IN ITALIA CI SONO 50 MILIONI DI DOCENTI!

0
Quando si tratta di scuola tutti, ma proprio tutti, si sentono padroni di dire qualche cosa e di dare consigli. In particolare i non addetti ai lavori.

Caro Direttore,
tempo fa, un noto giornalista televisivo conduceva una trasmissione sui problemi della cittĂ . Nel suo studio si avvicendavano donne e uomini della politica, dello sport, delle professioni e delle arti. Io ero molto amico di quel giornalista e, avendolo un giorno incontrato, mi venne naturale chiedergli quando intendesse invitarmi nel suo talk-show. Con molta disinvoltura mi rispose: “quando si parlerĂ  di cose in cui potrai metterci lingua”. Confesso che, sul momento, ci rimasi male, perchè intendevo quel salotto più una vetrina che un luogo di confronto; poi, riflettendoci, capii il senso della risposta e la coerente professionalitĂ  di chi me l”aveva data.

Il senso del decadimento delle cose emerge proprio quando tutti pensano di potersi ergere a Soloni, di poter parlare con presunta competenza, di poter confezionare ricette per ogni salsa. Per cui, poi, capita che si genera una grande confusione di ruoli e nessuno è riconosciuto per quello che è. Agli innumerevoli dottori Guido Tersilli (Il medico della mutua portato sullo schermo da Sordi, nel 1968, e tratto dall”omonimo romanzo di Giuseppe D”Agata), per esempio, i pazienti sono soliti richiedere la prescrizione di un farmaco senza sottoporsi alla diagnosi.

Deriva, forse, tutto dall”eccessiva democratizzazione della figura del medico di base, che, ovviamente, nell”esercizio quotidiano della sua professione è abituato ad un rapporto aperto, paritario, quasi volgarizzato con l”assistito. E, di converso, quest”ultimo crede di avere competenza nel richiedere la prescrizione dei medicinali oltre che “degli analisi” (come dicono anche molti dotti), che non sono mai superflui. Se si va, invece, nello studio di un luminare, le situazione si sovvertono. Silenzio, ossequio, timore, osservanza scrupolosa delle prescrizioni.

Caro Direttore, (l”ho fatta un po” lunga, lo so) uguale sorte del medico di base è riservata agli insegnanti. La mala intesa democratizzazione della scuola ha disegnato i nuovi contorni di una istituzione nella quale tutti si sentono in diritto di spendere parole, assumere posizioni e indirizzare percorsi. Sì, sì, parlo proprio di percorsi didattici! Oggi, chiunque non addetto ai lavori varchi la soglia di un”istituzione scolastica si sente investito di responsabilitĂ , che sfociano anche in una presunta competenza didattica.

Si sentono, oramai, quotidianamente, frasi del tipo: “ma non sarebbe meglio assegnare la storia sul libro piuttosto che richiedere lettura di documenti?”, “non mi piace come si insegna la matematica”, “il compito non è stato ben valutato, bisogna capire il travaglio psicologico di chi scrive”. Qualche giorno fa, un genitore di mia conoscenza chiedeva che ci fosse una sorte di controllore in classe, perchè, a suo dire, il maestro, correggendo i compiti assegnati a casa, aveva valutato il “metodo confuso” e non la correttezza dei risultati.

Sì, perchè, in fondo, alla quasi totalitĂ  dei genitori interessano poco o niente l”acquisizione di un metodo o l”abitudine al ragionamento; per la quasi totalitĂ  dei genitori sono importanti i risultati, comunque conseguiti. Anzi, per questi genitori serve solo la scuola che insegna a dare le risposte ma non a fare le domande. “Sono stato convocato in presidenza. Adesso è il turno del mio registro. “Più interrogazioni” mi ha esortato il preside, “vedo un solo voto per allievo: qui si batte la fiacca:Li incalzi questi giovani, li talloni. Una domandina e tre subito, senza discutere. Per il loro bene. E per il nostro”:Ora vago per scale e corridoi, in una scuola che sta tra la sezione del tribunale dell”inquisizione e un lazzaretto nel pieno della pestilenza”, (Domenico Starnone, “Ex cattedra”, Edizioni Rossoscuola, 1987).

Spesso, poi, accade che molti genitori, attraverso i figli, si sentano essi stessi valutati, giudicati. Sono quei genitori, un po” frustrati, oppressivi, pieni di sensi di colpa, che si siedono a tavolino e fanno i compiti al posto dei figli, perchè questi ultimi devono prendere un buon voto e fare bella figura. Per questo motivo il marito della mia collega di Groppello Cairoli, la settimana scorsa, si è incazzato da matti con la figlia, solo perchè l”innocente Bibi aveva preso 6 e mezzo alla verifica di storia! “Ma guarda che è sufficienza piena! E, poi, se la verifica significa accertare quando si è combattuta la battaglia di Canne (216 a. C.) o quando si è celebrato il I Concilio ecumenico di Nicea (325 d.C.):”. Niente da fare. Ancora più incazzato ha replicato: “Ha fatto schifo. Ma che figura ci faccio? Mia figlia che non prende almeno otto, dopo che sono stato con lei un”intera serata a ripetere la storia? “.

A chi lo dici, Direttore, che la pedagogia e la didattica sono radicalmente cambiate? Così come è radicalmente mutato il mondo dell”infanzia, che è profondamente solo, pericolosamente abbandonato alla moda del superfluo, inutilmente educato a una falsa modernitĂ , un po” spaccona e un po” becera.

“Insomma nella tua scuola in che cosa consiste la sperimentazione? Non so che dire. I miei giovani colleghi parlano sempre di quello che vorrebbero fare, meno di quello che fanno realmente. Su quest”ultimo argomento sono molto discreti, quasi misteriosi:Ho cercato di sollecitare qualcuno a parlarmi del “nuovo modello di apprendimento”, ma devo dire che da una parte mi sembra notare un disinteresse e uno scetticismo che mi dispiace, dall”altra sento lo sforzo malamente dissimulato di ottenerne e conservarne una specie di brevetto, che mi piace ancor meno”., (Vittoria Ronchey, “Figlioli miei, marxisti immaginari”, Rizzoli, 1975).

E il guaio maggiore è che ci sono moltissimi pedagogisti d”assalto, titolari di cattedra, saggisti, che si ispirano alle leggi del mercato ed a quelli dei pessimi ministri della Pubblica Istruzione. Tanto che, per giustificare sciagurate e costose sperimentazioni, molti cosiddetti esperti si inventano processi di innovazione imposti da riforme “politiche” (di facciata) e riguardanti, per lo più, modifiche strutturali-organizzative più che didattiche.

Tali modifiche, dettate da una impostazione aziendalistico-industriale del servizio scolastico, trovano, poi, difficoltĂ  di traduzione in un territorio abituato a pensare alla scuola pubblica come ad un servizio da offrire alla persona nella sua globalitĂ . Dalle nostre parti, la scuola pubblica resta ancora – e meno male- un luogo ed un nodo cruciale di una societĂ  complessa, lontano dall”immagine di unica agenzia formativa ed ispirata ad un sistema educativo policentrico ed articolato.

