“Pictor Classicus Sum” : De Chirico e la suggestione dell’antico

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    Alla fase metafisica, la cui influenza fu capitale per il Surrealismo, subentrava la metamorfosi “classicista” che avrebbe caratterizzato tutta la successiva pittura di Giorgio de Chirico.

    La nascita e l’infanzia in Grecia assumono una connotazione profonda, endemicamente connessa al mito della classicità che Giorgio de Chirico perseguì tenacemente nell’arte come nella vita. A centoventiquattro anni esatti dalla nascita (Volos, 10 luglio 1888- Roma, 20 novembre 1978), la sua fama di “pictor optimus” è ormai un fatto acquisito.

    Ma l’agognata perfezione della pittura, “bella materia colorata”, ha rappresentato il punto di riferimento di de Chirico a partire dalla sua svolta classicista. È il maestro stesso che, in un passo delle sue memorie, rivive la “rivelazione della grande pittura” – di fronte alla maestria di un Tiziano osservato al Museo di Villa Borghese a Roma, nel 1919 – rievocando sensazioni ed emozioni sorprendenti, in un’ epifania sacra al limite della conversione miracolosa quando “ vidi nella sala apparire lingue di fuoco, mentre fuori, per gli spazi del cielo tutto chiaro della città, rimbombò un clangore solenne, come di armi percosse in segno di saluti e in un formidabile urrà degli spiriti giusti echeggiò un suono di trombe annuncianti una resurrezione”.

    La nuova maniera dechirichiana divenne oggetto del risentimento profondo di molti artisti delle avanguardie che ne avevano idolatrato la pittura metafisica; questa fase durò dal 1910 al 1917 quando a Ferrara, durante la “grande guerra”, caricò i suoi manichini, le sue piazze d’Italia, i suoi interni, di una sospensione atemporale, bloccata, impregnando quei capolavori metafisici di “una luce propizia di tempesta, di eclisse o di crepuscolo”: parola di Andrè Breton. Proprio il gruppo surrealista si ispirò alla fase metafisica di de Chirico, osteggiando con caparbietà il cambiamento di rotta, per loro degenerata evidenza di una ridicola regressione.

    Ma la critica successiva ha rivalutato con attenzione la sua metamorfosi “mimetica”. E non poteva essere altrimenti, anche perché il pittore metafisico non fa a cazzotti con il pictor classicus. “La suggestione del classico”, che, a ben guardare, ha sempre caratterizzato l’arte di Giorgio de Chirico, è stata oggetto di numerose occasioni espositive: “Giorgio de Chirico. La suggestione del Classico” è passata anche dalle nostre parti, tenuta ormai più di due anni fa a Cava de’ Tirreni, città del salernitano da sempre attiva nella promozione culturale ed artistica. Attraverso quaranta opere in esposizione, la mostra introduceva lo spettatore al de Chirico bilingue, genio incontrastato del Novecento che parlava il greco, oltre che il linguaggio “interiore e cerebrale”- così scrisse Apollinaire su "L’Intransigeant”, nel 1913 – dell’ enigma di un pomeriggio d’autunno.

    Dipinti e sculture, realizzati tra gli anni Venti e gli anni Settanta, rileggevano l’inventore della Metafisica alla luce della veste classica, con cui egli non vedeva alcuna cesura o rapporto ininterrotto, reputando il suo lavoro in linea diretta di continuità con la tradizione pittorica italiana.
    Il mondo ellenico, con la sua “nobile semplicità e quieta grandezza”, secondo la celebre definizione di Winchelmann, si rinnova nelle atmosfere misteriose, nelle suggestioni crepuscolari mitigate dalla disciplina e dall’esercizio del disegno “arte divina, base di ogni costruzione plastica, scheletro di ogni opera buona, legge eterna che ogni artefice deve seguire”.
    (Foto: Il Pensatore, 1973, olio su tela)

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