La normativa europea che rivoluziona la disciplina bancaria italiana.
Il 1 Gennaio 2016 è entrata in vigore, in Italia e in tutta Europa, la normativa sul bail-in.
Si tratta della stessa direttiva europea sul salvataggio delle banche, già operativa dal 16 novembre 2015; le norme relative al bail-in, però, facevano eccezione, in quanto probabilmente più complesse, e la loro applicazione venne posticipata.
Il bail-in è, in effetti, un nuovo istituto in materia bancaria, la cui introduzione nella legislazione italiana ha rappresentato una modifica al Tub (Testo unico bancario).
Il contesto è quello della risoluzione delle crisi bancarie. Una banca, se in difficoltà, non verrà più aiutata dall’esterno (bail-out) ma dall’interno (bail-in): vale a dire che essa non potrà più contare su capitali esterni e sull’intervento dello Stato, ma solo sulle sue stesse risorse e sui suoi investitori. Per investitori s’intende azionisti, obbligazionisti e correntisti: il rapporto tra le banche ed i suoi clienti è di fatto rivoluzionato.
Questa notizia ha fatto preoccupare molti e ha allarmato Federconsumatori e Adusbef (Associazione difesa consumatori ed utenti bancari, finanziari ed assicurativi).
Bisogna però specificare quando e come il bail-in entra in atto. La nuova disciplina introdotta prevede nuove misure preventive che ogni banca deve attuare per evitare di dover ricorrere alla liquidazione coatta amministrativa e quindi il fallimento; nel caso questo si verifichi è previsto un piano di risanamento. L’autorità di risoluzione, incaricata di disciplinare questi processi, è Bankitalia. Essa dovrà valutare se il piano di risanamento non sia sufficiente e procedere, quindi, ad altre misure di risoluzione: il bail-in è l’ultima di tali misure, vale a dire che è quella applicabile nei casi più estremi.
Il bali-in consiste nel coinvolgimento di alcuni strumenti finanziari per coprire le perdite di una banca. Si tratta di un coinvolgimento progressivo, si rispetta, cioè, un ordine gerarchico nel grado di rischio assunto: gli strumenti finanziari a più alto rischio, e quindi a più alto rendimento, sono i primi a poter essere azzerati in caso di risoluzione.
Tale ordine prevede che le perdite vengano prima coperte dagli strumenti di capitale, vale a dire azioni, e poi obbligazioni subordinate. Tutti gli altri creditori – quindi depositanti, portatori di obbligazioni non subordinate e certificates – subiranno delle perdite solo qualora gli strumenti di capitale non sono abbastanza per procedere alla risoluzione.
Fondamentale è anche specificare che i correntisti chiamati in causa sono solo quelli i cui depositi sono superiori a 100.000 euro: i depositi sotto tale cifra restano protetti dal fondo interbancario di garanzia.
Questo è, in poche parole, il bail-in.
La ratio dietro questa normativa è ridurre gli incentivi delle banche ad intraprendere attività ed ad investire in asset troppo rischiosi. Se una banca ha la certezza di essere supportata da capitali esterni è più incentivata a rischiare, soprattutto se è “troppo grande per fallire”, perché lo Stato la salverà sicuramente. Se invece per coprire eventuali perdite una banca deve ricorrere solo alle sue forze, l’incentivo a rischiare è sicuramente minore.
L’idea quindi è quella di riportare le banche alla loro funzione principale, di intermediazione e trasformazione.
Senza dubbio, però, se non lo facevano già, i consumatori smetteranno di guardare alle banche come una cassaforte sicura per i propri risparmi. Sorge la necessità di informarsi sullo stato di salute di una banca, prima di diventarne cliente, e soprattutto sulla tipologia degli strumenti finanziari su cui si decide di investire.
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