“Il Confessore”. Storia di “Amore, perdono e carità”

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Uno spettacolo introspettivo, un monologo in cui il protagonista cerca nell’amore la risposta contro le mafie, un’ancora di salvezza contro le violenze.

In una scena spoglia, semplificata fino a diventare scarna, un luogo non luogo in cui vive l’intimità del personaggio. E’ una confessione pubblica quella del confessore, che si mette a nudo. La confessione è rivolta ad un giornalista, il pretesto è l’intervista ad un interlocutore assente, che pone il pubblico nella posizione di incarnare quel personaggio assente, responsabile di ricevere la confessione.

Un testo serrato che passa da ricordi di infanzia a riflessioni intime sui rapporti umani. La confessione di un prete chiamato a muoversi contro la mafia non per scelta ma per semplice vocazione ad incarnare i valori di amore perdono e carità.
«Amore, perdono e carità» è quasi un mantra ripetuto durante tutto lo spettacolo, dai ricordi dell’infanzia, i racconti delle prime amicizie, i legami che si creano su un campetto di calcio improvvisato tra ragazzini. Un legame tra adolescenti che neanche la vita è riuscita a sciogliere. La vita separa i percorsi, portando i due amici a scegliere strade diverse. Uno prete, uno boss.

E’ questo il nocciolo della confessione, forse. L’incapacità del prete di sciogliere l’amore verso quel ragazzino diventato boss. La perdita che è di un boss ma anche di un amico, di una parte di se stessi che è andata perduta per sempre.
Lo spettacolo scritto e diretto da Giovanni Meola, con Aldo Rapè ha debuttato a Napoli al Théâtre De Poche in anteprima nazionale il 21 marzo, Giornata della Memoria e dell’Impegno contro la mafia, prima del Tour che lo porterà in varie località italiane la prossima stagione.
(Fonte foto: Ufficio Stampa)

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