La violenza contro le donne ha un impatto devastante e spesso duraturo sulla loro salute mentale. È considerata un grave problema di salute pubblica e una violazione dei diritti umani. I tipi di violenza (fisica, sessuale, psicologica ed economica) lasciano cicatrici psicologiche profonde che possono manifestarsi in una vasta gamma di disturbi e condizioni. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sottolinea che la violenza contro le donne è un problema di salute pubblica che richiede l’attenzione e la preparazione dei sistemi sanitari.
La violenza contro le donne (VcD) è riconosciuta a livello internazionale non solo come una grave violazione dei diritti umani, ma anche come un fattore di rischio cruciale per l’insorgenza di malattie e per la morte prematura delle donne e delle ragazze. Il fenomeno ha una portata globale allarmante, con statistiche che indicano come circa una donna su tre nel mondo sia vittima di una forma di violenza fisica, sessuale o psichica nel corso della sua vita, un dato che evidenzia come l’essere donna costituisca, di per sé, un fattore di rischio. La violenza contro le donne (VcD) è riconosciuta a livello internazionale non solo come una grave violazione dei diritti umani, ma anche come un fattore di rischio cruciale per l’insorgenza di malattie e per la morte prematura delle donne e delle ragazze. Il fenomeno ha una portata globale allarmante, con statistiche che indicano come circa una donna su tre nel mondo sia vittima di una forma di violenza fisica, sessuale o psichica nel corso della sua vita, un dato che evidenzia come l’essere donna costituisca, di per sé, un fattore di rischio.
L’autore della violenza è, nella maggior parte dei casi, una persona vicina alla vittima, detenendo un ruolo di potere o intimità. Nelle rilevazioni del quarto trimestre del 2024, il 50% delle vittime ha indicato come autore il partner attuale (convivente o meno), mentre il 21% ha segnalato l’ex partner. Una quota significativa (11%) è attribuibile ad altri familiari. Nonostante la vasta diffusione della violenza, una percentuale massiccia di donne rimane nel silenzio, la mancata denuncia è la paura delle reazioni dell’autore, che riguarda il 38,5% dei casi nel quarto trimestre 2024. Sia nel terzo che nel quarto trimestre del 2024, il tasso di non denuncia alle autorità competenti si è mantenuto costantemente elevato, attestandosi intorno al 73% delle vittime. La violenza domestica estende i suoi effetti traumatici anche sui minori che ne sono testimoni, un fenomeno noto come violenza assistita. Nel 2024, in Italia, solo nei primi due trimestri, sono stati registrati 1211 casi che hanno generato inquietudine nei minori, oltre a indurre aggressività, paure e, in alcuni casi, una precoce ipermaturità.
La Relazione tra Violenza e Psicopatologia: Il modello bidirezionale di causalità. La violenza è uno dei principali fattori di rischio di morbilità e morte prematura per le donne (Krug et al., 2002) con conseguenze fisiche, mentali, sociali ed economiche devastanti che riguardano non solo le sopravvissute, ma anche i loro figli, le loro famiglie e la comunità tutta. La relazione tra violenza domestica e disturbi psichiatrici non è unidirezionale, ma si configura come un legame a doppio filo. Da un lato, la violenza è una causa diretta e accertata di psicopatologia. Studi hanno dimostrato che le donne che subiscono violenza domestica presentano un rischio significativamente maggiore di sviluppare problemi di salute mentale, inclusi la depressione e, in casi più gravi, sintomi psicotici. Dall’altro lato, individui (sia donne che uomini) con disturbi preesistenti di salute mentale sono più vulnerabili e hanno un rischio elevato di diventare vittime di soprusi da parte del partner.
La predisposizione a subire violenza in età adulta, in particolare la violenza del partner intimo (IPV), è spesso mediata dall’esposizione a esperienze sfavorevoli infantili (Adverse Childhood Experiences – ACEs). L’esposizione prolungata a traumi relazionali, come quelli tipici della violenza domestica, conduce a una disregolazione fisiologica cronica. Ciò si manifesta con l’innalzamento persistente di marcatori biologici, tra cui cortisolo e catecolamine. Questo stato di iperattivazione cronica innesca un processo infiammatorio che non solo favorisce l’insorgenza di disturbi depressivi, tradizionalmente più frequenti nelle vittime di abuso, ma contribuisce anche al peggioramento di sintomi fisici, in particolare quelli cardiovascolari, collegando strettamente salute mentale e salute fisica a lungo termine.
Il trauma e lo stress prolungato causati dalla violenza portano spesso allo sviluppo di disturbi psicologici e psichiatrici:
Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD): È una delle conseguenze più comuni. Si manifesta con flashback, incubi, ipervigilanza, evitamento e ansia intensa legata all’evento traumatico.
