“Un padre, una figlia”, recensione del nuovo film di Cristian Mungiu.

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Un film brutalmente onesto  sulla crisi morale di un padre e di una nazione.

“Un padre, una figlia” è un film del 2016, diretto dal regista rumeno Cristian Mungiu (già vincitore della Palma d’oro nel 2007 per “Quattro mesi, tre settimane, due giorni”, vincitore del premio per la miglior regia al festival di Cannes. La pellicola è una accurata e coinvolgente analisi del rapporto padre-figlia, visto dal punto di vista del genitore. L’antieroe, protagonista di “Un padre, una figlia” è Romeo Aldea, un medico onesto e stimato che vive con la sua famiglia in una piccola cittadina della Transilvania. L’uomo, oramai stanco e disilluso a causa della corruzione dilagante e delle condizioni sempre più deprimenti che spopolano in Romania, ha imposto alla sua unica figlia, Elisa, di lavorare sodo, sin dalla prima infanzia, con l’unico obiettivo di andare a proseguire, subito dopo la maturità liceale, gli studi in Inghilterra. La ormai concreta possibilità di abbandonare la Romania per il “più civile” Regno Unito, inizia a sfumare quando, il giorno precedente la prima prova d’esame di maturità, la giovane viene aggredita brutalmente. Romeo, noncurante del collasso psicologico della figlia (e anche di sua moglie), inizia in modo convulso ad architettare le macchinazioni più disparate per permettere alla figlia di ottenere il punteggio necessario a ricevere la borsa di studio di cui ha bisogno. Il protagonista si avvicina al sistema locale della corruzione e, accantonando i principi con cui ha educato Elisa, si piega all’uso di metodi poco ortodossi e così finisce per far collassare su se stesso il fragile equilibrio familiare e lavorativo che con onestà e abnegazione aveva costruito in tanti anni.
“Un padre, una figlia”, è un intricato e profondamente intelligente quadro di uno stato di depressione nazionale in Romania. L’efficace regia di Mungiu, permette allo spettatore di giudicare in maniera oggettiva le scelte del protagonista, pur avendo a disposizione uno scorcio ben limitato della sua esistenza (in due ore, difatti, vi è un susseguirsi di eventi complessi e intensi). Romeo fa parte di quella generazione che ha tentato invano di cambiare le cose e che, ora, si vede circondata da corruzione e omertà. L’incredibile fermezza con cui compie ogni suo atto, dal più comune (come svolgere il suo lavoro) al più inaspettato (come tradire sua moglie con una donna molto più giovane), cela, a poco a poco, una fragilità intrinseca che, tramite alcuni elementi di mistero, conduce il medico ad un lento e silenzioso declino.  L’intima guerra che si consuma tra Romeo ed Elisa è lo specchio di due generazioni, la prima cinica e arrabbiata, la seconda tristemente smarrita, ma, in realtà, “Un padre, una figlia” non è un film disperato – il regista suggerisce anche che la nuova generazione potrebbe voler mettere le cose a posto – è solo brutalmente onesto. La risposta enigmatica e parziale, un po’ alla Haneke, che il finale offre alla vita provinciale del protagonista, è il tocco finale perfetto per un film pulito e schietto, di cui il cinema contemporaneo aveva senz’altro bisogno.