Anche la Chiesa cerca di fare la sua parte per sconfiggere il male del nostro tempo: la disoccupazione.
Ho partecipato al Convegno della settimana scorsa, alla Stazione marittima, sul lavoro. Organizzato dai presidenti delle Conferenze episcopali di Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna. Ripartire dal lavoro, emergenza del nostro tempo. E a questo medesimo appello è chiamata a rispondere tutta la Chiesa italiana nell’anno della Settimana sociale di Cagliari (26-29 ottobre 2017), dedicata proprio al “lavoro che vogliamo”. Partire di nuovo dal lavoro, specialmente al Sud, dove più è in crisi. La misura è colma: siamo al 50% dei disoccupati, tanti giovani se ne vanno fuori e tanti adulti lo stanno perdendo. Il lavoro è sempre più precario. E questa attenzione la chiedono le istituzioni, impegnandosi a metterlo al centro dell’agenda politica, e la chiedono le Chiese locali, con il popolo, soprattutto i giovani, e i pastori. Ma i problemi del mondo del lavoro sono innumerevoli: sfruttamento, lavoro nero o sottopagato, mobbing, donne e talora uomini esclusi per aver rivendicato il loro diritto insopprimibile a conciliare i tempi del lavoro con quelli della famiglia, e magari per aver generato una nuova vita di cui è pure loro compito prendersi cura. Problemi che vanno dalle fabbriche ai campi, e in tutti i campi del vivere lavorativo-sociale. Ma perché la Chiesa dovrebbe “occuparsi” del lavoro? Ce lo ricorda senza interruzione papa Francesco: scrive nell’Evangelii gaudium che, “nel lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita”. Lavoro e dignità rappresentano un binomio inscindibile, anzi, lavoro è dignità. “Quando non si guadagna il pane, si perde la dignità”, ha scritto il Papa nel messaggio per il Convegno di Napoli. “Questo – prosegue – è un dramma del nostro tempo, specialmente per i giovani, i quali, senza lavoro, non hanno la prospettive e possono diventare facile preda delle organizzazioni malavitose”. È, in fin dei conti, una questione di giustizia. “Una società che non offra alle nuove generazioni sufficienti opportunità di lavoro dignitoso non può dirsi giusta”, ha affermato ancora il papa, che nella sua prima esortazione apostolica aveva coniato il termine “inequità” per descrivere un’economia che “uccide”, nella quale “grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie d’uscita”. Giustizia e dignità richiamano, allora, la speranza. Bisogna smetterla – si è detto a Napoli – di piangere il lavoro che non c’è e impegnarsi a costruire le condizioni per creare lavoro, soprattutto per i giovani. Puntare su di loro è “un atto di lucidità politica”, hanno scritto i vescovi del Mezzogiorno. È l’ora di un impegno fattivo, testimoniale, non solo a parole. Dare l’esempio significa agire, nel proprio ambito di competenza: nel rispetto dei ruoli, ma senza chiamarsi fuori. Il cammino verso la Settimana sociale raccoglie la sfida, scandita da quattro tappe, delineate nella lettera-invito, “allo scopo di risvegliare e mettere in moto le tante risorse presenti nelle nostre comunità”. Dapprima “denunciare le situazioni più gravi e inaccettabili” e “raccontare il lavoro nelle sue profonde trasformazioni”. Poi “raccogliere e diffondere le tante buone pratiche che, a livello aziendale, territoriale e istituzionale, stanno già offrendo nuove soluzioni ai problemi del lavoro e dell’occupazione”, per arrivare infine alle proposte rivolte alle istituzioni. E di “buone pratiche” il territorio – al Nord come al Sud – è ricco, grazie anche a quella formidabile fucina di idee e progetti sfociati in nuove realtà lavorative che è il Progetto Policoro, creazione proprio della Chiesa italiana. Una corposa rassegna di casi esemplari è stata presentata proprio al convegno delle Chiese del Sud: dal recupero e vendita di abiti usati a Napoli al progetto “Adotta una capra” nel Cilento per impegnare sul territorio ragazze e ragazzi nell’allevamento, nell’agricoltura e nella pastorizia, e contrastare così lo spopolamento. Dai progetti di microcredito per l’avvio di imprese alla cooperativa sociale “I dieci talenti” di Tricarico che si occupa di cultura e turismo. Dalla creazione di un’app rurale (Vazapp) a Foggia per far dialogare giovani contadini alla griffe di alta moda etica “Cangiari” nata in seno al progetto Goel nella diocesi di Locri-Gerace, che oggi conta 201 dipendenti. Anche nella nostra Diocesi sono nate attività lavorative che danno lavoro, nel campo della logistica, a più di 400 lavoratori. Casi singoli che hanno valore in quanto esemplari, paradigmatici di una realtà che può essere elevata a sistema per far ripartire l’occupazione. La Chiesa sta facendo la sua parte (non tocca certamente alla chiesa “dare lavoro”!). Sarà indispensabile il sostegno delle istituzioni locali e nazionali e degli imprenditori, soprattutto cristiani. Anche se è sotto i nostri occhi quello che sta accadendo nel mondo della politica: litigi, gossip e…altro. Diventino più seri i nostri rappresentanti e mettano al centro delle loro preoccupazioni non gli interessi di parte ma il vero “bene comune”, che in questo caso è il lavoro che è, ancora oggi, la “questione centrale della questione sociale”.