LA CRISI DEI PARTITI. I TEMPI SONO MATURI PER IL CAMBIAMENTO

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    Le ultime elezioni hanno messo a nudo due evidenze: la crisi dei partiti e quella, ben più grave, della democrazia rappresentativa. L”ottusità dell”azione politica di Luigi Cesaro. Di Amato Lamberti

    Le elezioni amministrative del maggio 2012 saranno ricordate a lungo perché si può dire che hanno segnato un punto di svolta nella politica italiana. Innanzitutto, sono andati a votare solo il 50% degli aventi diritto, vale a dire la metà degli italiani. E questo tanto al Nord come al Sud. Un dato importante perché al Sud non hanno retto nemmeno le reti clientelari che sostenevano la partecipazione alle elezioni amministrative.

    Al Nord il voto d’opinione, più consistente che al Sud, ha abbandonato i partiti tradizionali e si è orientato verso le liste civiche e, soprattutto, verso il Movimento 5 Stelle che ha registrato un risultato di dimensioni inaspettate in città come Parma e come Genova, ma anche in tanti piccoli comuni dove il voto di protesta si orientava verso la Lega Nord. Tutti i commentatori hanno letto questi risultati come la prova della crisi dei partiti tradizionali che sembrano aver esaurito la propria funzione di cinghia di trasmissione tra le istanze e i bisogni della gente e le Istituzioni. La mia impressione è che oltre alla crisi dei partiti, dovuta anche alla perdita di ogni credibilità per i numerosi scandali che li hanno interessati, bisogna parlare anche di crisi della democrazia rappresentativa e delle sue regole.

    Quando metà degli elettori non si reca a votare significa che non si ha più fiducia nello strumento su cui si fonda la rappresentanza, vale a dire le elezioni per la nomina dei rappresentanti. Molti non si recano a votare perché lo ritengono esercizio inutile ai fini della scelta di politici e amministratori. In crisi sono quindi i partiti ma prima ancora la democrazia. Di questo i partiti non sembra che si siano neppure resi conto. Intenti come sono ad assicurarsi una sopravvivenza qualsiasi hanno perso ogni capacità di ascoltare la gente che non chiede solo rinnovamento di persone ma del modo stesso di fare politica. Una riprova di questa ottusità e insensibilità ce la da la giunta provinciale di Napoli, dove il suo presidente dopo le amministrative ha proceduto ad un ampio rimpasto nominando assessori gli aspiranti sindaco usciti sconfitti dai ballottaggi ad Acerra e a Pozzuoli.

    Come se la volontà della gente non contasse niente, come se il consenso elettorale non fosse la misura anche della credibilità politica di un candidato. Ma anche a livello nazionale i partiti tradizionali non sembra che abbiano colto i segnali di cambiamento che vengono dalle ultime elezioni amministrative e, o si accontentano dei risultati conseguiti in termini di sindaci, o si trincerano dietro la crisi economica più generale e le difficoltà del governo tecnico a affrontarla. Nessuno pensa che la crisi di credibilità è dovuta all’assenza di programmi e progetti capaci di modificare l’assetto stesso delle istituzioni e la governance del Paese a cominciare dagli Enti locali. Programmi e progetti, non sembri paradossale, che oggi solo il Movimento 5 Stelle è in grado di esibire con chiarezza e con decisione.

    Si possono o meno condividere alcuni punti del programma ma come si fa a non essere d’accordo sull’abolizione delle Provincie, sull’accorpamento dei Comuni sotto i 5000 abitanti, sul limite di due mandati per parlamentari e amministratori, sul divieto per i parlamentari di esercitare altra professione, sul divieto di cumulo di mandati, sullo stipendio dei parlamentari e dei consiglieri regionali allineato alla media degli stipendi in Italia, sui referendum propositivi oltre che abrogativi. Allo stesso modo, per quanto riguarda anche le amministrazioni locali, le proposte su Energia, Informazione, Economia, Trasporti, Salute (le 5 stelle) sono non solo innovative ma capaci di dare risposte praticabili per dare soluzione a problemi che riguardano la vita della gente ma anche la tenuta sociale ed economica dell’intero Paese.

    Altro che “antipolitica” come troppi, a cominciare dagli organi di stampa, vogliono far credere. Si tratta piuttosto di un modo nuovo di fare politica, fondato sulla partecipazione più larga dei cittadini e non sulla centralità di apparati di partito tesi solo a raccogliere consensi da utilizzare per conservare e consolidare rendite di potere e di posizioni di governo dalle amministrazioni locali alle Istituzioni nazionali. Fermarsi alle “esternazioni” urlate di Grillo, come purtroppo fanno gli organi di informazione, non aiuta a comprendere un movimento che sta già innovando – finalmente- il modo di fare politica in Italia.

    La gente lo ha capito: partiti e organi di informazione pensano solo a difendere un sistema di potere che ci ha portato al disastro economico e sociale. I tempi sono maturi per il cambiamento.
    (Fonte foto: Wikipedia)

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