Può un Dio aver consentito che chi abitava nel palazzo di Torre Annunziata morisse in quel modo, e che Gloria Trevisan fosse raggiunta dalle fiamme di Grenfell Tower mentre stava a telefono con la madre e riuscisse a dirle “Mamma, sto morendo…”? Una paranoia del nostro tempo: la rimozione delle immagini della morte. Blaise Pascal e J.L. Borges.
“Signore difendimi non dalle spade, ma dalla speranza” (J.L. Borges)
In una memorabile lezione Salvatore Battaglia ci spiegò che è difficile stabilire i confini del dominio della casualità: e ci parlò di Guicciardini, e del suo monito a non attribuire al Caso le colpe della nostra scarsa lucidità, dei difetti della nostra “prudenza”, e cioè della nostra capacità di prevedere gli eventi. Fino a qualche anno fa chi, passeggiando, a Nizza, per la “Promenade des Anglais”, avesse visto un camion fare strane manovre, avrebbe pensato tutt’al più a un camionista ubriaco, e non all’attentato di un terrorista. Boris Vian, che ha scritto uno straordinario romanzo sulla morte, “La schiuma dei giorni”, diceva che il caso è, alla fine, una scala di percentuali di probabilità: affacciarsi alla finestra e “scontrarsi” con una pallottola vagante è più facile che accada a Napoli che a Stoccolma. Almeno fino ad oggi. Domani, non si sa. Quella scala prevede come naturale la morte per malattia, a qualsiasi età, presenta come probabile la morte per violenza di Natura, giudica possibile che un automobilista distratto o che guida un’automobile che all’improvviso impazzisce travolga un pedone proprio sulle strisce pedonali o un motociclista rispettoso della segnaletica. Ma quella scala deve considerare molto improbabile che un automobilista muoia in autostrada schiacciato da un cavalcavia che ha deciso di crollare, di schianto, sull’infelice, accompagnato dal Caso a passarvi sotto proprio nel momento fatale. Eppure, è accaduto.
Una delle vittime del crollo di Torre Annunziata era una sindacalista della Cgil: chi l’ha conosciuta mi dice che era una donna coraggiosa, energica, saggia nel trovare soluzioni ai problemi. Mi chiedo da stamattina se è stata così fortunata da morire sul colpo, o se il Caso si è divertito a tormentarla con un attimo nero e eterno di agonia cosciente, in cui alla paura della morte, della sua morte, si aggiungeva la disperazione per il buio, e per il silenzio, per il marito, per il figlio, che era tornato a casa poco prima del crollo. Quale Dio ha potuto consentire, e perché, che mentre in quella notte del 14 giugno Grenfell Tower bruciava, i genitori di Gloria Trevisan sentissero, per telefono, spegnersi a poco a poco la voce della figlia raggiunta dai vapori e dalle prime fiamme, e poi le ultime parole: “Mamma sto morendo, grazie per quello che avete fatto per me”.? Non riuscirò a dimenticare questa scena. Di cosa fosse capace la crudeltà del destino, nemmeno Seneca fu capace di immaginarlo: si illudeva che il destino fosse uguale per tutti, e che questa uguaglianza ne rendesse sopportabile la ferocia.
Da domani si metterà in movimento uno dei motori psicologici del nostro tempo: la rimozione dell’immagine della morte e dell’onnipotenza del Caso. Il primo atto, che mi pare sia stato già avviato, è la ricerca del colpevole del crollo: di un colpevole qualsiasi.. L’individuazione del colpevole sazia il desiderio di vendetta e conforta, contemporaneamente, l’illusione che il Caso non esista realmente, sia un idolo fittizio e ingannevole e che tutti gli eventi siano effetti di cause chiare e nette e, a loro volta, diventino cause di eventi certi e misurabili. E’, questa illusione, una delle grandi paranoie del nostro tempo, da cui, diceva Umberto Eco, nascono la mania del complottiamo e l’ossessione della dietrologia.
E poi la rimozione della morte. Il ricordo delle vittime di Torre Annunziata si dissolverà in pochi giorni, corroso e macinato dal nastro di “fb”, dalle foto dei lidi e del mare, dei piatti, dai post dei predicatori di giornata e dei politici. In definitiva, questa rimozione la vogliamo tutti. E perciò aspettiamo con ansia il sermone di qualche uomo di Chiesa che ci esorti a credere che la storia e il mondo, le cose grandi e le piccole, le migrazioni di massa e la morte di otto infelici schiacciati dalle pietre rientrino nel disegno della Provvidenza: alla fine, diceva Blaise Pascal, – quel Pascal che Scalfari ha proposto a papa Francesco di proclamare Beato -, credere in Dio conviene, perché ogni domanda troverà una risposta, e ogni dubbio verrà dissolto. Per chi si accontenta. Non so immaginare cosa il Dio di una religione rivelata possa rispondere alle domande terribili dei genitori di Gloria Trevisan.
Forse gli scrittori della cattolicissima Spagna e delle cattolicissime terre latinoamericane hanno ragione quando ci dicono che è conveniente immaginare la vita come un sogno. “…Mi piaceva/ dormire per sognare, e anche per l’altro/ sogno lustrale che elude la memoria/ e che ci purifica dal gravame/ di essere chi siamo sulla Terra.”. La consolante poesia di Borges…..