COSMOPOLIS

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David Cronenberg porta sullo schermo il discusso libro di Don DeLillo e prova a tradurre in immagini le riflessioni dello scrittore italo-americano sulla fine del capitalismo.

Manhattan è in subbuglio per la visita del Presidente degli Stati Uniti. La folla inferocita trasforma le vie di New York in un teatro di guerra, per protestare contro la crisi economica globale. Eric Packer, giovane fuoriclasse dell’alta finanza, ha altro per la testa: con la limousine bianca della sua società decide di attraversare tutta la città per andare dal barbiere di fiducia. Un viaggio particolare durante il quale incontrerà dei colleghi per questioni di lavoro, si scontrerà con il disordine delle proteste e farà i conti con delle minacce di morte piuttosto serie.

Verrebbe da dire che ad un regista come Cronenberg si può perdonare tutto, anche un’ora e quaranta minuti di film con ambientazione principale l’interno di una macchina. Tuttavia l’impressione è che, al netto dell’assodato talento del canadese, al film manchi qualcosa soprattutto nella rappresentazione di quel malessere esterno che circonda il protagonista.
Se c’è una cosa che a Cronenberg riesce sempre bene è quella di stupire. Anche in questa occasione, lo spettatore si trova davanti ad un film atipico, dove il racconto di un dramma contemporaneo (le proteste, la crisi economica) si scontra con un linguaggio cinematografico a tratti surreale e denso di simboli, che rispetta in larga parte i dialoghi stranianti del libro di DeLillo.

La prima, evidente metafora – la limousine come scrigno dorato che separa il protagonista dal mondo esterno – costituisce lo scheletro del film. Eric, vestito di tutto punto e concentrato sui suoi obiettivi, sceglie volontariamente di “non vedere” il caos esterno, quell’onda disordinata e inviperita che rischia di travolgere il mondo ordinato e calcolato nel quale il giovane vive. Così il suo viaggio è occupato da riflessioni spicciole oppure dal lavoro, niente – dal crollo (presunto) del sistema alle relazioni interpersonali – sembra turbarlo. Progressivamente l’appuntamento col barbiere diventa un incontro col destino di un personaggio che non è riuscito a comprendere gli stravolgimenti della realtà.

Cosa non funziona? Forse Cronenberg viene schiacciato da un’eccessiva ambizione. Costruisce un film molto “dialogato”, basato sulla scrittura spiazzante dell’originale, ma nel fare questo rinuncia all’immediatezza dell’immagine, che rimane confinata a supporto di una sceneggiatura che parla di tutto senza, in realtà, comunicare alcunché. Cosmopolis è cervellotico e oscuro, ma manca il guizzo geniale che lo trasformi in un capolavoro capace di penetrare nella complessità dei fenomeni. Il talento di Cronenberg sembra soffrire la claustrofobia dei dialoghi, più che quella dello spazio, e col passare dei minuti il film perde il “morso” simbolico e potente sul tema da cui era partito.

A stridere, alla fine, è la terra di mezzo dove Cosmopolis ristagna. Il contesto sociale ed economico nel quale il film si muove – rappresentato realisticamente o con licenza di sorprendere, come in questo caso – merita un’analisi più profonda di quella affidata a dei dialoghi bizzarri uniti ad un paio di riferimenti alla modernità tecnologica per dare l’impressione che, sì, in fondo si sta facendo del cinema impegnato capace di parlare del reale.
Quello che rimane è una potente metafora iniziale (la limousine), alla quale segue un film senza sussulti. Cronenberg sparisce dietro al libro e, per chi apprezza il suo talento visivo, questa non può essere una buona notizia.

Voto 6/10
Regia di David Cronenberg, con Robert Pattinson, Juliette Binoche, Sarah Gadon, Mathieu Amalric, Jay Baruchel, Paul Giamatti
Durata: 105 minuti
Uscita nelle sale: 25 maggio 2012-06-13
(Fonte foto: Rete Internet)

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