Velazquez dipinse il quadro (cm. 99 x cm.169) tra il 1618, quando aveva 19 anni, e il 1620. E già in questo quadro giovanile, classificato da alcuni critici come quadro di genere, egli dimostrava di essere “la perfetta immagine del pittore puro, che, dotato di una portentosa rètina, possiede anche la “mano” infallibile, capace di tenere la realtà sospesa in un istante di vita folgorante.” (A. Perez Sànchez). Del suo quadro “Las meninas” Luca Giordano disse che era “la teologia della pittura”.
Ingredienti: uova, olio di semi, sale. Ungiamo una padella antiaderente con un filo d’olio e portiamo sul fuoco. Rompiamo le uova in una ciotolina e versiamole in padella una alla volta con delicatezza. Cuociamo a fuoco bassissimo per qualche minuto, irrorando le uova con un po’ d’olio ogni tanto. Impiattiamo, condiamo con un po’ di sale e serviamo con una fetta di pane tostato le nostre uova all’occhio di bue. Per fare in modo che l’uovo all’occhio di bue rimanga perfetto, il trucco è aprire le uova in una ciotola e versarle in padella delicatamente da lì. In questo modo, eviteremo che il tuorlo si rompa o si sposti su un lato. (La ricetta è tratta dal sito “fatto in casa da Benedetta”.)
Un critico spagnolo del ‘600, Vicencio Carducho in uno scritto del 1633 fu molto duro con quei pittori che hanno “abbassato l’Arte nobile ai concetti umili, quali si vedono oggi, di tanti quadri di nature morte dai bassi e vilissimi soggetti”. Egli si riferiva anche a Velazquez: e infatti Francisco Pacheco, il suocero del pittore, fece notare al polemico Carducho che le nature morte del genero “meritano altissima considerazione” e risultano “una vera imitazione della natura”. Velazquez risolse genialmente il problema dipingendo nature morte in opere a tema religioso, come nel quadro “Cristo in casa di Marta” (immagine in appendice). L’anziana donna di questo quadro è molto simile a quella che sta cucinando le uova: è probabile che sia il ritratto della suocera del pittore, che aveva l’abitudine di servirsi dei familiari come modelli. Racconta il Pacheco che il genero aveva al suo servizio “un contadinello che gli faceva da modello” e che, in questo quadro “delle uova” è il ragazzo che porta il melone e la bottiglia. Interessante è il commento di Julian Gallego: “La vecchia che cuoce le uova alza lo sguardo sul ragazzo, senza fissarlo: questa azione, che implica dinamismo, viene espressa dall’artista con una quiete sconcertante. Gli sguardi non si incontrano e i personaggi sono immobili quanto gli oggetti che li circondano, come sorpresi dall’obiettivo di una macchina fotografica nel momento in cui si accingono a fare qualcosa che non riescono a fare”. L’immobilità e la tensione del ragazzo e della signora sono sottolineate dalla forma circolare – la figura del cerchio si chiude su se stessa – degli oggetti collocati sul tavolo, del tegame, delle uova stesse, del melone: ma se osserviamo attentamente, notiamo la prima tensione di un movimento nelle pieghe del panno bianco che copre la testa della vecchia e del suo abito, nelle ombre che gli oggetti proiettano sul tavolo -e il coltello all’interno del piatto bianco -, nelle linee sulla scorza del melone. L’immobilità delle figure è in contrasto con il significato metaforico delle uova, che danno energia a chi le mangia: e mi pare che l’autore abbia voluto attirare la nostra attenzione su di esse inclinando verso l’osservatore la parte inferiore del dipinto. La tecnica pittorica di Diego Velazquez si modificò, nel corso degli anni, in misura notevole. Ma in questo quadro ci sono già alcuni moduli che possono considerarsi definitivi. Nel dipingere gli oggetti e i volti il pittore usa, come Caravaggio, “morbidi pennelli di pelo piuttosto che quelli ruvidi di setola” (W. Januszczak): sono pennelli che gli consentono di usare pennellate lisce e sfumate. Non vi sono forti contrasti di tono e di luce, e tutte le parti della scena, anche quelle in ombra, “vivono” di una luce diffusa: Velazquez ottiene questo risultato, che è una caratteristica di tutti i suoi quadri, dipingendo la “scena” non sul bianco della tela, ma su un’imprimitura di toni trasparenti, ottenuta con una sapiente miscela di terra di Colonia, di rosso ocra e di giallo ossido di piombo. “Probabilmente Velazquez stemperava i suoi pigmenti con olio di lino dalla consistenza giustamente fluida, usando un legante più denso solo per i tocchi e le lumeggiature” (W. Januszczak).E poi qualcuno si chiede ancora perché i pittori del ‘900 hanno messo da parte pennelli, colori, leganti, tinte, mezze tinte e tocchi di luce…..