QUALE ITALIANO PER I GIOVANI?

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    In questo dialogo si riflette sull”opera formativa che la Scuola ha avuto nel far conoscere la lingua italiana a milioni di persone. “Un italiano unitario”.
    Di Giovanni Ariola

    Il prof. Carlo A. è solo nel Laboratorio. Fa un po” fatica a concentrarsi nella lettura a causa di una pioggia che furiosa e insistente tambureggia sui vetri della finestra. È proprio un brutto inverno. E a causa del maltempo e del conseguente allagamento delle stanze a pianterreno dell”edificio, la riapertura del Laboratorio e la ripresa delle attività dopo le festività natalizie sono state procrastinate di qualche giorno. Chissà se oggi verranno gli altri e se si potrà svolgere la riunione del direttivo, prevista per metà mattinata.

    Si devono stabilire le modalità di svolgimento del Convegno sull”opera di Manlio Cortelazzo, l”illustre dialettologo padovano scomparso nel febbraio dell”anno scorso, alla bella età di novant”anni, noto al grande pubblico per il DELI (Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, composto con la collaborazione di Paolo Zolli, Zanichelli, 1979-1988 e 1992) e per il DEDI (Dizionario etimologico dei dialetti italiani, composto in collaborazione con Carla Marcato, Feltrinelli, 2005). Appunto del Cortelazzo il prof. Carlo, in vista della relazione introduttiva che dovrà tenere ad apertura del Convegno, va rileggendo le opere, tutte prestigiose e interessanti. Ora ha tra le mani l” “Avviamento critico allo studio della dialettologia italiana” (Pacini Editore, Pisa, 1976), un manuale metodologico su cui si sono preparate e formate numerose generazioni di studenti.

    Intanto si va trascrivendo sul suo taccuino azzurro, compagno inseparabile, alcuni passi che ha intenzione di citare al convegno e che gli sembrano più significativi e maggiormente idonei a focalizzare la personalità dello studioso veneto. Si ferma a riflettere, dopo esserselo appuntato, su questo brano in particolare, che si riferisce al merito da riconoscere alla scuola, pur tra tanti limiti che ha avuto, ed ha, la sua opera formativa, nell” “aver avviato alla conoscenza e all”uso dell”italiano milioni di persone”.

    “Certo, il prezzo pagato per svincolare il piccolo dialettofono dal suo spontaneo mondo espressivo può essere considerato anche troppo alto, tanto più che la sostituzione è inadeguata ed a volte, per una sorta di tramandata, diffusa azione repressiva di forme condannate dai puristi di uno o due secoli fa, perfino ingiustificata, oltre che ridicola.

    “Un bambino scrive: Oggi ho fatto arrabbiare la mamma; e il maestro corregge: ho fatto inquietare; arrabbiano soltanto i cani“; un altro: il babbo mi ha portato al cinematografo; e il maestro: “mi ha condotto; si porta soltanto in collo o sulle spalle“; un altro: ho passato le vacanze al mare; e in margine “ho trascorso“:..(E. Bianchi, “Spontaneità e pedanteria”, in “Lingua Nostra”, III, 1941, pp.60-61).

    Risultato di questa pedanteria è lo scialbo italiano scolastico:e l”impossibilità, dal momento che l”italiano è appreso soltanto sui sacri testi della letteratura, pervasi più di lirismo, che di concretezza, di esprimere la minuta realtà delle cose e il rinnovarsi della modesta vicenda quotidiana.

    Ciononostante, :le norme grammaticali vecchio stile, rigide, uniformi e immutabili per tutti gli insegnanti, hanno contribuito a divulgare ovunque un seguitissimo tipo di italiano, piatto finchè si vuole, ma unitario”. (“Avviamento critico allo studio della dialettologia italiana”, p.14)

    Entrano grondanti, bagnati fradici, dalla testa ai piedi, il prof. Eligio Ligio e il dottorino (di nome Michele, di soprannome, fin dagli anni del liceo, Dolcemiele, per il suo carattere mite, docile e, come in altri tempi si sarebbe detto, educato).