Direttore, tu che dici, è un fatto che riguarda la cultura o la politica? Intanto, per capire come la cultura politica guarda alla scuola, basta l”ultima circolare del Ministro del Tesoro, che riconosce aumenti stipendiali solo ai professori di religione. Ammonterebbero, si dice, a circa 220 euro in più al mese! E si dice anche che per il rinnovo del contratto degli insegnanti (tutti gli altri che non insegnano religione), i sindacati avrebbero chiesto 200 euro di aumento mensili. Ma il Ministro della Pubblica Amministrazione ne avrebbe messo a disposizione solo 20. Ma si sa, Direttore, in questo nostro felicissimo Paese si dicono tantissime cose! Vai a capire, poi, quali sono quelle veramente vere!
(Fonte foto: Rete Internet)

CAMPANIA. TERRA MALATA E DI CAMORRA

0
In Campania la madre di tutte le battaglie è la quotidiana lotta per il ripristino della legalitĂ . La politica, al momento, è interessata solo a mettere insieme pacchetti di voti, qualunque ne sia la provenienza.
Di Amato Lamberti

La Campania è una “terra avvelenata”. Da tutti i punti di vista: nella terra, nell”aria, nell”acqua, nel corpo delle persone, nelle coscienze, nella gestione del territorio. La terra è stata avvelenata da decenni di sversamenti abusivi di rifiuti tossici, di seppellimenti di rifiuti industriali nocivi per le persone e per l”agricoltura. L”aria è avvelenata da un inquinamento costante dovuto al traffico, agli impianti di riscaldamento, alle emissioni in atmosfera senza monitoraggio delle aziende produttive che pensano solo a massimizzare il profitto.

L”acqua è avvelenata da una rete idrica carente, piena di falle, che spreca risorse vitali e che è costretta anche ad utilizzare falde acquifere inquinate dallo smaltimento criminale di rifiuti. Il corpo delle persone è inquinato da quello che respirano, che mangiano, che bevono. L”incidenza di malattie tumorali, in alcune aree territoriali, è spaventevole: anche trenta volte superiore alle medie nazionali. Riguarda gli uomini ma riguarda anche gli animali, perchè anche loro mangiano erba avvelenata e devono acqua inquinata, come dimostra quel documento eccezionale che è il film BIUTIFUL CAUNTRY (nella foto una scena). Quando si arriva ad un punto come questo, non si può far finta di niente.

Bisogna fermarsi e interrogarsi sul che cosa bisogna fare subito. Non si può rimandare. Si deve scappare, andare via il più lontano possibile o, piuttosto, buttarsi in un” opera di bonifica e di recupero del minimo necessario di qualitĂ  ambientale? Pochi hanno la possibilitĂ  di prendere famiglia e figli e portarli lontano; gli altri dovranno prendere atto che si devono occupare della bonifica del territorio avvelenato, a cominciare dalla loro casa, dal loro orto, dai prati e dalle coltivazioni che li circondano. Ma non è solo un problema di “corpi” avvelenati che covano dentro la loro distruzione.

Ad essere avvelenate, in questa situazione, sono anche le coscienze che si chiudono nella difesa disperata degli spazi privati di sopravvivenza, quasi gli altri fossero tutti nemici da cui difendersi, avvelenatori da tenere lontani. L”importante è che i rifiuti stiano fuori del mio giardino. Ma l”avvelenamento più grande è quello della sfiducia che diventa sentimento prevalente, contro tutto e contro tutti. Contro le istituzioni, contro le amministrazioni, contro la politica, contro la scuola,contro la stampa, contro la Chiesa. Nessuno è più credibile, nessuno è più creduto. La cultura del sospetto, col terribile carico di tutte le possibili dietrologie, prende il sopravvento. Anche gli spazi del confronto e della discussione si chiudono.

Per provare ad avanzare proposte capaci almeno di arrestare e invertire la direzione di questa deriva che ci trascina sempre più in basso dobbiamo individuare e chiamare per nome ciò che ha avvelenato e avvelena coscienze, corpo e territorio. Non basta evidenziare i fatti, i comportamenti, le assenze di controlli, le politiche che concretamente producono e spargono veleni. Non è solo questione di depuratori che non funzionano, di impianti industriali che inquinano, di criminali che seppelliscono nei terreni coltivati rifiuti tossici: bisogna arrivare alle logiche che rendono possibili questi comportamenti.

La nostra Regione è avvelenata dalla corruzione, dal clientelismo, dalla politica affaristica, dalla malasanitĂ , dall”abusivismo edilizio, dalla distruzione dell”ambiente, dalla violenza diffusa, dall”insicurezza dilagante: in una parola, dalla CAMORRA.
Per questo sostengo da sempre che in Campania la “madre di tutte le battaglie” è la lotta quotidiana, in tutte le sedi di vita e di azione sociale, per il ripristino della legalitĂ . Solo con la LEGALITA” possiamo sperare di BONIFICARE questo territorio e restituire ai cittadini la dignitĂ  di una vita civile e di un futuro non inquinato, nel corpo e nell”anima.

Ma di queste cose, nel momento in cui si va al rinnovo del governo della Regione, non si parla. La politica è interessata solo a mettere insieme i pacchetti di voti, qualunque ne sia la provenienza, necessari per conquistare le posizioni di governo. Poi si vedrĂ , come si è sempre visto, tutti a fare affari insieme con i loro amici: che la Campania continui a sprofondare non è affare loro.
(Fonte foto: Rete Internet)

LA RUBRICA

IL CASO ROSARNO RIGUARDA L’ITALIA INTERA

In Italia ci sono 5 milioni di stranieri, molto cristiani e tanti musulmani. Sono persone, e vanno rispettate nella loro dignitĂ .
Di don Aniello Tortora

A telecamere “quasi” spente, voglio ritornare sui fatti di Rosarno, noti a tutti.
Vicenda complessa e difficile da decifrare. Forse in un mondo di “bugie” mediatiche solo la chiesa, alzando la sua voce, ha fatto un po” di chiarezza e ha detto, attraverso la sua denuncia, profonde “veritĂ  sociali”.

“Il ministro Maroni? Brava persona, ma non sa quel che dice, non conosce la realtĂ  e allora tanto vale un buon tacere” (Radio Vaticana, 11 Gennaio): questa la reazione di mons. Luciano Bux, vescovo di Oppido Mamertina-Palmi (diocesi che comprende anche il comune di Rosarno), alle parole del ministro sugli scontri del 7 gennaio. La situazione nella Piana, ha detto il vescovo, è ben più complessa di come la racconta il ministro. I migranti sono “sfruttati e sottopagati nelle campagne a raccogliere le arance al servizio dei proprietari terrieri locali”; a reclutarli poi ci pensa “la “ndrangheta, che fa da ufficio di collocamento. Tutti lo sanno, ma nessuno interviene”.

Le parole del vescovo hanno poi investito anche i media, colpevoli di aver spettacolarizzato la vicenda, “ignorando, o fingendo di farlo”, il vero problema: “La continua omissione dello Stato che ha lasciato campo libero alle organizzazioni malavitose nell”agricoltura, nella sanitĂ  e in altri ambiti. Una situazione che fa comodo. Dunque il ministro Maroni prima di parlare di tolleranza, si informi, lui che cosa ne sa di questa terra?”. E ha concluso amaro: “Le leggi oggi, almeno da queste parti belle, sfortunate e disgraziate, non le fa lo Stato, ma altri”.

