
Il 1° ottobre del 1943, durante la ritirata strategica dei tedeschi, una cannonata, sparata da un mezzo blindato dell’esercito nazista in località Ponte di Ferro, colpì il sagrato della Parrocchia Santa Maria La Nova, ammazzando otto persone innocenti.
I nomi di quelle vittime furono scolpiti successivamente su una lapide marmorea, che fu collocata sulla facciata della stessa chiesa, ad iniziativa della Sezione Comunista. Eccoli i nomi: Castaldo Annunziata, Capuano Immacolata, Carbone Pasquale, Granata Raffaela, Panico Sofia, Polise Rosa, Riglia Maria e Sebeto Maria. Giacomo De Luca, invece, giovanissimo, trovò la morte nei pressi del ponte della Circumvesuviana, pronto ad offrire il suo contributo. Una triste pagina della storia di Sant’ Anastasia. In queste ore sul social Facebook circola una breve cronistoria di quel nefasto evento: nella mattinata del 1° ottobre del 1943, un battaglione della divisione corazzata Fallschirm-Panzer-Division 1 Hermann Göring era di ritirata a Sant’Anastasia, inseguita dai mezzi corazzati degli Alleati Americani, questi ultimi erano fermi davanti al Santuario di Madonna dell’Arco. I militari americani chiesero ad alcuni presenti di poterli indicare dove erano fermi i tedeschi. Tra i giovani presenti un ragazzotto si offrì di accompagnarli. I militari lo invitarono a salire sull’autoblinda che era di testa alla colonna. Il ragazzo era Giacomo De Luca, classe 1905. Arrivati sotto al ponte della Circumvesuviana, i tedeschi lo fecero saltare, e l’esplosione tolse la vita a Giacomo che era seduto sulla macchina militare. Il suo corpo fu portato davanti al Santuario su un carretto. Il 24 febbraio del 1947, fu riconosciuto Partigiano Combattente Caduto [cfr. Sant’ Anastasia Oggi, archivio foto di Ciro Colombrino].

(archivio foto Ciro Colombrino)
Il 1° ottobre – afferma Maria Elena Capuano, presidente ANPI locale – rappresenta il giorno della nostra memoria cittadina, identifica la storia della nostra comunità, ma non solo. Questa data diventa paradigma dell’orrore, della brutalità, della banalità, della assurdità di tutte le guerre. Il nostro 1° ottobre 1943 non può essere una sterile celebrazione: deve, prima di tutto, incarnare esempio di resistenza per poi trasformarsi in una autorevole memoria. Non bisogna dimenticare – continua Capuano – ciò che abbiamo subito, e non bisogna accettare nessuna logica di sopruso, di oppressione, di occupazione, di sterminio. La Madre di tutte le Guerre deve diventare un momento per innalzare un inno imperituro alla Libertà, alla Democrazia, alla Pace. Oggi più che mai.