    • Siamo reduci da un acquazzone:.- annuncia, alquanto banalmente in verità, il dottorino.

    • Più esattamente – precisa il prof. Eligio – dobbiamo parlare di un rovescio, per il ventaccio che ha accompagnato la pioggia, di tale violenza che a mia memoria non ve ne sono stati in passato di simili:.tanto che ha provocato il rovescio, scusate il bisticcio, del robusto ombrello, che io definivo da carrettiere, in quanto aveva la stessa ampiezza dei paracqua (ma fungevano anche da parasole) usati una volta dai carrettieri o trainieri (guidavano i traini, una sorta di veicoli a due ruote ma più lunghi dei comuni carretti) che, estate e inverno, percorrevano le nostre strade, e alla fine me l”ha strappato dalle mani e l”ha fatto volare chissà dove:

    Fanno presto i nuovi arrivati ad asciugarsi alla meglio incollandosi per qualche minuto ai termosifoni bollenti e ricorrendo ad un fono, come dice il dottorino impropriamente, seguendo l”uso corrente, ad un fon (dal ted. Fohn, nome commerciale), come corregge, in vena oggi di pedanteria, il prof Eligio, suggerendo la variante sempre meno usata di asciugacapelli), trovato nel bagno, per riportare allo statu quo ante la chioma folta, nera e riccioluta dell”uno e quella floscia, rada e brizzolata dell”altro.

    • Vorrei sottoporre – li interpella il prof. Carlo – alla vostra considerazione e quindi al vostro giudizio, questo passo del Cortelazzo per confrontare la vostra opinione con la mia :..

    Dà lettura del brano sopra trascritto.

    • Mi sembra – osserva il prof. Eligio – eccessivamente severo il giudizio espresso sull”opera degli insegnanti che, pur con le debite riserve e gli innegabili limiti, ha contribuito ad educare linguisticamente i ragazzi loro affidati. Ma il problema oggi non è quello o non è tanto quello di stabilire la validità del lavoro dei docenti, quanto quello di discutere e soprattutto di decidere il modello di lingua da proporre agli studenti:

    • Un problema enorme: – concorda il prof. Carlo.

    • Appunto:. – continua l”altro – Fino agli anni sessanta del secolo scorso la scuola proponeva, come giustamente sottolinea il Cortelazzo, ancora modelli esclusivamente letterari e antiquati, come “I Promessi Sposi” o romanzi dell”ottocento, molti dei quali tradotti dalle letterature straniere, in particolare francese, inglese, russa. Insomma niente Novecento fatta eccezione per Pirandello, forse, non sempre, Svevo :.

    • Abbiamo letto – conferma il prof.Carlo – per conto nostro gli scrittori del Novecento. Ma oggi, un docente che vuole svolgere bene il suo lavoro quale o quali autori può proporre come modelli. Penso che su questo problema si debba aprire un grande dibattito che dovrebbe coinvolgere docenti, scrittori, pedagogisti, intellettuali:Anche perchè, lasciati senza modelli, i giovani si sentono autorizzati ad usare un italiano televisivo o mediatico in genere che è un mostro linguistico, ibrido connubio di gergo, dialetto e angloitaliano sempre più sgrammaticato e spesso improprio.

    • Si deve riconoscere – interviene il dottorino – che il venir meno di una educazione linguistica adeguata alimenta la pratica di un dialetto o gergo di gruppo che se da una parte non manca di validi lampi creativi, alla fine si riduce a una poltiglia lessicale piuttosto becera banale e talvolta di cattivo gusto. Alle venti parole che sono state indicate da un”indagine statistica inglese e che sono state in parte riportate da qualche giornale quotidiano vorrei aggiungerne qualche altra :.rimandando agli elenchi su internet per una conoscenza più ampia. (continua)