Una lettera che esprime “vicinanza e solidarietĂ ” alla diocesi di mons. Bux è giunta, l”11 gennaio scorso, dall”arcivescovo di Rossano-Cariati, mons. Santo Marcianò: “La Chiesa in questa nostra terra è “voce che grida nel deserto”; è il deserto di un mondo che chiude gli occhi e il cuore di fronte al dramma della povertĂ  e dell’ingiustizia in una specie di stordimento delle coscienze”.

Quelle di Maroni sono “parole che possono avere effetti molto pericolosi, indicando obiettivi sbagliati”, ha denunciato il vicario episcopale della diocesi di Oppido-Palmi, parroco a Polistena nella Piana di Gioia Tauro, don Pino Demasi: “Il problema dell’immigrazione in Calabria va inquadrato nel grande problema della liberazione dall”oppressione mafiosa. Da una parte c’è infatti la “ndrangheta, che cerca di sopraffare questi cittadini, sfruttandoli al massimo, costringendoli ad abitare in quei luoghi, sottopagandoli e sottoponendoli a minacce”, il tutto nella “assenza totale del Governo centrale, della Regione e delle amministrazioni locali”.

Ne è certo, don Pino: “Dietro gli scontri ci sono le cosche che controllano il racket del lavoro nero”. Lo dimostrerebbero anche alcuni fatti poco chiari: “Il ferimento con fucilate a pallini dei due immigrati che ha scatenato gli scontri”; le voci fatte girare “tra i migranti che erano stati uccisi quattro loro “fratelli””; la protesta dei cittadini di Rosarno, organizzata in brevissimo tempo; “le minacce subite dai volontari della Caritas e delle associazioni che li hanno sempre aiutati”.
L”immigrazione è una delle sfi­de più brucianti con cui si mi­sura l”Europa, sempre più at­tanagliata dalle paure e sempre meno in grado di elaborare modelli capaci di costruire e organizzare convivenza. C”è chi dice che sia essenzialmente un problema di numeri: l”arrivo di una quota eccessiva di stranieri, unita alla loro maggiore prolificitĂ  rispetto agli standard occidentali, rendereb­be ingovernabile la situazione.

Che fare? Quale strada intraprendere, facen­do tesoro per quanto possibile della crisi dei modelli adottati negli altri Paesi europei? In Italia siamo in una situa­zione molto peculiare: quasi 5 milioni di stranieri pro­venienti da più di 150 Paesi, raddoppiati negli ultimi 5 anni e con ingressi prossimi al mezzo milione all”anno nell”ultimo triennio, di tradizione cristiana per il 60%, musulmani per il 35%, molto più giovani della media i­taliana, 700mila sono compagni di banco dei nostri fi­gli.
È un grande problema, sociale, culturale, religioso. E allora, cosa fare? Ce lo ha detto il papa: dobbiamo, in fondo, solo riconoscerli come “persone, rispettate nella loro dignitĂ ”.

GLI ALTRI ARGOMENTI TRATTATI

LA DONNA CHE DELINQUE. FENOMENTO IN ASCESA

0
I crimini commessi dalle donne hanno un impatto diverso sull”attenzione generale. In particolare, sono i fatti di sangue quelli che destano maggiore scalpore.
Di Simona Carandente

Attraverso i resoconti delle cronache giudiziarie, e processi sempre più mediatici, l”immaginario collettivo tende ad identificare chi abbia commesso un reato, di qualsivoglia tipologia, con dei connotati quasi esclusivamente maschili.
Tuttavia, mutuando uno “stile criminale” dagli Stati Uniti, territorio d”elezione per i più duri casi giudiziari, anche in Italia si assiste ad una lenta ma graduale inversione di tendenza: sono difatti in aumento, secondo recenti statistiche, i reati commessi dalle donne, che non più vittime dei loro aguzzini salgono agli onori delle cronache in una nuova veste.

A parte i casi di criminalitĂ  cd. comune, che vedono le donne autrici di truffe, spaccio di sostanze stupefacenti, furti e reati minori, è il reato di sangue per eccellenza quello che desta maggior scalpore, oltre a sollevare maggiori perplessitĂ  sociali e morali.
In America, le donne che commettono omicidi rappresentano solo il 12% del totale, e la media mondiale rimane invariata, ancorandosi all”incirca sul 10%: probabilmente, proprio la raritĂ  del fenomeno spiega la rinnovata attenzione di studiosi e non, stante l”assoluta novitĂ  del tema e la mancanza di studi seri dedicati alle assassine.

Se gli uomini uccidono in maniera più violenta, commettendo omicidi in raptus di intensa rabbia, oppure nel corso di risse, rapine o per commissione, le donne hanno dovuto ricorrere ad espedienti “originali”, a causa della minore forza fisica. È scientificamente dimostrato come nella donna l”iter verso la commissione del reato sia il prodotto di un”intima riflessione, covato a lungo nelle coscienze, che genera orrore ma anche un indiscutibile fascino.

F. Tennyson Jesse paragonava nei suoi scritti la donna che uccide ad una pantera, capace di inseguire la sua preda giorno dopo giorno, di aspettare il momento giusto e torturarla per puro capriccio, arrivando ad uccidere la vittima prescelta per pura crudeltĂ .
Occorre peraltro evidenziare come i crimini di sangue maturino, nella donna, come reazione a violenza subite in ambito familiare, facendo sì che esse vengano viste come delle vittime, e non come carnefici ed artefici di gravissimi reati.

Tuttavia, è possibile affermare che la donna che commette omicidi, anche in base ai dati concreti ed alle testimonianze raggiunte al riguardo, abbia alle spalle un vissuto drammatico, fatto di abusi, di disturbi della personalitĂ , o comunque di passioni indomabili, arginabili solamente ricorrendo a rimedi estremi.
A Castiglione delle Stiviere vi è una struttura giudiziaria destinata alla più invisa delle popolazioni carcerarie: quella composta dalle donne che hanno ucciso i propri figli ed il partner. Nell”ospedale psichiatrico di Castiglione viene adottato un metodo innovativo, posto che a garantire la sicurezza non vi sono agenti di polizia penitenziaria ma solo infermieri.

Scopo della struttura, oltre a far scontare a donne incapaci di intendere la pena detentiva inflitta, quello di immettere nel tessuto sociale persone recuperate, passando attraverso un lungo percorso interiore, fatto di cure specialistiche ma soprattutto di amara ed attenta riflessione. (mail: simonacara@libero.it)
(Fonte foto: Rete Internet)

GLI ARGOMENTI TRATTATI

ADOTTARE UN FILM PER ADOTTARE UN”IDEA

Concluso il progetto , “Abitare la legalitĂ  interculturale”. Il gruppo di studenti ha ripercorso, attraverso un lavoro cooperativo, le emozioni scaturite dai films. I prossimi appuntamenti.
Di Annamaria Franzoni

Il 13 Gennaio scorso si è concluso il primo modulo del Progetto Scuole Aperte, “Abitare la legalitĂ  interculturale” con un”attivitĂ  laboratoriale che ha visto protagonisti i giovani allievi del liceo Mercalli e della Scuola Media C. Poerio i quali, con assiduitĂ  e partecipazione attiva, hanno reso avvincente e stimolante ogni incontro.

