A cura de Il Centro Flegreo di Psicoterapia Cognitiva – www.psicoterapiaflegrea.it. Il presente contributo nasce dalla volontà di analizzare, da una prospettiva psicoterapeutica, le origini del malessere sociale e le possibili vie per una maggiore consapevolezza collettiva.
Osservare il panorama sociale contemporaneo equivale spesso a confrontarsi con un bollettino di guerra: femminicidi che scuotono le coscienze, un’aggressività verbale che tracima dai social network alla vita reale, un senso di isolamento che attanaglia individui formalmente iper-connessi. Come professionisti della salute mentale e attenti osservatori delle dinamiche umane, non possiamo sottrarci all’interrogativo: quali meccanismi psicologici profondi si celano dietro questa marea montante di disagio? E quale ruolo può giocare la psicoterapia, non solo come cura del singolo, ma come lente d’ingrandimento e potenziale strumento di trasformazione per l’intera collettività?
Sotto la superficie del disagio: le faglie psicologiche della nostra collettività
Il malessere che serpeggia nelle nostre comunità raramente è imputabile a singole cause, ma affonda le sue radici in un complesso intreccio di vulnerabilità individuali e disfunzioni sistemiche. Un’analisi che integri la prospettiva clinica con quella socio-culturale diventa imprescindibile per decifrare il presente.
L’analfabetismo emotivo come pandemia silenziosa
Viviamo in un’era di straordinario progresso tecnologico, eppure assistiamo a una diffusa, quasi pandemica, incapacità di navigare il nostro stesso mondo interiore. L’incapacità di riconoscere, nominare, validare e modulare le proprie emozioni – e, di conseguenza, quelle altrui – genera un cortocircuito esistenziale. La rabbia diventa violenza agita, l’ansia si trasforma in paralisi o fuga, la tristezza in isolamento depressivo. La mancata mentalizzazione delle proprie esperienze affettive è un terreno fertile per acting-out distruttivi e relazioni disfunzionali.
L’eclissi dell’empatia e la deriva verso la deumanizzazione
L’empatia, quella capacità squisitamente umana di risuonare con lo stato emotivo dell’altro, sembra subire una progressiva contrazione. Meccanismi di difesa individuali e collettivi, amplificati da contesti comunicativi spersonalizzanti – pensiamo alla violenza verbale protetta dall’anonimato online – favoriscono la deumanizzazione. L’altro cessa di essere un soggetto con cui entrare in relazione, per trasformarsi in un oggetto su cui proiettare le proprie ombre, un nemico da annientare o uno strumento per i propri fini. È qui che attecchiscono il pregiudizio, la discriminazione, e le forme più estreme di violenza interpersonale.
Connessi ma soli: il paradosso della solitudine nell’era digitale
La promessa di una connessione globale e costante offerta dalla tecnologia digitale si scontra con una realtà di profonda solitudine esistenziale. La quantità delle interazioni spesso non compensa la carenza di qualità: legami liquidi, comunità virtuali che faticano a tradursi in supporto tangibile, e una crescente difficoltà a coltivare quella presenza autentica che nutre il senso di appartenenza e sicurezza. Questo vuoto relazionale ha un costo psicologico altissimo.
Il peso dei traumi non risolti: un’eredità che modella il presente
Come individui e come collettività, portiamo il fardello di traumi – storici, economici, pandemici, familiari – che, se non adeguatamente elaborati, continuano a esercitare un’influenza carsica sul nostro modo di percepire la realtà e di interagire. La trasmissione intergenerazionale del trauma, un concetto ben noto in ambito clinico, ci ricorda come le ferite del passato possano alimentare nel presente dinamiche di sfiducia, aggressività o ritiro sociale. Affrontare e integrare queste esperienze traumatiche è un passaggio cruciale per spezzare cicli disfunzionali.
L’ipertrofia narcisistica in una cultura della performance
La spinta sociale verso un ideale di performance impeccabile e di successo auto-celebrativo fomenta una cultura narcisistica che lascia poco spazio alla vulnerabilità, al fallimento come occasione di apprendimento, e all’interdipendenza. La ricerca spasmodica di validazione esterna, l’invidia e la competizione esasperata sono manifestazioni di un Sé fragile, costantemente bisognoso di puntellare la propria autostima attraverso il confronto e la svalutazione dell’altro.
La disfunzionale gestione del conflitto e della frustrazione
Osserviamo una marcata difficoltà nel tollerare la frustrazione e nel gestire il conflitto in maniera evolutiva. La tendenza all’escalation simmetrica, l’incapacità di negoziare soluzioni di compromesso o di accettare la legittima diversità dell’altro, segnalano una carenza di quelle competenze egoiche e relazionali che permettono di trasformare il disaccordo in un’occasione di crescita e non di rottura distruttiva.
