La Corte di Cassazione ha riconosciuto colpevoli di >Culpa in educando i genitori di un giovane, autore di un omicidio.
Con questo articolo inauguriamo sul nostro giornale una nuova rubrica il cui scopo è quello di fare il punto giuridico nel rapporto tra Scuola e Famiglia. Perché questa esigenza? Per la significativa rilevanza che hanno Scuola e Famiglia, per l’appunto. Termini che di solito scriviamo con l’iniziale maiuscola non certo per un refuso, ma per l’importanza che ricoprono in ogni tipo di società civile, da qualsiasi longitudine e latitudine si guardi il mondo.
In teoria, i due pilastri sociali non potrebbero non andare d’accordo, anzi, non potrebbero non declinarsi in una sorta di complicità silente e non occasionale. D’altra parte, il loro fine principale è la crescita, la formazione, l’educazione e la preparazione alla vita della progenie che i primi (le Famiglie) affidano ai secondi (la Scuola), che a loro volta alimentano la Società.
Eppure, se dalla teoria passiamo alla pratica di vita quotidiana, ci accorgiamo che le due istituzioni convivono come abitanti rissosi di un condominio chiassoso.
L’Avv. Alfredo G. Rosmarino, nel curare la rubrica, tratterà di casi specifici e realmente accaduti, sui quali c’è stato il parere sovrano della Corte di Cassazione, le cui sentenze sono destinate a condizionare il corso dei rapporti tra cittadini.
Oggetto di analisi e divulgazione saranno argomenti che intersecano la relazione tra Scuola e Famiglia ma anche questioni che riguardano una sola delle due istituzioni, com’è il caso dell’argomento che trattiamo quest’oggi, e sul quale il pronunciamento della Cassazione ha provveduto a formare una giurisprudenza assolutamente nuova, adeguata ai tempi che viviamo ed alle esigenze che ne conseguono.
L.P.
La Corte Suprema nella sua vasta attività si occupa anche dei problemi della scuola e della famiglia; in particolare essa interviene e statuisce in materia di culpa in educando e culpa in vigilando; tali ambiti sono di grande interesse per tutti i soggetti che operano nella scuola o che con la scuola hanno contatto, perché le pronunce in questione sono, comunque, destinate a condizionare i comportamenti degli operatori scolastici, dei genitori e della famiglia.
L’esigenza di trattare della culpa in educando e della culpa in vigilando, nasce dalla constatazione dei principi didattici ed educativi che la Cassazione mette in evidenza con le sue sentenze quando purtroppo si verificano degli incidenti di percorso.
Fatte queste dovute premesse passiamo a trattare della Sentenza 19 maggio – 28 agosto 2009, n. 18804: Culpa in educando con riferimento alla famiglia
Il caso
Tizio, omosessuale, da tempo importunava Caio, minorenne (anni 17), con profferte amorose, minacciando in caso di rifiuto, di diffondere la voce che era anch’egli omosessuale, di dirlo alla ragazza di lui ed, in ultimo, alludendo anche ad una passata relazione avuta con il padre di Caio. All’ennesima provocazione Caio reagiva e, in uno scatto d’ira, uccideva Tizio.
Con atto di citazione i genitori e le sorelle di Tizio convenivano in giudizio i genitori di Caio, esercenti la potestà sul minore, chiedendo che venisse accertata la loro responsabilità per culpa in educando e chiedendone, quindi, la condanna in solido al risarcimento del danno per la morte del rispettivo figlio e fratello. Il tribunale, riconosciuta la responsabilità, condannava i genitori di Caio a pagare 250 milioni di lire ciascuno ai genitori di Tizio e 50 milioni di lire a ciascuna delle tre sorelle; soluzione accolta dalla Suprema Corte.
La responsabilità dei genitori di Caio non è da imputare ad un difetto di vigilanza, visto che lo stesso era vicino alla maggiore età, ma questa deve essere individuata nell’inadempimento dei doveri di educazione e di formazione della personalità del minore. La Corte rileva, infatti, come le reazioni violente di Caio paiono peraltro aver tratto origine proprio da comportamenti dei genitori, ed in particolare del padre che, di fronte alle dicerie sulle sue frequentazioni omosessuali con la vittima, mai ha chiarito la propria situazione con il figlio lasciandolo in balia delle maldicenze, solo e indifeso davanti alle provocazioni della vittima e dell’ambiente, situazione da cui è poi scaturita la reazione di ribellione e di violenza.
In conclusione si può affermare che se il comportamento illecito del minore vicino alla maggiore età dimostra il fallimento educativo dei genitori, gli stessi sono civilmente responsabili dei danni cagionati dal figlio e si può sottolineare ancora una volta l’importanza dell’educazione dei genitori verso i propri figli, in particolare, l’obbligo di impartite al figlio un’educazione normalmente sufficiente ad impostare una corretta vita di relazione in rapporto al suo ambiente, alle sue abitudini, alla sua personalità.