facoltĂ .

In questi giorni, la problematica relativa al fantomatico "Piano Carceri" ha scosso le coscienze dei vertici dell’amministrazione penitenziaria che, attraverso l’organismo sindacale che li rappresenta (Sidipe) hanno proclamato lo stato di agitazione, con possibilitĂ  di indire a breve uno sciopero di vastissima portata.
Parole al vento, ancora una volta. Il famoso e famigerato programma, che avrebbe visto il riassetto generale delle carceri italiane, dal punto di vista architettonico ma soprattutto nei contenuti, si è limitato a rimbiancare le mura di qualche sporadico padiglione, in chissĂ  quale istituto, rendendo la situazione a dir poco "tragicomica".

Il problema del sovraffollamento è solo la punta dell’iceberg. Profonde, e di ampio spessore, sono le enormi difficoltĂ  del mondo penitenziario, talmente evidenti da essere certificate dal Governo, lo scorso 13 gennaio, attraverso la dichiarazione dello stato di emergenza.
Gravi appaiono altresì le carenze di risorse finanziarie ed umane, tra cui spiccano le assunzioni di migliaia di nuovi agenti della Polizia penitenziaria, annunciate continuamente ma delle quali, al di lĂ  dell’ingresso di poche centinaia di unitĂ , non vi è affatto traccia. Discorso analogo per la costruzione di nuove carceri che, al di lĂ  di qualche sporadica dichiarazione di intenti, continua a rimanere lettera morta.

Del resto, non tutti sanno che le assunzioni in ambito penitenziario sono bloccate da anni; che non vi è alcun segnale circa la programmazione di concorsi per diventare direttore penitenziario, figura per cui non si indice un concorso, nel nostro paese, da ben 13 anni, contrariamente a quanto avviene in altri rami del settore giustizia; che, parimenti, è mortificata ogni speranza di riqualificazione del personale giĂ  in servizio.

Si legge nella nota del Sidipe che, a fronte dell’ulteriore mancanza di segnale positivo da parte del Ministro della funzione pubblica o di quello della Giustizia, si arriverĂ  all’ipotesi estrema di proclamazione dello sciopero di tutti i direttori penitenziari, che garantiranno altresì ogni più ampia partecipazione a dibattiti, proteste, iniziative pubbliche di sensibilizzazione, nel comune obiettivo di dare alla popolazione, carceraria e non, un segnale di profondo cambiamento. (mail: simonacara@libero.it)
(Fonte foto: Rete Internet)

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É VERO CHE GLI INCENERITORI AUMENTANO LE MALATTIE TUMORALI?

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I favorevoli agli inceneritori chiedono sempre prove certe del rapporto tra combustione dei rifiuti e aumento di malattie tumorali. Le prove ci sono, a quintali, ma gli sporchi interessi sono troppo più forti. Di Amato Lamberti

SarĂ  difficile, per napoletani e campani dimenticare questi ultimi mesi, da settembre a novembre, del 2010. L’emergenza rifiuti che si pensava superata, per decreti, per legge, per dichiarazioni roboanti piene di soddisfazione, è tornata di colpo, con una virulenza maggiore di quella precedente, nonostante l’avvio del funzionamento dell’inceneritore di Acerra, ribattezzato termovalorizzatore per mostrarne la faccia buona di produttore di energia. Si era detto che il sistema industriale di smaltimento dei rifiuti non aveva funzionato perché mancava il punto terminale, appunto, l’inceneritore.

Adesso dicono che continua a non funzionare perché un inceneritore è troppo poco; ce ne vogliono almeno altri tre. Vedrete che costruiti anche questi altri scopriranno che non sono sufficienti e ne chiederanno altri, con grande soddisfazione dei sindaci che avendo fiutato il business, naturalmente per le casse comunali, sono da tempo in fila per poter costruire sul proprio territorio lo sterminatore dei rifiuti. La salute dei cittadini non conta. Tutti coloro che sono favorevoli all’impianto si trincerano dietro la richiesta di una prova certa, inoppugnabile, dati alla mano, del rapporto tra combustione dei rifiuti e malattie tumorali. Un copione giĂ  visto, a Brescia, a Padova, in tutte le localitĂ  dove sono stati costruiti inceneritori.