Decifrare i sintomi della crisi sociale: un’analisi psicopatologica dei “fatti di cronaca”
I titoli dei giornali e le notizie che dominano il dibattito pubblico, spesso liquidati come mera “cronaca nera” o devianza isolata, rappresentano in realtà la punta emergente di un iceberg ben più vasto e profondo. Da una prospettiva clinica e psicodinamica, questi eventi possono essere interpretati come vere e proprie manifestazioni sintomatiche di dinamiche psicopatologiche che operano a livello individuale, diadico, gruppale e, in ultima analisi, socio-culturale. Un’attenta disamina rivela meccanismi e pattern ricorrenti, che trascendono la specificità del singolo atto per illuminare le fratture del nostro tempo.
Il femminicidio: quando il legame diventa prigione mortale
Il femminicidio, al di là della sua classificazione giuridica, è un fenomeno che interroga profondamente la psicologia delle relazioni. Non si tratta semplicemente di un’esplosione di violenza o di un esercizio di potere fine a sé stesso. Sovente, esso affonda le sue radici in un grave analfabetismo emotivo, dove l’incapacità di tollerare il lutto per la fine di una relazione, di gestire il sentimento di rifiuto o la ferita narcisistica, si traduce in un acting-out distruttivo. Le distorsioni cognitive giocano un ruolo cruciale: la partner viene percepita non come un individuo autonomo con una propria soggettività, ma come un possesso, un’estensione del Sé da controllare. Questo “delirio di possesso”, spesso alimentato da tratti di personalità patologici (narcisistici, paranoidi, antisociali), si accompagna a un profondo deficit della capacità empatica: la vittima viene progressivamente de-soggettivata, spogliata della sua umanità, rendendo “pensabile” e poi “agibile” l’atto finale che ne annichilisce l’esistenza. Si tratta, in molti casi, del tragico epilogo di una spirale di controllo psicologico, isolamento e violenza che ha radici in modelli di attaccamento disfunzionali e in una concezione arcaica e distorta dell’identità maschile e della relazione di coppia.
Bullismo e cyberbullismo: il palcoscenico della crudeltà e del vuoto empatico
Il bullismo, nelle sue forme tradizionali e nella sua più recente e insidiosa declinazione digitale (cyberbullismo), rappresenta un microcosmo in cui si palesano diverse fragilità psicologiche. Al centro, troviamo spesso una marcata carenza di empatia, l’incapacità di riconoscere e sentire la sofferenza inflitta all’altro. L’aggressore può agire spinto da un bisogno di dominanza e di potere, spesso come meccanismo compensatorio rispetto a vissuti di impotenza, inadeguatezza o umiliazione subita in altri contesti. Le dinamiche di gruppo sono fondamentali: l’effetto di diffusione della responsabilità (“non sono solo io”, “lo fanno tutti”) e la ricerca di approvazione all’interno del branco possono disinibire comportamenti altrimenti repressi. Nel cyberbullismo, l’assenza di contatto fisico e la possibilità di anonimato amplificano ulteriormente la de-realizzazione della vittima e l’impunità percepita dall’aggressore, trasformando lo spazio virtuale in un’arena di crudeltà a basso costo emotivo (apparente) per chi la perpetra.
Hate speech e radicalizzazione online: l’identità costruita sull’odio dell’altro
L’escalation dell’hate speeche la facilità con cui si formano e si radicalizzano gruppi d’odio online sono fenomeni che richiedono un’attenta lettura psicologica. La comunicazione mediata dallo schermo può favorire una regressione a meccanismi di pensiero più primitivi e scissi (il “bianco o nero”, il “noi contro loro”). L’interlocutore, privato della sua complessità tridimensionale, diventa facilmente un “altro da odiare”, un capro espiatorio su cui proiettare le proprie frustrazioni, paure e insicurezze. Per individui con un’identità fragile o in crisi, l’appartenenza a un gruppo che condivide un nemico comune può offrire un potente, seppur illusorio, senso di coesione, significato e identità per opposizione. La de-realizzazione dell’altro, la disinibizione legata all’anonimato e l’effetto eco-chamber (dove le proprie convinzioni vengono costantemente rinforzate senza confronto critico) creano un cocktail tossico che può portare dalla semplice espressione d’odio all’incitamento alla violenza reale.
L’epidemia silente di ansia e depressione: il corpo e la mente come sismografi del disagio
L’aumento esponenziale, quasi epidemico, dei disturbi d’ansia e della depressione, con un esordio sempre più precoce, non può essere liquidato come una semplice “fragilità” individuale. Da una prospettiva psicofisiologica e contestuale, questi disturbi rappresentano spesso una risposta adattiva (seppur disfunzionale nel lungo termine) a un ambiente percepito come cronicamente stressante, iper-performante, giudicante e povero di autentiche connessioni emotive e supporti sociali. La pressione al successo, l’incertezza economica e lavorativa, la solitudine mascherata da iper-connessione, e la difficoltà a trovare un senso profondo in un mondo in rapida trasformazione, possono erodere le risorse psichiche individuali. L’ansia diventa un segnale d’allarme costante, la depressione un tentativo di ritirarsi da un mondo percepito come troppo doloroso o ingestibile. Diventa quindi cruciale non solo riconoscere e affrontare i sintomi dell’ansia e della depressione, ma interrogarsi sulle condizioni ambientali e cultu rali che ne favoriscono la diffusione.
