A NAPOLI IN TROPPI NON METTONO INSIEME IL PRANZO CON LA CENA

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    Nella città una famiglia su quattro vive al di sotto della soglia di povertà. Per il cardinale Sepe “non ci sono più neppure pane e speranza”. Ma la politica non se ne rende conto. Di Amato Lamberti

    Le statistiche parlano sempre chiaro e spesso non hanno neppure bisogno di interpretazioni. Sono anni, che le statistiche, appunto, ci avvertono che in Italia sono in aumento, al Sud come al Nord, le famiglie in condizioni di povertà. E non si tratta di nuove povertà, quelle legate all’aumento dei consumi e all’ampliarsi delle aspettative. Non si tratta di persone che non possono andare in vacanza, che non possono fare la settimana bianca, che non possono comprarsi un suv, che non possono andare a cinema e a ristorante ogni settimana, che non possono acquistare il motorino al figlio.

    Si tratta di persone che hanno difficoltà a mettere insieme il pranzo e la cena, che non possono acquistare un nuovo paio di scarpe o un cappotto per ripararsi dal freddo. Molti sono anziani che con l’andata in pensione hanno dovuto rivedere completamente il loro stile di vita. L’altro dato che i ha colpito è quello che cresce il numero di giovani disoccupati che il lavoro non lo cercano neppure più. Le statistiche li chiamano "scoraggiati", ma sono quelli che magari dopo aver tentato tutte le strade possibili hanno perso ogni speranza e si sono messi in attesa magari di un colpo di fortuna. A Napoli, come era facile prevedere, almeno per chi ci vive in questa città, le statistiche registrano la situazione peggiore sia per quanto riguarda la povertà, che per quanto attiene alla disoccupazione e allo scoraggiamento di giovani e meno giovani.

    Il cardinale Sepe, con quell’acume che gli va riconosciuto, ha messo non molto tempo addietro il dito nelle piaghe di Napoli e con una sola frase di grande effetto, "a Napoli non ci sono più neppure pane e speranza", ha fotografato una situazione drammatica di cui la politica e gli amministratori sembra che non si rendano neppure conto. Non c’è più pane: a Napoli una famiglia su quattro vive al di sotto della soglia di povertà; una famiglia su quattro galleggia appena al di sopra dell’abisso della povertà. Vale a dire che metà della popolazione vive, tutti i giorni, in una condizione drammatica di penuria e di assenza di prospettive. Non c’è più speranza: i giovani a Napoli terminano gli studi e se ne vanno a cercare lavoro fuori, al Nord, all’estero, in qualsiasi posto che non sia Napoli e il Mezzogiorno.

    Non cercano neppure lavoro a Napoli; in questa città non vogliono restare un giorno in più del necessario. Perché non hanno più speranza; perché rifiutano i percorsi della raccomandazione, del lavoro nero, dello sfruttamento pieno solo di promesse. A Napoli anche negli studi professionali l’offerta di lavoro è sempre in nero, sfruttati e sottopagati. Nelle imprese artigianali il lavoro è sempre in nero e senza nemmeno le più elementari garanzie assicurative. Nel commercio, che è il comparto produttivo che regge l’economia della città, il nero è la regola. In pratica un pezzo di città ingrassa, l’altra tira la cinghia e riesce appena a sopravvivere. In una situazione di questo tipo non ci si può meravigliare della diffusione di comportamenti di scoraggiamento rispetto alla ricerca del lavoro.

    Il risultato è che sono molti i giovani che si rintanano nelle opportunità che la famiglia riesce comunque ad assicurare e finiscono per avere come riferimento il gruppo dei coetanei egualmente scoraggiati o che si arrangiano nelle pizzerie, nei pub, nei ristoranti. Ma in una situazione dove il lavoro stabile diventa irraggiungibile non ci si può meravigliare, come qualcuno pure continua a fare con la spocchia dell’intellettuale, della diffusione di comportamenti illegali e di fenomeni di degrado civile e morale. Quando si è alla fame e alla disperazione valgono solo le esigenze della sopravvivenza e le leggi della giungla. Meraviglia, anzi, che a Napoli, con una tale condizione di miseria economica, culturale e civile, i tassi di criminalità siano più bassi di quelli di città ricche, come Milano o Bruxelles.

    C’è un tessuto morale e familiare che nonostante tutto ancora tiene ma che se non viene sostenuto ed aiutato rischia di sfaldarsi e di decomporsi liberando rabbia e sentimenti di rivalsa. All’allarme del cardinale spetta alle istituzioni cittadine di Napoli rispondere, senza ancora una volta minimizzare, ma prendendo finalmente in carico il dolore della città dei deboli, degli emarginati, dei senza lavoro: per dargli se non il pane, almeno la speranza. All’allarme delle statistiche nazionali spetta al governo rispondere, non perché non possono restare insensibili al grido di dolore di tante famiglie in povertà e di tanti giovani in difficoltà economiche e psicologiche, ma perché, molto più cinicamente, in queste condizioni l’economia del Paese entra in crisi, il motore produzione-consumo si inceppa, la recessione si affaccia prepotentemente e diventa difficile fermarla.

    La povertà è un problema di tutti, la disoccupazione dei giovani è un problema di tutti.
    Una società povera e scoraggiata è una società nella quale si spengono le energie vitali e si avvia un processo di decadimento. I nostri politici, pur nella loro ignoranza, dovrebbero sempre tener d’occhio le statistiche imparare magari a leggerle.
    (Foto: “La Pendolare” di Valentina Vetturi)

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