Ancora mistero sul movente che ha innescato il raid nell’eliporto di via Tappia
Sta indagando la polizia di Acerra sull’incendio doloso che lunedi pomeriggio ha danneggiato la palazzina che ospita gli uffici dell’eliporto di via Tappia, una struttura confiscata nel 2019 ai fratelli Pellini, gli imprenditori dello smaltimento dei rifiuti condannati in via definitiva sette anni fa per disastrato ambientale immane in provincia di Napoli. Finora comunque non è stato possibile risalire agli autori del raid che presenta tutte le caratteristiche del giallo. Questo perché secondo quanto trapelato dal rapporto dell’unità 12B dei vigili del fuoco di Afragola, intervenuti sul posto poco dopo lo sviluppo delle fiamme, non sono state trovate tracce di effrazione nell’edificio in cui è stato appiccato l’incendio. Nessuna porta è stata forzata, dunque. Nel frattempo i custodi giudiziari nominati dal tribunale Misure di Prevenzione e che da quasi cinque anni gestiscono l’immenso patrimonio confiscato ai Pellini, hanno provveduto a segnalare l’accaduto all’Agenzia Nazionale dei Beni Confiscati, l’organismo che dipende dal ministero dell’Interno.
I Precedenti
Non è la prima volta che i beni confiscati ai Pellini vengano fatti oggetto di atti di vandalismo. L’anno scorso un gruppo di persone rimaste sconosciute prese di mira il condominio confiscato ai manager dei rifiuti, in via De Gasperi. Si tratta di un grosso complesso residenziale abitato da molte famiglie. Qui alcune persone si introdussero nei cantinati e vi appiccarono del fuoco. Le fiamme per fortuna si spensero subito ma subito dopo furono apposte sui muri con della vernice spray alcune scritte minacciose all’indirizzo degli stessi Pellini. Non è finita. Nell’agosto del 2021 fu incendiato l’agriturismo di località Lenza Schiavone, anche questo un bene confiscato ai fratelli acerrani.
Il processo
Nel frattempo c’è molta attesa attorno alla sentenza della corte di Cassazione che dovrà uscire il prossimo lunedi 25 marzo. La Cassazione è infatti chiamata a decidere sul destino del patrimonio da 222 milioni di euro confiscato ai Pellini. Un tesoro fatto di conti correnti, case, ville, aziende, terreni, auto, moto ed elicotteri e che secondo la magistratura è il frutto dello smaltimento illecito dei rifiuti tossici nella Terra dei Fuochi operato dalle aziende Pellini. Ma intanto la Procura Generale presso la Corte di Cassazione ha chiesto al collegio giudicante di restituire tutti i beni agli imprenditori dello smaltimento condannati per disastro ambientale.