Le dipendenze patologiche: la disperata ricerca di un sollievo chimico o comportamentale al dolore psichico
Le dipendenze, siano esse da sostanze psicoattive (droghe, alcol) o comportamentali (gioco d’azzardo, internet, pornografia, shopping compulsivo), possono essere comprese, nella maggior parte dei casi, come un complesso e disperato tentativo di automedicazione e di regolazione affettiva fallimentare. Di fronte a stati emotivi percepiti come intollerabili (ansia, depressione, vergogna, vuoto, noia cronica), a traumi irrisolti o a una profonda sofferenza esistenziale, la sostanza o il comportamento compulsivo offrono un’illusione di sollievo immediato, una tregua temporanea dal dolore psichico. Questa ricerca compulsiva di gratificazione, tuttavia, instaura rapidamente un circolo vizioso che aggrava il problema originario, erodendo ulteriormente le capacità di coping, le relazioni e il funzionamento globale dell’individuo, fino a configurare una vera e propria patologia con basi neurobiologiche e psicologiche profonde.
La psicoterapia come laboratorio di trasformazione: dall’individuo alla matrice sociale
Se le radici del malessere sono così profondamente intrecciate con la psiche individuale e le sue interazioni, la psicoterapia si configura come uno spazio privilegiato non solo per la cura del sintomo, ma per una vera e propria riorganizzazione dell’esperienza soggettiva e relazionale, con potenziali ricadute trasformative sull’intero sistema sociale.
Dall’insight all’integrazione: sviluppare una matura intelligenza emotiva
Il percorso psicoterapeutico facilita l’insight, la comprensione profonda dei propri pattern emotivi, cognitivi e comportamentali. Ma va oltre: promuove l’integrazione di queste consapevolezze nella vita quotidiana, coltivando un’intelligenza emotiva che permette di abitare il proprio mondo interiore con maggiore padronanza e di rispondere agli stimoli esterni con flessibilità e creatività.
Coltivare l’alterità: empatia, compassione e la costruzione di legami autentici
La relazione terapeutica stessa, basata sull’ascolto non giudicante e sulla validazione empatica, funge da modello per relazioni più sane. Si apprende a sospendere il giudizio, a mettersi autenticamente nei panni dell’altro, a comunicare i propri bisogni e a rispettare quelli altrui, fondamenta indispensabili per tessere legami interpersonali nutritivi.
Elaborare i traumi, costruire resilienza
La psicoterapia offre strumenti specifici per l’elaborazione dei traumi, consentendo di trasformare le ferite in cicatrici, e le vulnerabilità in fonti di forza. Questo processo non solo allevia la sofferenza individuale, ma incrementa la resilienza, la capacità di far fronte alle inevitabili avversità della vita senza esserne sopraffatti, e anzi, traendone insegnamento.
Decostruire le narrazioni tossiche attraverso il pensiero critico
Un setting terapeutico sicuro incoraggia anche la messa in discussione di quelle credenze disfunzionali e di quelle narrazioni sociali tossiche che spesso vengono internalizzate acriticamente. Sviluppare un pensiero critico e autonomo è un antidoto potente contro la manipolazione e la passività.
Un contagio positivo: come la cura del Sé può riverberare sulla comunità
L’effetto di un percorso psicoterapeutico non si esaurisce nel perimetro dello studio. Individui più consapevoli, emotivamente competenti e capaci di relazioni autentiche diventano agenti di cambiamento positivo nei loro contesti di vita. La psicoterapia può così contribuire a una “salute pubblica” più ampia attraverso:
- Una psicoeducazione capillare: la diffusione di una cultura psicologica che smantelli lo stigma e fornisca strumenti di comprensione e auto-aiuto.
- Interventi preventivi e formativi nei luoghi della crescita e del lavoro (scuole, aziende, famiglie), per promuovere competenze socio-emotive fin dalla tenera età.
- Una sinergia con altri professionisti dell’aiuto, per un approccio integrato e multidimensionale ai problemi complessi.
- La facilitazione di spazi di dialogo comunitario dove sia possibile affrontare le divergenze in modo costruttivo.
- Un’azione di advocacy affinché la salute mentale sia riconosciuta come priorità nelle agende politiche e sociali.
Tessere una nuova grammatica delle relazioni per una società più umana
Affrontare il dilagante malessere sociale richiede un cambio di paradigma: dalla semplice gestione dell’emergenza alla cura delle cause profonde. Non vi sono panacee, ma un impegno lucido e costante verso la comprensione delle dinamiche psicologiche che ci abitano e ci connettono (o disconnettono) è un punto di partenza ineludibile. La psicoterapia, in questo scenario, non è un lusso per pochi, ma una risorsa preziosa per chiunque desideri non solo “stare meglio”, ma anche contribuire a tessere una nuova grammatica delle relazioni umane, fondata sull’ascolto, sull’empatia e sulla responsabilità condivisa. La salute della polis, oggi più che mai, dipende dalla salute della psiche dei suoi cittadinii.