I favorevoli hanno vinto, gli impianti sono stati costruiti, le malattie tumorali, e anche quelle polmonari, allergiche, linfatiche, respiratorie, sono aumentate e una percentuale sempre più alta di popolazione viene accompagnata anzitempo al cimitero. Naturalmente coloro che, a Brescia, a Padova, a Parigi, a Vienna, a Francoforte, sostengono che gli inceneritori sono la causa prima dell’aumento delle malattie tumorali nella popolazione,sono accusati di fare terrorismo psicologico e di essere disfattisti. Esattamente come avviene a Napoli, ad Acerra, a Terzigno. Rispondono sempre: dov’è la prova del rapporto senza ombra di dubbio del collegamento inscindibile tra combustione dei rifiuti e malattie tumorali?

Sono stati sommersi da studi, ricerche, analisi epidemiologiche, come ben sanno gli studiosi, medici, biologi, ricercatori, realizzati in tutto il mondo. Non gli bastano: a difesa di sporchi interessi hanno schierato i loro giornali, le loro televisioni,i loro cattedratici, i loro opinionisti. Tutti a ripetere: dov’è la prova certa e inconfutabile? Sono state fornite prove a centinaia, se non a migliaia, che riguardano gli effetti sull’organismo umano di tutti i componenti, metallici e non, liberati dalla combustione dei rifiuti. Nessun prova è per loro sufficiente. In Italia, solo a Torino, la Procura della Repubblica ha avuto il coraggio di bloccare la costruzione dell’inceneritore chiedendo ai costruttori la prova che non ci fossero significative ricadute sulla salute dei cittadini. Inversione dell’onere della prova, si dice in gergo.

Naturalmente non sono stati finora in grado di fornire alcuna prova sull’assenza di nocivitĂ  dell’impianto. Il dato paradossale è che la Impregilo, societĂ  della Fiat, non costruirĂ  a Torino quell’inceneritore che ha costruito a Napoli con l’appoggio bipartisan prima della sinistra e poi della destra: business is business. Ma il problema sono oggi le discariche perché senza raccolta differenziata la massa dei rifiuti è troppa anche per un inceneritore capace di ingoiare centinaia di tonnellate di rifiuti al giorno. Pensavano di risolvere tutto aprendo due discariche nel Parco nazionale del Vesuvio, prima cava Sari e poi cava Vitiello.

Non avevano fatto i conti con gli abitanti, o forse pensavano che sul Vesuvio gli abitanti portassero ancora l’anello al naso, per cui con un poco di soldi si poteva tacitare ogni preoccupazione per i miasmi, per gli effetti sulla salute e, soprattutto, per lo sviluppo del territorio. La reazione dei cittadini vesuviani li ha costretti a cambiare strategia: riempire tutte le discariche disponibili, cercarne altre da attrezzare, accelerare la costruzione di nuovi inceneritori. E questo in tutta la regione, per spalmare il problema di Napoli anche negli angoli più tranquilli ed incontaminati. Non si salva niente e nessuno. Guai a dire che Napoli i suoi problemi se li dovrebbe risolvere sul suo territorio, come fanno Parigi, Londra, Tokio, New York, che sono dieci o venti volte più popolate.

Poi ognuno risolve i suoi problemi come meglio crede, ma non chiede una solidarietĂ  che serve solo a nascondere la volontĂ  di non risolvere i propri problemi perché è più comodo scaricarli sugli altri. Naturalmente i napoletani non c’entrano nulla con questo gioco che è portato avanti da amministratori che sulle emergenze hanno costruito le loro fortune politiche, e in qualche caso, anche quelle personali.
(Fonte foto: Rete Internet)

CITTÁ AL SETACCIO