Se le vongole veraci scompaiono dagli allevamenti e dal mare aperto, scompare un “piatto” principe della cucina napoletana. Oggi Raffaele Viviani non troverebbe più, a Napoli, la sua “Santa Lucia”, “no chella d’’e ccanzone”, ma quella “d’’a cucina, d’’a vungulella ncopp’ ‘o maccarone”. E Tore ‘e Crescienzo, il capo della camorra, non potrebbe più usare il suo famoso insulto, che era come una condanna a morte: “’A vocca ‘e chisto nun sputa sentenzie, ma vongole”.
Ingredienti: gr. 350 di spaghetti;1 kg. di lupini di mare; 2 spicchi d’aglio; un mezzo bicchiere di vino bianco; 1 peperoncino; 1 mazzetto di prezzemolo; olio, sale, pepe. Fate spurgare i lupini, poi fateli aprire in una pentola con un soffritto di aglio e olio e bagnateli con il vino bianco. Dopo che i lupini si sono aperti, filtrate il fondo di cottura e mettetelo da parte. Preparato il condimento con olio, aglio e peperoncino, aggiungete i lupini, il fondo di cottura e il prezzemolo tritato e fate insaporire il tutto per qualche minuto. Fate cuocere gli spaghetti e scolateli al dente direttamente nella padella che contiene il condimento: il sapore del “piatto” risulterà saporito e cremoso.
La storia delle vongole parte dall’antichità. Gli scrittori greci le citano sempre insieme ad altri molluschi, le buccine, per esempio, e quelle “porpore” da cui i Fenici ricavavano il colore rosso che diede ad essi fama, ricchezze e anche il nome. Sofrone le chiama “la ghiottoneria delle vedove”, riferendosi forse al fatto che si riconosceva ai molluschi, e in particolare alle buccine e alle vongole, la capacità di soddisfare tutti i sensi di chi ne consumava una ricca “portata”. Nel febbraio di quest’anno l’associazione mediterranea degli acquacoltori ha comunicato che la produzione di vongole veraci è in calo del 70%, per colpa soprattutto dell’invasione dei granchi blu, e che tra Goro e Comacchio almeno 3000 pescatori sono rimasti senza lavoro e senza reddito. In realtà il problema è di antica data. Dieci anni fa Vincenzo Del Genio pubblicò in “Civiltà della tavola “ un articolo, intitolato “La rivincita del lupino di mare”, in cui comunicava ai lettori che dall’inizio degli anni Ottanta in molti allevamenti dell’ Adriatico la vongola verace era stata sostituita dalla “vongola delle Filippine”. Questa vongola proveniente dall’Oceano Pacifico è, all’esterno, in tutto simile alla “verace” e riesce a crescere molto più velocemente della “verace”, ma ha il difetto, assai grave, di essere asciutta: non produce nemmeno un filo di quegli “umori” che escono dalla “verace” e, mischiandosi con l’olio d’oliva, creano il sugo che ha reso “i vermicelli a vongole” un “piatto” famoso in tutto il mondo. La fantasia dei venditori napoletani non poteva restare insensibile davanti a questa strana vongola, che essi battezzarono “torza”: che indica, nella lingua di Napoli, il fusto scuro di un ortaggio usato nei minestroni, e, per metafora, una donna brutta e stupida, come brutto è stupido l’uomo classificato come “turzo”. Lungo è l’elenco dei nomi di alimenti che entrarono come metafore nel linguaggio della camorra. I Napoletani non avevano un’alta opinione dei venditori di vongole, perché erano certi che nei “cuoppi” rifilati ai compratori quelli mischiavano ad arte vongole piene e vongole vuote: e così la parola “vongola” indicò anche le esagerazioni tipiche dei chiacchieroni, i paroloni che dovrebbero dire tanto e invece non dicono niente. Per un ragionamento analogico “vongola “indica a Napoli anche l’errore clamoroso, lo strafalcione di chi, mentre cerca di parlare come un raffinato linguista, inciampa in una “papera” colossale. Certe promesse e certe offerte sono come certe vongole perché hanno una bella forma e fanno rumore, ma poi le apri, e dentro non c’è niente: sono un inganno, quelle promesse, sono una presa in giro: e Tore ‘e Crescienzo non sopportava che qualcuno tentasse di ingannarlo, di prenderlo in giro: e perciò quando sentenziava: “ ‘a vocca ‘e chisto sputa vongole”, per quel “chisto” era una condanna a morte. In alcuni testi del teatro popolare napoletano “’a vongola” è anche l’organo sessuale femminile: è una questione di forma, e di rispetto dei vari significati del diminutivo latino “conchula” da cui derivano “conchiglia” e “vongola”.
(fonte foto: Giallo Zafferano)