Le parole di alcuni membri del Governo Monti (e quelle delle ultime ore del ministro Cancellieri), lasciano intendere che questi professori sono poco lucidi sulle difficoltà dei giovani e delle famiglie italiane. Di Carmine Cimmino
Il sig. Michel Martone, viceministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, figlio di un padre che fu Avvocato Generale in Cassazione e fu molte altre cose ancora, chi lo ha spinto a fare quella battuta sugli sfigati, e a tirarsi addosso invettive, ingiurie e scheletri scavati da armadi in cui riposavano tranquillamente? Lo ha spinto la sua sfiga. Dunque il giovane viceministro ha detto che chi non si laurea prima dei 28 anni, è uno sfigato, uno che vive sine fica, che si capisce subito che cosa terribile e insopportabile significhi: è insomma uno sfortunato estremo, un impasto di malasorte. Potremmo anche essere d’accordo.
Se uno ha 28 anni e non si è laureato ancora, vuol dire, prima di tutto, che suo padre non è professore universitario. Se lo fosse, egli, il figlio, non sarebbe uno sfigato. A 28 anni sarebbe già almeno ricercatore. Sarebbe già entrato nel libro “Parentopoli. Quando l’ Università è affare di famiglia“, che il giornalista Nino De Luca ha pubblicato nel 2009, raccogliendo le segnalazioni inviate al Corriere.it. Vi si racconta, tra gli altri casi, quello della Facoltà di Economia dell’Università di Bari: roba da “Guinnes dei primati“: otto docenti con lo stesso cognome e della stessa famiglia. Si registra, nel libro, la dichiarazione del prof. Giuseppe Nicotina, il quale così spiega come il figlio Ludovico “ha vinto in solitaria un concorso per ricercatore“:
“I figli dei docenti sono più bravi perché hanno tutti una forma mentis che si crea nell’ambito familiare tipico di noi professori”. (Corriere della Sera, 14 marzo 2009). Il padre dello sfigato non solo non è professore universitario, ma nemmeno alto funzionario dello Stato, né membro di qualche loggia segreta, né lobbista, né onorevole. Insomma, uno sfigato così è l’incarnazione della jella. A tal punto che si prepara per l’esame, impara, ripete, capisce, assimila: ma incappa in una professoressa che ha vinto il concorso per certe sue virtù particolari, per certe sue doti naturali, che non dipendono dall’intelletto: sono le esaminatrici più terribili, si sbattono, fanno teatro, e per placare i rimorsi , prima di bocciare, gridano: ma che crede lei? io per occupare questo posto, mi sono fatta un culo così.
Ed è la verità : e mi pare giusto che non abbiano pietà per gli sfortunati cronici. È la legge della selezione naturale. Se uno è sfigato, non gli capiterà mai di diventare tesoriere di un partito che non c’è più ma c’è ancora, e di sfilare dalla cassa 13 milioni di euro, sotto gli occhi di dirigenti che non vedono, non sentono e non capiscono, e che tuttavia pretendono di amministrare l’Italia. A uno sfigato autentico non capiterà di comprare un palazzo per 22 milioni di euro e di rivenderlo due ore dopo per 40. E dunque di fatto ha ragione il sig. Martone. Ci sono sfigati che non riuscirebbero a liberarsi dalla jella nemmeno se ogni giorno si sottoponessero al rito napoletano dell’acqua di pesce, e consumassero, ogni giorno, un menù apotropaico: zuppa di fave, di aglio e di aceto, sangue di toro, braciole di carne di cavallo.
E tuttavia non c’è perdono per il sig. Martone. Che ha cercato di metterci una pezza a colori: non dovevo parlare a braccio, non sono stato sobrio. Non c’entra questa benedetta sobrietà, sig. Martone Michel: lei avrebbe dovuto solo tacere. La crisi già impedisce agli sfigati di gustare la bellezza e la profondità delle parole del prof. Monti sulla noia del posto fisso. È il vantaggio di avere come capo del governo un uomo colto. Monti ha letto Courteline: “L’impiegato e l’ufficio: quale dei due era il frutto naturale dell’altro, la sua naturale secrezione? Non si sarebbe potuto precisarlo. Il fatto è che si completavano a vicenda, che si facevano valere l’un l’altro, in reciprocità, entrambi allo stesso modo sordidi e miserabili “.
Monti ammira gli americani, il loro “spirito irrequieto“ (Tocqueville), il mito non ancora logoro della “nuova frontiera“, lo spirito del pioniere (Simon Schama). Cose tutte belle: ma qui, in Italia, il popolo degli sfigati è inutile che si metta in moto: il presente e il futuro già sono stati occupati dalle caste di padri e di figli e di nipoti. Non c’è più spazio libero nemmeno sotto i ponti, nel caso che uno voglia vivere da barbone; e davanti alle chiese e ai cimiteri sono già stati assegnati i posti di mendicante e di guardiamacchine abusivo, e anche nelle piazze di spaccio non servono più “pali“. Il dott. Martone Michel avrebbe fatto meglio a tacere. È anche lui uno sfigato, e non lo sa. Potrei dire che è sfigato perché su michelmartone.org ha scritto di sé: madrelingua francese, il mio habitat è l’Università, sono un grafomane che sfoga le proprie inquietudini scrivendo sui giornali.
Uno così cosa sa degli odori della vita vera, quella che scorre per le strade? Uno così è un pesciolino d’acquario che si permette di dare lezioni sulle vie dell’oceano. Siamo due nazioni: la nazione di quelli che stanno nel castello, e la nazione di quelli che stanno fuori. Il merito c’entra molto poco. Se anche il sig. Martone, carico di titoli accademici e di medaglie, viceministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, non vede questa realtà, siamo messi proprio male. Se questo è un tecnico… Potrei dire che egli è sfigato anche per la sua capigliatura. Capelli artisticamente scompigliati, capelli da intellettuale che vorrebbe risultare inquieto, ma rischia di apparire solo incompiuto.
Egli è sfigato soprattutto e prima di tutto perché ha un nome francese, Michel, che si pronuncia Miscèl. A uno come me che in quanto ottajanese sta sotto l’alto patronato di San Michele pare incredibile che da qualche parte l’Arcangelo vincitore di Belzebù venga chiamato Miscèl: un suono che sconcia la sua immagine di guerriero. Uno che si chiama miscelmartone o, peggio, martonemiscèl – un urto allappante di toni e di timbri, una strusciata del gesso sulla lavagna – uno che ha quei capelli – e, a pensarci bene, non potrebbe avere capelli diversi -, farebbe bene a non provocare gli sfigati. I quali nei tempi tristi e grami sono facili all’ira: è come se, avendo dichiarato: non abbiamo un tozzo di pane per sfamarci, si sentissero rispondere: se vi manca il pane, mangiate ostriche e caviale.
(Foto: Quadro di W. Gropper, “Seduta del Senato”, 1935)