Depressione e Ansia: Le donne vittime di violenza hanno tassi significativamente più alti di depressione maggiore, disturbi d’ansia generalizzata, attacchi di panico e fobie.
Bassa Autostima e Senso di Colpa: La violenza, soprattutto se prolungata o psicologica, erode il senso di autostima, portando sentimenti di fallimento, incapacità, impotenza e inutilità. Spesso si sviluppano forti sensi di colpa.
Comportamenti Autolesivi e Suicidari: Il rischio di tentativi di suicidio e di comportamenti autolesivi è elevato, poiché la vittima può percepire l’isolamento e la disperazione come insopportabili.
Abuso di Sostanze: Per gestire il dolore emotivo e l’ansia, alcune vittime ricorrono all’abuso di alcol, droghe o all’uso eccessivo di tranquillanti e antidolorifici.
Disturbi Alimentari e del Sonno: Possono manifestarsi disturbi come l’insonnia, la bulimia o la mancanza di appetito.
Isolamento Sociale: La vergogna, la paura e il controllo esercitato dal partner violento spesso portano la donna a un forte isolamento sociale, che alimenta l’ansia e lo stress.
Terapie Psicologiche Basate sull’Evidenza e Farmacologiche.
Il Modello Trifasico. Il trattamento del trauma complesso richiede l’adesione al modello trifasico, storicamente formulato da Pierre Janet e ripreso da Judith Herman, strutturando la guarigione in tre fasi sequenziali. (International Society for the Study of Trauma and Dissociation-ISSTD, 2011; Loewenstein e Welzant, 2010; van der Hart, 2006). Il trattamento è utile nei casi di trauma complesso derivante da violenza prolungata (violenza domestica):
Fase 1: Stabilizzazione (Safety and Stabilization): L’obiettivo primario è ristabilire un senso di sicurezza emotiva e fisiologica. Questa fase include la gestione del rischio suicidario, dell’autolesionismo, della disregolazione emotiva e, soprattutto, la garanzia della sicurezza fisica dalla violenza attuale. La stabilizzazione è indispensabile prima di qualsiasi elaborazione del ricordo traumatico (Tri-Phasic Model – The Trauma Practice Research Project , TPRP).
Fase 2: Elaborazione (Remembrance and Mourning): Solo dopo aver raggiunto una solida stabilizzazione, si può procedere al lavoro sul ricordo traumatico (Trauma Memory Processing).
Fase 3: Riconnessione (Reconnection): L’ultima fase è dedicata alla reintegrazione sociale, al ristabilimento di relazioni significative e alla ricerca di un nuovo senso o scopo di vita, a volte attraverso la partecipazione ad attività di supporto ad altre sopravvissute alla violenza.
Terapia Focalizzata sulla Compassione (CFT): Per le donne con C-PTSD, dove l’autocritica e la vergogna sono centrali, la CFT si è dimostrata efficace. La CFT può migliorare l’ideazione suicidaria e le distorsioni cognitive, offrendo un approccio mirato a sviluppare auto-compassione e a contrastare la narrazione interna di sé come persona “danneggiata”.
EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing). L’EMDR è un approccio basato sull’evidenza ampiamente raccomandato per il trattamento del trauma per rielaborare le memorie traumatiche in modo che siano meno disturbanti a livello emotivo e corporeo, favorendo una risoluzione neurale del ricordo. Il terapeuta guida la paziente a richiamare l’evento traumatico mentre esegue una stimolazione bilaterale (spesso movimenti oculari), aiutando il cervello a “metabolizzare” l’informazione dolorosa e a integrarla in modo adattivo.
Il trattamento farmacologico supporta la psicoterapia, mirando alla riduzione dei sintomi invalidanti, in particolare quelli legati all’ansia, alla depressione e all’iperattivazione. Antidepressivi: gli Inibitori Selettivi della Ricaptazione della Serotonina (SSRI) costituiscono il fondamento del trattamento farmacologico per il PTSD, secondo le linee guida cliniche internazionali. Gestione dell’Arousal e degli Incubi: il Propranololo, un beta-bloccante, può essere utilizzato per mitigare l’arousal periferico e la componente anticipatoria delle intrusioni traumatiche, intervenendo sui correlati biologici acuti del trauma. Le benzoadiazepine possono essere utilizzate con efficacia in alcuni pazienti se impiegate per brevi periodi, così da evitare i fenomeni di tolleranza, la facilità di assuefazione e la possibile dipendenza fisica e psicologica.
La violenza contro le donne è una pandemia sommersa, la cui gestione richiede un’urgente e profonda comprensione dei suoi aspetti psichiatrici cronici. La solidità e della rete istituzionale italiana: (Codice Rosa, DSM, CAV) sono direttamente correlate alla capacità di garantire, in modo coordinato, non solo la cura psicologica e psichiatrica, ma anche la piena autonomia e la sicurezza legale e abitativa della vittima.