I ragazzi, infatti, in quest”ultimo appuntamento, si sono riuniti in gruppi spontanei nel Laboratorio informatico e ciascun gruppo ha elaborato un web-quest sul film “adottato” , dedicando qualche slide al personaggio che li ha maggiormente affascinati.
Alla conclusione dei lavori ciascun capo-gruppo ha presentato, in plenaria, nella sala multimediale, che ci ha ospitati nei sei incontri precedenti, il proprio lavoro supportato in qualche caso da colonne sonore idoneamente scelte o da scene particolarmente significative.

Si sono collocati ai vertici di questa graduatoria ideale pari merito “Fredom writers” con la stacanovista Signora Gruwell; “Il bambino con il pigiama a righe” con la coppia degli inseparabili amici legati dal destino di morte ed infine il nero coach del film “Il sapore della vittoria”.
Miloud, tuttavia, è rimasto nel cuore di tutti soprattutto per la sua capacitĂ  di entrare in quell”incubo rappresentato dalla vita dei giovanissimi ospiti dei canali di Bucarest.

Abbiamo ripercorso, secondo questa modalitĂ  di lavoro cooperativo e di condivisione dei prodotti realizzati, ogni emozione che ha caratterizzato i nostri incontri precedenti in una summa di riflessione comune: ha certamente primeggiato l”inspiegabile ed ingiustificato sentimento di maggior dolore che ha accomunato tutti per la morte di Bruno, rispetto a quella di Shumuel, nel film che ha sconvolto tutti: Il bambino con il pigiama a righe.

La risposta che il gruppo ha costruito insieme è che ci sono morti stabilite dalla Storia, popoli segnati da un destino incontrovertibile, finali tragici, ma nel filone di trame reali.
Nonostante noi tutti ci sentissimo a disagio, abbiamo provato dolore e sorpresa per la morte di Bruno, che rappresenta un personaggio che per la storia non è destinato a morire: su questa amara riflessione ci siamo lasciati dandoci appuntamento per i prossimi incontri di Scuole Aperte che continueranno a raccontare il tema dei diritti violati nel tempo con chiaro riferimento alla storia attuale.

A partire dalla prossima settimana, sempre presso il Liceo Mercalli nell”ambito del Progetto “Uno sguardo verso l”altrove”, il Prof. Francesco Soverina orienterĂ  i giovani alla comprensione della diversitĂ  nel presente e nel passato con il corso “Le voci della Memoria”, il prof. Alberto Clarizia si rivolgerĂ  ai giovani con un percorso laboratoriale di “Storie di diritti umani violati” ed io con il successivo laboratorio interculturale che trae il suo nome dal noto film “Indovina chi viene a cena”.

OSSERVATORIO ADOLESCENTI

QUALE ITALIANO PER I GIOVANI?

0
In questo dialogo si riflette sull”opera formativa che la Scuola ha avuto nel far conoscere la lingua italiana a milioni di persone. “Un italiano unitario”.
Di Giovanni Ariola

Il prof. Carlo A. è solo nel Laboratorio. Fa un po” fatica a concentrarsi nella lettura a causa di una pioggia che furiosa e insistente tambureggia sui vetri della finestra. È proprio un brutto inverno. E a causa del maltempo e del conseguente allagamento delle stanze a pianterreno dell”edificio, la riapertura del Laboratorio e la ripresa delle attivitĂ  dopo le festivitĂ  natalizie sono state procrastinate di qualche giorno. ChissĂ  se oggi verranno gli altri e se si potrĂ  svolgere la riunione del direttivo, prevista per metĂ  mattinata.

Si devono stabilire le modalitĂ  di svolgimento del Convegno sull”opera di Manlio Cortelazzo, l”illustre dialettologo padovano scomparso nel febbraio dell”anno scorso, alla bella etĂ  di novant”anni, noto al grande pubblico per il DELI (Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, composto con la collaborazione di Paolo Zolli, Zanichelli, 1979-1988 e 1992) e per il DEDI (Dizionario etimologico dei dialetti italiani, composto in collaborazione con Carla Marcato, Feltrinelli, 2005). Appunto del Cortelazzo il prof. Carlo, in vista della relazione introduttiva che dovrĂ  tenere ad apertura del Convegno, va rileggendo le opere, tutte prestigiose e interessanti. Ora ha tra le mani l” “Avviamento critico allo studio della dialettologia italiana” (Pacini Editore, Pisa, 1976), un manuale metodologico su cui si sono preparate e formate numerose generazioni di studenti.

Intanto si va trascrivendo sul suo taccuino azzurro, compagno inseparabile, alcuni passi che ha intenzione di citare al convegno e che gli sembrano più significativi e maggiormente idonei a focalizzare la personalitĂ  dello studioso veneto. Si ferma a riflettere, dopo esserselo appuntato, su questo brano in particolare, che si riferisce al merito da riconoscere alla scuola, pur tra tanti limiti che ha avuto, ed ha, la sua opera formativa, nell” “aver avviato alla conoscenza e all”uso dell”italiano milioni di persone”.

“Certo, il prezzo pagato per svincolare il piccolo dialettofono dal suo spontaneo mondo espressivo può essere considerato anche troppo alto, tanto più che la sostituzione è inadeguata ed a volte, per una sorta di tramandata, diffusa azione repressiva di forme condannate dai puristi di uno o due secoli fa, perfino ingiustificata, oltre che ridicola.

“Un bambino scrive: Oggi ho fatto arrabbiare la mamma; e il maestro corregge: ho fatto inquietare; arrabbiano soltanto i cani“; un altro: il babbo mi ha portato al cinematografo; e il maestro: “mi ha condotto; si porta soltanto in collo o sulle spalle“; un altro: ho passato le vacanze al mare; e in margine “ho trascorso“:..(E. Bianchi, “SpontaneitĂ  e pedanteria”, in “Lingua Nostra”, III, 1941, pp.60-61).

Risultato di questa pedanteria è lo scialbo italiano scolastico:e l”impossibilitĂ , dal momento che l”italiano è appreso soltanto sui sacri testi della letteratura, pervasi più di lirismo, che di concretezza, di esprimere la minuta realtĂ  delle cose e il rinnovarsi della modesta vicenda quotidiana.

Ciononostante, :le norme grammaticali vecchio stile, rigide, uniformi e immutabili per tutti gli insegnanti, hanno contribuito a divulgare ovunque un seguitissimo tipo di italiano, piatto finchè si vuole, ma unitario”. (“Avviamento critico allo studio della dialettologia italiana”, p.14)

Entrano grondanti, bagnati fradici, dalla testa ai piedi, il prof. Eligio Ligio e il dottorino (di nome Michele, di soprannome, fin dagli anni del liceo, Dolcemiele, per il suo carattere mite, docile e, come in altri tempi si sarebbe detto, educato).

  • Siamo reduci da un acquazzone:.- annuncia, alquanto banalmente in veritĂ , il dottorino.

