La passione di Eduardo per la cucina aveva un importante significato artistico. Lo notò anche Dario Fo nella prefazione del libro “ Si cucine comme vogl’i’”. “’O saponaro” girava per le strade di Napoli e dei paesi vesuviani vendendo sapone in cambio di oggetti vecchi e di panni di ogni tipo. Il termine passò a indicare, metaforicamente, persone vestite in modo sciatto. Eduardo si divertiva a chiamare così il suo amico Salvatore Navarro, che gli preparava il piatto e che nei modi e nell’abbigliamento era tutt’altro che un “saponaro”.
Ingredienti (per 4 persone): gr.400 di spaghetti; 1 spicchio d’aglio; gr. 180 di olive di Gaeta; gr.60 di capperi di Salina sotto sale; 4 cucchiai d’olio extravergine d’oliva; pangrattato. Schiacciamo l’aglio con la mano e soffriggiamolo in una padella antiaderente, in cui abbiamo “costruito” un ricco velo d’olio. Aggiungiamo le olive e i capperi accuratamente dissalati. Dopo pochi minuti di cottura – il tempo necessario per tostare gli ingredienti- eliminiamo l’aglio. Mettiamo a cuocere gli spaghetti e 3 minuti prima del tempo di cottura indicato sulla confezione togliamoli dalla pentola in cui stanno cuocendo e, conservando l’acqua di cottura, caliamoli in quella in cui c’è il condimento e continuiamo a cucinarli. Risottiamoli aggiungendo l’acqua di cottura e non aggiungiamo sale, perché capperi e olive sono già salati a sufficienza. Noteremo che sul fondo si formerà una cremina densa e corposa. Spolveriamo ora abbondante pangrattato e inforniamo a 200°: quando si forma una leggera crosticina croccante, sforniamo e portiamo in tavola (L’immagine viene dal sito “Giallo Zafferano” e il testo dal sito “pane e mortadella”)
‘ O saponaro era una pittoresca figura della Napoli di un tempo. Egli girava lungo i vicoli e tra i bassi e offriva alle donne in cambio di panni e di oggetti vecchi il sapone per il bucato, un sapone, dicono gli storici, che non era inferiore, per qualità, a quello prodotto dai monaci di Santa Maria di Oliveto (oggi Sant’Anna dei Lombardi). Da questo commercio, basato su scambi immediati, nacque il detto napoletano “Ccà ‘e pezze e ccà ‘o ssapone”. Salvatore Navarro, che spesso ospitava l’amico Eduardo e gli cucinava questo “piatto”, faceva di mestiere l’antiquario: “”antichi e vecchi” sono la stessa cosa” gli diceva scherzosamente Eduardo “insomma, anche tu, fai ‘o sapunaro”. E il “piatto” prese il nome di “spaghetti del saponaro”. La cucina, i piatti e la tavola imbandita hanno un ruolo centrale nelle commedie di Eduardo. I piatti portano con sé le memorie del passato, e al Maestro importava far capire agli attori della compagnia prima ancora che al pubblico che a Napoli non esiste la cucina “dei poveri”: anche il “piatto” più semplice – anche una fetta di pane bagnata nel brodo dei fagioli -porta con sé il prezioso corredo dei valori del tempo che fu, degli odori, dei sapori del cibo mescolati a quelli degli affetti e dei sentimenti. “’O rraù ca me piace a mme /m’’o faceva sulo mammà /Tu che dice? Chest’è rraù?/ E io m’o magno pe’ m’’o mangià../ M’a fai dicere na parola ?/ Chest’ è carne c’’a pummarola Negli ultimi anni Eduardo incominciò a scrivere un poemetto gastronomico, “ Si cucine comm’vogl’io”: la moglie Isabella lo scoprì solo dopo la morte del marito e lo completò. Le quartine elencano pietanze conosciute e amate fin dall’infanzia e come per magia riescono a renderne lo spirito antico e misterioso. Dalla ricostruzione delle ricette e dal racconto della moglie Isabella esce un ritratto poco noto di Eduardo, un lato assai simpatico della sua personalità: allegro, creativo, solare. Egli amava la buona tavola, ma senza sfrenatezza. Non dimenticava mai di essere nato povero. Nel suo modo di cucinare e in quello di mangiare sia in solitudine che in compagnia non c’era niente di casuale,e a tavola egli cercava di realizzare una comunione di piacere. Nella prefazione di questo libro Dario Fo scrisse: “Personalmente non potrò mai dimenticare quella trovata a dir poco geniale di proiettare i profumi del ragù per gli ziti (di Donna Rosa) non solo sul palcoscenico, ma verso la platea a inondare i palchi fino al loggione. In quel momento ogni spettatore si ritrovava come d’incanto con il piatto in mano.” “La trovata” Eduardo la portò in scena durante una rappresentazione della commedia “Sabato, domenica e lunedì”. Questo ruolo della cucina sulla scena Eduardo lo sviluppò in modo diverso da come l’aveva trattato il padre Scarpetta. Scarpetta cerca di sfruttare, a livello comico, il contrasto tra chi ha fame e chi è sazio, Eduardo, invece, si serve della cucina, scrisse Dario Fo, “come contrappunto musicale”: e in questa musica sono importanti non solo i profumi, i sentimenti del mangiare insieme, la lotta quotidiana, epica, per la conquista del cibo, ma anche il rumore dei piatti.
(fonte foto: giallozafferano blog)