In questa “pagina” parleremo non solo delle vere e proprie ricette, ma da oggi in poi dedicheremo la nostra attenzione anche ai significati metaforici che la lingua napoletana trae dal lessico del cibo e della cucina. Il “modo di dire” indicato nel titolo è un complicato intreccio semantico: per coglierne il senso risultano fondamentali il tono di voce con cui viene pronunciato e l’espressione di chi lo pronuncia.
I “sarachielli” erano piccole acciughe e minuscoli saraghi che i pescatori napoletani vendevano a poco prezzo e che venivano salati prima di essere consumati. La povertà dei pescatori di Santa Lucia e di Posillipo venne descritta da Carlo T. Dalbono: “essi vivono con l’amo e con il remo in mano”, dimorano “ in una catena di povere abitazioni marinaresche… Quelli che van cercando alimento dal minuto pesce e dai molluschi o frutti di mare, che van tastando uno scoglio, cercandovi i granchi o qualche altro abitatore aquoreo della specie, hanno le mani e i pié per tal maniera guasti, gonfi, e quasi ostrutti, che fan pietà solo in mirarli.”. In questo ambiente nacque il “modo di dire” sulla merenda con i “sarachielli”. Ci sono due versioni della frase, una con l’immagine del pane, e l’altra senza. La versione “fai marenna a sarachielli” ha un senso chiaro: sei in una condizione di assoluta povertà, di totale impotenza, e devi prendere atto del tuo stato. E’ il significato che il “modo di dire” esprime in un canto anonimo in cui Masaniello avverte il Viceré che lui ha perso la pazienza e che le cose si mettono male per gli Spagnoli: ..Vicerrè mò fete ‘o ccisto /songo ‘o peggio cammurrista /, io me songo fatto ‘nzisto /,e cu ‘a ‘nziria e Masaniello faie marenna a sarachiello…” ( Viceré, incomincia a puzzare il petrolio con cui riscaldiamo la casa, c’è la minaccia di un incendio, e io sono il più terribile camorrista, e sono risoluto, non torno più indietro, e per l’ostinazione di Masaniello tu non comandi più nulla, sei un povero che tutt’al più può nutrirsi con qualche pesciolino salato. “ ‘O ccisto” non è il cesto, come ho letto da qualche parte, ma è l’insieme di olio e di spirito usato per l’illuminazione delle case che causava incendi anche disastrosi, e qui l’incendio è metafora della rivoluzione; e “’’nzisto” non significa “furbo” , ‘”nziria” non significa rabbia e, se si “traduce” l’ultima frase con “fai merenda mangiando pesce”, non si rende il senso vero dell’accusa che Masaniello rivolge al Viceré, che non si accorge della condizione in cui si trova). Il canto è del secolo XVIII: la presenza della parola “camorrista” induce a pensare che sia stato composto negli ultimi anni del secolo. La parola “pane” conferisce al motto un significato più complesso: il pane si trovava soprattutto sulla tavola dei ricchi: chi ha il pane, ma non ha i mezzi per servirsi come companatico di formaggio o di salumi, e può procurarsi solo i “sarachielli”, fa pensare a uno che crede di essere capace, che crede di essere potente, e invece, alla fine, deve arrendersi al peso dell’incapacità, dell’impotenza, della povertà. Francesco D’Ascoli sottolineò l’importanza del tono di voce e dell’espressione del volto di chi pronuncia “l’avvertimento” o lo pensa: la voce alta la usa chi vede un parente o un amico impegnarsi in una impresa difficile e pericolosa, ma se il rischio lo corre un estraneo, “l’avvertimento” lo pronunciamo sottovoce o ci limitiamo a pensarlo: e quello che pensiamo lo comunichiamo con lo sguardo o con il movimento delle labbra. Francesco D’Ascoli fece anche notare che “’e sarachielli” “si conservavano sotto sale in grossi barilotti” dopo essere state asciugati al sole.”. Quando si mangiavano, “davano di lì a poco una sete che non si domava facilmente”. Un pasto terribile, da ogni punto di vista. Nei primi anni ’80 del ‘900, a Ottaviano, durante le trattative per formare la nuova amministrazione comunale, una delegazione della DC incontrò i delegati del partito individuato come alleato: tema dell’incontro era la distribuzione degli assessorati. Un membro del comitato degli “alleati” cercò di convincere la DC ad accontentare gli “alleati” che chiedevano con insistenza alcuni assessorati e rovesciò sui presenti un fiume di parole, “diremo”, “faremo”, “abbiamo progettato”, “costruiremo”, ecc.ecc.: a un certo punto il suo capo, uomo di poche parole, lo fermò con uno sguardo e gli ricordò, sillabando, “ con questi qua le chiacchiere non servono: con questi fai marenna a fiche secche e a sarachielli”. Ho raccontato l’aneddoto per ricordare con quanta finezza la lingua napoletana ricava “giochi” metaforici dal linguaggio del cibo L’immagine delle “fiche secche” rende ancora più efficace quella dei “sarachielli”.