  • Più esattamente – precisa il prof. Eligio – dobbiamo parlare di un rovescio, per il ventaccio che ha accompagnato la pioggia, di tale violenza che a mia memoria non ve ne sono stati in passato di simili:.tanto che ha provocato il rovescio, scusate il bisticcio, del robusto ombrello, che io definivo da carrettiere, in quanto aveva la stessa ampiezza dei paracqua (ma fungevano anche da parasole) usati una volta dai carrettieri o trainieri (guidavano i traini, una sorta di veicoli a due ruote ma più lunghi dei comuni carretti) che, estate e inverno, percorrevano le nostre strade, e alla fine me l”ha strappato dalle mani e l”ha fatto volare chissĂ  dove:

Fanno presto i nuovi arrivati ad asciugarsi alla meglio incollandosi per qualche minuto ai termosifoni bollenti e ricorrendo ad un fono, come dice il dottorino impropriamente, seguendo l”uso corrente, ad un fon (dal ted. Fohn, nome commerciale), come corregge, in vena oggi di pedanteria, il prof Eligio, suggerendo la variante sempre meno usata di asciugacapelli), trovato nel bagno, per riportare allo statu quo ante la chioma folta, nera e riccioluta dell”uno e quella floscia, rada e brizzolata dell”altro.

  • Vorrei sottoporre – li interpella il prof. Carlo – alla vostra considerazione e quindi al vostro giudizio, questo passo del Cortelazzo per confrontare la vostra opinione con la mia :..

DĂ  lettura del brano sopra trascritto.

  • Mi sembra – osserva il prof. Eligio – eccessivamente severo il giudizio espresso sull”opera degli insegnanti che, pur con le debite riserve e gli innegabili limiti, ha contribuito ad educare linguisticamente i ragazzi loro affidati. Ma il problema oggi non è quello o non è tanto quello di stabilire la validitĂ  del lavoro dei docenti, quanto quello di discutere e soprattutto di decidere il modello di lingua da proporre agli studenti:

  • Un problema enorme: – concorda il prof. Carlo.

  • Appunto:. – continua l”altro – Fino agli anni sessanta del secolo scorso la scuola proponeva, come giustamente sottolinea il Cortelazzo, ancora modelli esclusivamente letterari e antiquati, come “I Promessi Sposi” o romanzi dell”ottocento, molti dei quali tradotti dalle letterature straniere, in particolare francese, inglese, russa. Insomma niente Novecento fatta eccezione per Pirandello, forse, non sempre, Svevo :.

  • Abbiamo letto – conferma il prof.Carlo – per conto nostro gli scrittori del Novecento. Ma oggi, un docente che vuole svolgere bene il suo lavoro quale o quali autori può proporre come modelli. Penso che su questo problema si debba aprire un grande dibattito che dovrebbe coinvolgere docenti, scrittori, pedagogisti, intellettuali:Anche perchè, lasciati senza modelli, i giovani si sentono autorizzati ad usare un italiano televisivo o mediatico in genere che è un mostro linguistico, ibrido connubio di gergo, dialetto e angloitaliano sempre più sgrammaticato e spesso improprio.

  • Si deve riconoscere – interviene il dottorino – che il venir meno di una educazione linguistica adeguata alimenta la pratica di un dialetto o gergo di gruppo che se da una parte non manca di validi lampi creativi, alla fine si riduce a una poltiglia lessicale piuttosto becera banale e talvolta di cattivo gusto. Alle venti parole che sono state indicate da un”indagine statistica inglese e che sono state in parte riportate da qualche giornale quotidiano vorrei aggiungerne qualche altra :.rimandando agli elenchi su internet per una conoscenza più ampia. (continua)

QUEGLI STRANI ANNI “80

0
Gli “80 sono anni di violenza e di effimero. Malavita e terrorismo non conoscono tregua. Sono gli anni della strage di Bologna e dello scandalo P2.
Di Ciro Raia

Gli anni “ottanta” si presentano con una caterva di avvenimenti, i cui risvolti non possono essere ancora letti in una prospettiva storica. Mancano molti documenti, ancora tenuti segreti, mancano alcuni anelli di congiunzione importanti, mancano le analisi a posteriori che spaziano su tempi lunghi e legano fatti, personaggi, comportamenti, piccole emozioni.

Gli anni “ottanta” sono anni strani, anni di sconvolgimenti totali, di stragi, ma anche di effimero. In Italia si aprono con apprensione e dolore per la morte di Pietro Nenni, un padre nobile della patria, e quella di Piersanti Mattarella, presidente della Regione Sicilia, ammazzato dalla mafia il 6 gennaio 1980. Quindi, le morti eccellenti proseguono con la violenta azione delle B.R., che uccidono il vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Vittorio Bachelet, il giudice Guido Galli, il procuratore capo della Repubblica di Salerno, Nicola Giacumbi, il dirigente della Digos, Alfredo Albanesi, il consigliere regionale della Campania, Pino Amato.

Sempre gruppi terroristici, poi, ammazzano il generale dei carabinieri Errico Galvaligi ed il giudice Mario Amato. La violenza mafiosa elimina, invece, Gaetano Costa, procuratore capo di Palermo; la camorra, da parte sua, si macchia del delitto del sindaco di Pagani, cittadina in provincia di Salerno, Marcello Torre. Ma la strage che fa più impressione è quella consumata alla stazione di Bologna, dove, alle 10,25 del 2 agosto, una bomba provoca 85 morti e 203 feriti tra i viaggiatori in attesa di treni. GiĂ  il 28 agosto la Procura del capoluogo emiliano emette 28 ordini di cattura nei confronti di militanti di estrema destra, tra i quali Francesca Mambro, Giuseppe Valerio Fioravanti, Aldo Semerari.

Alla guida del governo si alternano i democristiani Francesco Cossiga (a capo di un tripartito DC-PSI-PRI) e Arnaldo Forlani (a capo di un quadripartito DC-PSI-PSDI-PRI).

Il 23 novembre 1980 una violenta scossa sismica riduce in macerie gran parte dell”Irpinia e del Napoletano. Interi paesi sono completamente rasi al suolo; si contano oltre 6.000 morti. Nel 1976 un terremoto di forte intensitĂ  aveva colpito il Friuli: i morti erano stati circa 1000 e moltissimi i centri distrutti. In Irpinia, così come era giĂ  avvenuto nel Friuli, sono stanziati ingenti fondi per la ricostruzione, ma i risultati ottenuti evidenziano una forte frattura tra il Nord ed il Sud. A molti, infatti, l”opera di ricostruzione avviata in Irpinia appare come un tributo da pagare al sistema politico-clientelare vigente nel Sud.

C”è grande fermento nella classe operaia. Scioperi e cortei degli operai FIAT –l”industria automobilistica ha annunciato la cassa integrazione per 78.000 dipendenti- paralizzano la cittĂ  di Torino. Enrico Berlinguer, segretario del PCI, in un intervento ai cancelli del Lingotto e di Rivalta si spinge a dire che “il PCI sosterrebbe gli operai anche se scegliessero la forma di lotta più estrema”.

A maggio del 1981 la presidenza del consiglio annuncia di aver ricevuto, dai giudici di Milano, Giuliano Turone e Gherardo Colombo, l”elenco di 962 presunti affiliati alla loggia massonica P2 (Propaganda 2) di Licio Gelli. Ci sono imprenditori e sindacalisti, militari, uomini di cultura, di spettacolo e della politica, tra cui spiccano i nomi di Silvio Berlusconi, Maurizio Costanzo, Fabrizio Cicchitto, Enrico Manca, Gaetano Stammati, Beniamino Finocchiaro, Michele Sindona, Franco Di Bella, Duilio Poggiolini, Angelo Rizzoli, Roberto Gervaso, Alighiero Noschese, Roberto Calvi, Vittorio Emanuele di Savoia, Vito Miceli, Pietro Longo, Artemio Franchi.

