A Sanremo Geolier ha avviato una rivoluzione o ha fatto “n’asciuta ‘nquinta”?

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Le soluzioni adottate da Geolier nello scrivere la lingua napoletana della canzone “I p’ me t’ p’ te” presentata a Sanremo hanno provocato le dure reazioni, tra gli altri, di Maurizio De Giovanni- “è uno strazio” – e di Angelo Forgione “Mi è apparso San Gennaro sanguinante in croce”. Quel che Agostino Palomba ha detto sul destino della lingua napoletana. “N’asciuta ‘nquinta” la fa l’attore che irrompe sulla scena per uno “sfogo improvviso”.

 

Il napoletano è una lingua complicata, nei significati e nelle forme. Molti anni fa, quando a Ottaviano si svolgevano le sedute del Premio di poesia dialettale “Salvatore Di Giacomo”, ho assistito alle illuminanti discussioni che suggerivano a Francesco D’Ascoli, a Vittorio Paliotti, a Caravaglios e a Nicola De Blasi i problemi di lessico e di grafia sollevati dai testi. E decenni dopo Salvatore Palomba, l’autore di “Carmela “ e di “Amaro è ‘o bene” faceva notare, come Francesco D’Ascoli, che i giornali non pubblicano più i testi delle canzoni “napoletane” e la scuola e i libri di testo, anche quelli pubblicati a Napoli e adottati dalle scuole napoletane, non fanno conoscere ai ragazzi le poesie di Di Giacomo e passi delle commedie di Viviani e di Eduardo.” Ognuno scrive a modo suo e il napoletano può diventare incomprensibile, perché diventa una lingua che si parla in un modo e si scrive in un altro e, se non ci sono dei canoni condivisi, diventa difficile da decifrare
”. E questa “sentenza” di Palomba farà certamente piacere a Geolier. Palomba sosteneva che la lingua napoletana, essendo soprattutto una lingua “parlata”, si modifica con una certa rapidità e la televisione fa in modo che il lessico e anche la grafia siano sottoposti a una seria italianizzazione. Del resto, lo stesso Viviani, che pure non apprezzava il “napoletano” di Di Giacomo, colorava di “italiano” certi significativi passaggi delle sue commedie quando venivano rappresentate nei teatri del Nord. Oggi tutto questa italianizzazione diventa di giorno in giorno più marcata, perché anche i popolani dei vicoli di Napoli cercano di usare parole dell’ “italiano” per una specie di emancipazione linguistica: sono assai lontani i tempi in cui anche i signori dei piani alti parlavano non solo l’italiano, ma anche il napoletano. Palomba riconosce però che a Napoli e nel suo territorio ci sono “isole” in cui la lingua napoletana non solo sopravvive, ma conserva la capacità di evolversi: “Le mie canzoni, la mia lingua, la capiscono tutti quanti, la capiscono i ragazzi di Scampia e di ogni quartiere di Napoli, magari non la sanno parlare, la scrivono in un altro modo, però è la lingua napoletana che si parla ancora oggi. Quando avevo una rubrica su «Il Mattino» dedicata alla poesia e alla lingua napoletane, feci una notazione che mi sembrava molto interessante su “avere ed essere”. In napoletano non usiamo il verbo avere, lo usiamo solo come ausiliare, e questo mi sembra più preciso, perché se dici: « “Iio ho sonno»,” mica poi possiedi il sonno? In napoletano, tu dici tutt’al più: «“Mme moro ’e suonno»” oppure: «“Ttengo famme»”, è un “tengo” come quello degli spagnoli, cioè indica un possesso momentaneo, una sensazione, che risulta più precisa dell’espressione relativa in italiano”.La posizione della studiosa di musica Simona Frasca è molto più vicina a quella del linguista napoletano Nicola De Blasi che, nei giorni scorsi, si è schierato in difesa dell’oralità del testo: «La questione della lingua in musica è cosa che si comprende nel momento in cui ci rendiamo conto che la canzone, in generale, come forma musicale moderna “codifica” un linguaggio del presente, della contemporaneità». Insomma, secondo Simona Frasca, il brano di Geolier, che piaccia o no, è capace di intercettare una comunità di ragazzi che ascoltano, apprezzano e condividono questa modalità comunicativa. In realtà tutta la polemica pare male impostata. Certo, la lingua napoletana si è modificata nel tempo, e quella di Di Giacomo è chiaramente diversa dalla lingua di Ferdinando Russo: ma non nella sua vera sostanza e nella sua interezza: lo stesso corredo di conoscenze linguistiche consente di capire con precisione non solo i due grandi poeti dell’’800, ma anche il napoletano del ‘900, quello di Edoardo, di Totò, delle canzoni. Si modificano il significato di alcuni vocaboli e modi di dire, qualche struttura sintattica e nessi fonetici e grafici anche significativi, ma tutto il sistema conserva in misura importante chiarezza e coerenza. Il lessico e la scrittura della lingua usata da Geolier sono invece vistose le lacerazioni del corpo della lingua napoletana, e non si sa quale sia l’obiettivo dell’autore, fare solo rumore o avviare una vera rivoluzione, “n’’asciuta ‘nquinta”. E nel campo linguistico i colpi di mano si sa quando incominciano, ma non si sa quando e come finiscono.