La maggioranza dei politici è composta da democristiani e socialisti. Silvana Mazzocchi così scrive su La Repubblica: “[:] ministri e deputati, senatori della Repubblica, ma anche funzionari di partito, ambasciatori, sindaci, imprenditori, industriali, giornalisti, scrittori, sindacalisti, commissari di polizia:I documenti sequestrati a Gelli sono stati definiti una miniera:a Palazzo Chigi è iniziato un vero terremoto”. Tra le carte di Gelli emerge un documento, il Piano di rinascita democratica, che chiarisce tutti gli obiettivi della P2, tra i quali: controllo della Magistratura da parte del Governo, opposizione alla linea di collaborazione col Pci, abolizione dello Statuto dei Lavoratori, riforma della Costituzione, attenta vigilanza sui partiti e sui sindacati, attraverso la sistemazione di uomini di fiducia nei posti nevralgici delle predette organizzazioni.

Viene istituita una commissione parlamentare, presieduta da Tina Anselmi, che nel 1984, concludendo i propri lavori, scrive “la P2 ha svolto opera di inquinamento della vita nazionale, mirando ad alterare in modo spesso determinante il corretto funzionamento delle istituzioni, secondo un progetto che mirava allo snervamento della democrazia”.

E il terremoto politico non manca. Infatti, il presidente del consiglio dei ministri, Forlani, preoccupato della notorietĂ  dei nomi e dell”appartenenza politica degli stessi, tiene nascosta la lista per ben due mesi ed è costretto, per questo, a dimettersi.

Al suo posto è incaricato di formare il nuovo governo il senatore repubblicano Giovanni Spadolini. È la prima volta che un laico sostituisce un democristiano alla guida del governo. Durante il dibattito sulla fiducia al nuovo esecutivo, il segretario del PSDI, Pietro Longo, uno degli iscritti alla Loggia P2, attaccando violentemente la magistratura, propone che la stessa debba essere controllata dal governo. Attacchi alla magistratura vengono portati anche da Bettino Craxi (PSI) e Flaminio Piccoli (Dc).

(Fonte foto: Rete Internet)

LA RUBRICA

LA SOLIDARIETÁ NON É MORTA. STA SOLO POCO BENE

0
L”epurazione avvenuta a Rosarno è scandalosa, una vera e propria rappresaglia di stampo razzista. Ma la solidarietĂ  non può essere morta all”improvviso.

Caro Direttore,

l”altro giorno, mentre facevo un po” di pulizia sulla mia scrivania, è riemerso un foglio-appunto, che avevo archiviato e che non riuscivo più a trovare. Vorrei proportene, sinteticamente, la lettura:

“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l”acqua, molti di loro puzzano perchè tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle cittĂ  dove vivono, vicini gli uni agli altri. Tra di loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. [:] Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. [:] I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare. [:] Proponiamo di privilegiare i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano pur che le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione provengono dal sud dell”Italia. Vi invitiamo a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione”, (Relazione dell”Ispettorato per l”Immigrazione del Congresso degli Stati Uniti, ottobre 1912).

I fatti di Rosarno si aggiungono a quelli di Castelvolturno e di tante altre piccole realtĂ  del sud e del nord dell”Italia, dalle quali non giunge più nemmeno l”informazione. Perchè sono fatti ripetitivi, quasi stucchevoli. Non fanno notizia, annoiano. Vuoi mettere la statua di una madonna che lacrima, il probabile ritorno di Totti in Nazionale, l”intitolazione di una piazza a Craxi o il puttanificio che alligna nei palazzi del Potere? Sono tutt”altra cosa! E solo su queste vale veramente la pena discutere, arrabbiarsi, venire, eventualmente, anche alle mani, per affermare il proprio punto di vista!

Caro Direttore, è quasi inutile ribadirlo, sono dalla parte “degli sporchi negri”. Come ero dalla parte degli indiani della prateria, molto prima di aver visto “Soldato blu” o di “Balla coi lupi”; com”ero dalla parte degli indios, conquistati alla cristianitĂ , molto prima di aver assistito a “Mission” e, vivendo nell”attualitĂ , come sono dalla parte del “popolo Na”vi” di “Avatar”. Gli sporchi negri hanno avuto il coraggio (sempre mancato a gran parte di noi) di mettere il dito nella piaga, di essere il bambino della favola del “re nudo”, di ribellarsi ad un lavoro servile all”interno di un”organizzazione criminale (in Calabria, nelle mani delle “ndrine; in altri posti, nelle mani della mafia, della camorra o di insospettabili agenzie di collocamento).

Eppure, in un paese che si sta educando alla dottrina del revisionismo-negazionismo (gli ebrei nelle camere a gas sono stati in numero esiguo, i confinati politici nei regimi dittatoriali hanno vissuto da villeggianti ed altre amenitĂ  simili), che ci vuole a dire che le organizzazioni criminali non esistono? L”altra sera, in televisione, l”immagine del giovane rosarnese che ballava e si abbracciava al passaggio del pullman degli immigrati che andavano via, non è stata edificante. A chi gli chiedeva il perchè di tanto gaudio, il giovane rosarnese rispondeva, semplicemente, “perchè non li vogliamo!”.

E, se si fosse continuato ad intervistarlo, avrebbe detto che la “ndrangheta non esiste; come più volte è stato ribadito da molti suoi coetanei a proposito della mafia o della camorra. E meno male che questi elementi sono una minoranza, in un universo giovanile caratterizzato dall”impegno nel volontariato, nella sussidiarietĂ , nella cooperazione, nella solidarietĂ !

L”Istituto statistico europeo, Eurostat, ha disegnato l”Italia fra un cinquantennio. La previsione è che nel 2060 il nostro paese avrĂ  lo stesso numero di abitanti di oggi: circa 60 milioni di persone. Ma, per mantenere questo numero, bisognerĂ  tener conto dell”ingresso di 12 milioni di immigrati!

Intanto, per un caso o per pagare una cambiale alla Lega Nord, nei giorni dei fatti di Rosarno, l”ineffabile ministro Gelmini ha proclamato, per il nuovo anno scolastico, un tetto del 30% di alunni stranieri per ogni classe. Caro Direttore, non voglio affrontare, non avendone per altro la competenza, la costituzionalitĂ  o meno della “pensata gelminiana”. Non voglio nemmeno affrontare, in questa sede, l”astrattezza e l”inapplicabilitĂ  (ci sono scuole, che io conosco molto bene, dove a costituire il tetto del 30% sono gli alunni indigeni [per capirci meglio, gli italiani]).

Vorrei solo fare una considerazione sulla permanenza del pregiudizio (prevenzione, cattivo giudizio anticipato, opinione erronea, credenza infondata) nei confronti del diverso e dello straniero in genere nella nostra cultura. Anni di atteggiamenti concilianti e civili non sono serviti a svellere opinioni radicate nella nostra societĂ . Sono sempre i diversi da noi quelli che sbagliano, che puzzano, che violentano, che rubano, che limitano l”apprendimento nelle classi.

E sempre a proposito di scuola, la mia ormai nota collega di Groppello Cairoli, molto griffata e molto navigata (lei si dichiara anche molto di sinistra ma è molto poco creduta), sostiene che la presenza degli stranieri nelle classi danneggia il corretto andamento didattico e che le diverse etnie rendono impossibile fare un lavoro adeguato.

In un collegio dei docenti, però, un”umile maestrina di Paternopoli (poco griffata, poco navigata e, forse, molto poco disponibile a sventolare il vessillo di una cosiddetta sinistra) le rispose: “Se hai uno straniero in più non riesci a fare lezione? Ti dico che non ci riesci, comunque, se la lezione non la sai fare”.

Corrado Alvaro scrisse un bel racconto, “La zingara” (in “Gente in Aspromonte”, 1930), in cui parla di Crisolia, una giovane donna marchiata dal pregiudizio di appartenere ad una tribù di nomadi e, solo per questo, vista sempre come una ladra. Nel novembre del 2008, a Ponticelli, ci fu l”assalto a un campo rom della zona da parte di un intero quartiere indignato e preoccupato, si disse, per il tentato rapimento di un bambino messo in atto da una zingara. Dopo pochi giorni si scoprì, invece, che le cose non stavano proprio nei termini descritti. Venne fuori, infatti, che gli inquilini delle palazzine prospicienti il campo rom da giorni si riunivano, per organizzare lo sgombero degli zingari e delle loro masserizie.

Caro Direttore, non giudicarmi un “laudator temporis acti”, però, ci sono stati giorni in cui i treni per Reggio Calabria portavano migliaia di lavoratori alla manifestazione del 22 ottobre 1972. “Quanti abbracci e quanta commozione/ il Nord è arrivato nel Meridione/ e alla sera Reggio era trasformata/ pareva una giornata di mercato./ Quanti abbracci e quanta commozione/ gli operai hanno dato una dimostrazione”, (Giovanna Marini e Francesco De Gregori, “Il fischio del vapore”, 2002).

E, poi, sai che ti dico? Io continuo a essere fiducioso. Il popolo che è nato nella civiltĂ  e nella cultura della Magna Grecia non può avere azzerato la propria sensibilitĂ  ed intelligenza, così, all”improvviso. Qualche mela marcia ci può anche stare. Importante è che non attacchi tutta la cesta!

(Fonte foto: Euronews.net)

UN ESAME DI COSCIENZA

La grave crisi economica e sociale che stiamo vivendo, ci deve spingere a rivedere e mettere in discussione le teorie alla base delle politiche economiche, “per rendere onore ai gigli del campo che non seminano e non filano…

In questo anno della crisi finanziaria e pensando anche alla crisi che sta vivendo tutto il mondo del lavoro nel nostro territorio viene spontanea una riflessione ed un esame di coscienza “socio-economico”.

È necessario, penso, in questo momento storico, ri-vedere i presupposti culturali delle politiche economiche.

Non sono un economista, ma ho letto qualcosa a questo proposito.

Ci sono alcune teorie (ad es. la Scuola di Chicago) le quali affermano che l”interesse personale guida i mercati verso risultati di maggior efficienza. Il governo non deve intervenire nell”economia, poichè gli individui razionali, perseguendo il proprio interesse personale, prevengono o curano rapidamente la maggior parte dei guasti del mercato.

La recente crisi economica ha messo, però, in discussione questa tesi.

Non sempre gli uomini di affari sono razionali e non sempre i mercati si autocorreggono, se non c”è un”etica, una morale della persona.

Allora la domanda che dobbiamo porci è: l”aviditĂ  è positiva? La ricerca dell”interesse personale migliorerĂ  l”interesse globale? La risposta è non sempre. C”è una branca della ricerca economica che conferma l”antica convinzione che –una volta saziati i bisogni essenziali– il denaro ha una relazione debole con la felicitĂ . Una volta che il prodotto interno lordo pro capite di un paese supera un moderato livello di reddito, le societĂ  – bisogna ribadirlo – non diventano più felici solo perchè divenute più ricche.

La veritĂ  è che l”uomo “desidera” sempre di più. Siamo immersi in una routine edonistica. Più abbiamo e più vogliamo avere (una casa più grande, una macchina in più, l”ultima generazione dei telefonini:). Lo stoico Seneca, al suo tempo, giĂ  così commentava: “Per quanto tu possieda molto, se c”è uno più ricco di te, ti sentirai inferiore proprio di quanto lui ha in più”.

È l”invidia che mantiene in forza l”edonismo in cui viviamo.

E allora sarĂ  necessario superare l” “interesse personale” , anche negli “affari economici”, per “promuovere”, tutti, una vita etica di caritĂ , e di dedizione all”interesse comune, che rischia oggi di diventare anacronistica.

Papa Giovanni XXIII affrontò questo tema nell”enciclica Mater et Magistra (1961): “La ricchezza economica di un popolo non è data soltanto dall”abbondanza complessiva dei beni, ma anche e più ancora dalla loro reale ed efficace redistribuzione secondo giustizia a garanzia dello sviluppo personale dei membri della societĂ , ciò che è il vero scopo dell”economia nazionale (n. 61).

In altre parole, solo se sapremo guardare oltre il nostro interesse personale, sopravviveremo, e tutti.

Dobbiamo, in sintesi, secondo la bellissima espressione di Giovanni Paolo II, “globalizzare la solidarietĂ ”.

E allora sarĂ  necessario ri-esaminare alcuni presupposti delle politiche economiche attuali.

Mi piace concludere queste brevi riflessioni con uno scritto del celebre economista Jhon Maynard Keynes, il quale affermava che solo facendo tale esame di coscienza saremo capaci di “ritornare ad alcuni dei princìpi più solidi e autentici della religione e della virtù tradizionali: che l”avarizia è un vizio, l”esazione dell”usura una colpa, l”amore per il denaro spregevole, e che chi meno s”affanna per il domani cammina veramente sul sentiero della virtù e della profonda saggezza. Rivaluteremo di nuovo i fini sui mezzi e preferiremo il bello all”utile. Renderemo onore a chi saprĂ  insegnarci a cogliere l”ora e il giorno con virtù, alla gente meravigliosa capace di trarre un piacere diretto dalle cose, ai gigli del campo che non seminano e non filano.

(Fonte foto: Rete Internet)

DIETRO I FATTI DI ROSARNO. SOVRANITÁ MAFIOSA E SCHIAVITÚ

0
Quanto successo a Rosarno dimostra il circuito perverso di un territorio malato di mafia, che altera il mercato e crea i nuovi schiavi.
Di Amato Lamberti

I fatti recenti di Rosarno, in Calabria, forse potevano servire, oltre che a costruire cronache indignate e alti richiami ai doveri di solidarietĂ  ed accoglienza, a ragionare, in termini non soltanto emotivi, di un fenomeno, come quello dell”immigrazione, che sta esplodendo in Italia a causa di un approccio sbagliato da molti punti di vista. Il sonno della ragione genera mostri: proviamo a ragionare su dati di fatto incontrovertibili di natura economica.

Nell”attuale situazione economica, demografica, occupazionale italiana (con una enorme dilatazione dei servizi alla persona su cui non si riflette per niente), servirebbero molti più immigrati di quelli attualmente disponibili, ma si è invece diffusa nell”opinione pubblica, la convinzione che gli immigrati sono giĂ  troppi e bisogna cominciare a controllare gli afflussi e ad espellere i clandestini. Questa convinzione si allarga tra la gente ad opera sia di un vero e proprio martellamento continuo da parte di un partito, quello della Lega Nord, che ne ha fatto una bandiera in difesa dell”identitĂ  nazionale, ma soprattutto per il modo in cui gli organi di informazione affrontano il problema dell”immigrazione.

A parte il fatto che le teorie economiche suggeriscono che la migrazione dalle regioni in cui la forza lavoro è in esubero e a buon mercato verso regioni in cui è scarsa e cara, porta ad un benessere complessivo, c”è da considerare attentamente alcuni dati relativamente alla situazione italiana. Oggi la popolazione italiana è di circa 57 milioni ma è interessata da un processo di diminuzione, per effetto della denatalitĂ , che la porterĂ  nel 2020 a 52 milioni e nel 2050 a soli 41 milioni. Gli ultrasessantacinquenni oggi sono il 18,2% della popolazione, ma diventeranno il 21,1% nel 2020 e il 34,9% nel 2050. Per cui, per mantenere gli attuali livelli di popolazione, servirebbero almeno 240 mila immigrati l”anno.

Ma se l”obiettivo fosse quello di mantenere gli attuali livelli di popolazione di etĂ  compresa tra i 15 e i 64 anni, di immigrati ne servirebbero non meno di 350 mila l”anno. Se infine l”obiettivo fosse quello di mantenere inalterato il rapporto tra popolazione in etĂ  lavorativa ed anziani, per assicurarci il pagamento delle pensioni, servirebbero 2,2 milioni di immigrati l”anno, molti dei quali da utilizzare nell”area dei servizi alla persona, non solo domiciliari ma sanitari, scolastici, turistici e ricreativi. Come si vede bene l”atteggiamento del governo, vessillifero il ministro Maroni, di chiusura con ogni mezzo, a partire dal respingimento sistematico, verso il fenomeno migratorio, è non solo miope ma sbagliato, perchè non tiene conto delle reali esigenze del nostro Paese.

Da un punto di vista strettamente economico, i dati sono chiari e incontrovertibili. In Italia vivono circa 4milioni di persone straniere con regolare permesso di soggiorno; oltre 700mila sono quelli “clandestini”, privi cioè del permesso di soggiorno. L”impatto sull”economia di questa presenza è pari al 9.2% del PIL. Dal 2000 questa percentuale si è quasi triplicata, come si sono triplicati gli immigrati occupati e più che triplicati i versamenti all”INPS, che hanno superato i 5miliardi di euro. Aumenta anche il numero degli imprenditori stranieri, sono oggi circa 165mila, con una crescita del 17% nell”ultimo anno nonostante la congiuntura economica sfavorevole.

Il contributo degli immigrati per quanto riguarda le imposte dirette è di circa 5.5miliardi di euro, mentre l”incidenza sulle spese pensionistiche totali è dell”1.2% e solo dell”1% sulla spesa pensionistica complessiva. Inoltre, l”incidenza della spesa sociale dei Comuni a favore di cittadini stranieri è pari soltanto al 2.1% della spesa complessiva. Bastano questi dati per far vedere come gli immigrati non sono un costo ma una risorsa preziosa per le imprese e le famiglie dove sono occupati, ma anche, e soprattutto, una presenza determinante per l”intero sistema sociale e produttivo italiano.
Naturalmente, come la Storia ci insegna, poichè le esigenze economiche finiscono sempre per prevalere, si tratta di controllare questi processi perchè se non regolati possono produrre distorsioni strutturali a livello di mercato del lavoro e di organizzazione produttiva.

La logica delle restrizioni agli ingressi legali, per ragioni che non si sa come definire se non come ideologiche o “viscerali”, perchè contrastano sia con le leggi dell”economia che con le esigenze del controllo e della sicurezza, finisce per alimentare la clandestinitĂ  e, quindi, i flussi illegali, ma anche il lavoro nero, lo sfruttamento della manodopera, il controllo del mercato dei prodotti agricoli, la dequalificazione degli apparati produttivi, la formazione di aree di marginalitĂ  e degrado totalmente sottratte ad ogni controllo di legalitĂ , e, cosa più grave forse di tutte, favorisce la crescita e il rafforzamento di tutte le organizzazioni criminali che, grazie al controllo del territorio e a rapporti consolidati con i diversi livelli istituzionali, possono facilmente controllare e incentivare questi processi in funzione di nuove forme di accumulazione economica malavitosa.

Quanto è successo a Rosarno, in questi giorni, a scavare sotto la cronaca, dimostra il circuito perverso che si può instaurare su un territorio a sovranitĂ  mafiosa: produzione agricola con manodopera a bassissimo costo; intermediazione negli acquisti a prezzi non remunerativi per i produttori, costretti quindi a svendere o abbandonare il campo; trasporto e commercializzazione, in regime di monopolio violento, dei prodotti verso i mercati remunerativi;

capitalizzazione e reinvestimento in produzioni agricole che si reggono solo sullo sfruttamento del lavoro (foto) di un esercito di diseredati senza diritti che non possono neppure ribellarsi perchè privi del diritto minimo di esistenza, il permesso di soggiorno; settori però che grazie a sovvenzioni, sussidi, integrazioni, misure di sostegno di natura istituzionale consentono, alle organizzazioni malavitose, di lucrare anche ad altri livelli, compreso quello della acquisizione del consenso nella popolazione che finisce per beneficiare del controllo del mercato della occupazione stagionale e della distribuzione di sovvenzioni e sussidi.

In pratica, i braccianti di Rosarno, utilizzano i contratti stagionali solo per truffare l”INPS, perchè non lavorano, fanno lavorare gli immigrati ad 1/5 del salario permettendo così ai proprietari di arricchirsi nonostante la scarsa rimunerativitĂ  del prodotto, non ostacolano anzi favoriscono il controllo mafioso del trasporto e della commercializzazione dei prodotti, terminato il contratto stagionale ricevono il sussidio previsto dalla legge e si dedicano ad altre attivitĂ  legali e non legali.
Naturalmente la truffa può essere anche ulteriormente sofisticata, mettendosi in malattia, facendosi riconoscere una sostanziosa invaliditĂ . Così si guadagna di più sia quando si risulta ufficialmente occupato, e sia quando si è in regime di sussidio di disoccupazione.

Tutte situazioni ben note in tutto il Mezzogiorno, a partire dagli anni “80, ma che si è preferito non arginare consentendo, colpevolmente, alle organizzazioni criminali di acquisire una sovranitĂ  sempre più estesa sulla produzione, il trasporto e la commercializzazione di interi settori della produzione agricola, soprattutto di quelli interessati alla trasformazione industriale.

L”unica risposta vincente possibile è quella di reintrodurre la legge, tutte le leggi, sui territori a sovranitĂ  mafiosa. La desertificazione, il famoso “modello Caserta”, del ministro Maroni può servire solo a fare propaganda a buon mercato, ben ripresa dai corifei della carta stampata, per lasciare esattamente le cose al punto in cui stanno.
(Fonte foto: Rete Internet)

GLI ARGOMENTI TRATTATI