Il Rapporto Censis di quest”anno evidenzia l”aumento della povertà, spirituale e materiale, e del divario tra Nord e Sud. Ma Sud è anche Pomigliano e la Fiat, dove il lavoro va coniugato con dignità e diritti acquisiti. Di Don Aniello Tortora
Due Italie sempre più lontane, a causa delle marcate differenze fra Nord e Sud, compongono una nazione con deprimenti valori medi dei principali indicatori rispetto agli altri grandi Paesi europei. È la fotografia scattata dal Censis con l’annuale Rapporto sullo stato del Paese.
Un’Italia che "alla crisi ci crede e non ci crede": per alcuni si sfiammerà presto, per altri il tracollo durerà a lungo. Questa diversa percezione, spiega il Censis, riflette l’assenza di una consapevolezza collettiva, a conferma del fatto che restiamo una società "mucillagine", con un contesto sociale condizionato da una soggettività spinta dei singoli, senza connessioni fra loro e senza tensione a obiettivi e impegni comuni.
Una vera e propria "regressione antropologica", con i suoi pericolosi effetti di fragilità sociale, visibile nel primato delle emozioni, nella tendenza a ricercarne sempre di nuove e più forti, al punto che "la violenza o lo stravolgimento psichico si illudono di avere un bagliore irripetibile di eternità, mentre nei fatti sono solo passi nel nulla".
Su questa base – rivela il Censis – si sono moltiplicate piccole e grandi paure (i rom, le rapine, la microcriminalità di strada, gli incidenti provocati da giovani alla guida ubriachi o drogati, il bullismo, il lavoro che manca o è precario, la perdita del potere d’acquisto, la riduzione dei consumi, le rate del mutuo).
Ma, avverte l’Istituto, "le difficoltà che abbiamo di fronte possono avviare processi di complesso cambiamento. Attraverso un adattamento innovativo reso vitale e incisivo dalla combinazione dei "caratteri antichi della società" con i processi che fanno da induttori di cambiamento: la presenza e il ruolo degli immigrati, con la loro vitalità demografica e la moltiplicazione emulativa di spiriti imprenditoriali; l’azione delle minoranze vitali, specialmente dei player nell’economia internazionale; la crescita ulteriore della componente competitiva del territorio (dopo e oltre i distretti e i borghi, con le nuove mega conurbazioni urbane); la propensione a una temperata gestione dei consumi e dei comportamenti; il passaggio dall’economia mista pubblico-privata a un insieme oligarchico di soggetti economici (fondazioni, gruppi bancari, utilities); l’innovazione degli orientamenti geopolitici, con la minore dominanza occidentale e la crescente attenzione verso le direttrici orientali e meridionali.
Ci saranno, ancora, sempre più anziani e meno giovani. Nel 2030 la popolazione residente in Italia sarà di 62 milioni 129 mila persone, il 3,2% in più rispetto al 2010. Mentre gli abitanti delle regioni del Sud diminuiranno (-4,3%), saranno i residenti nel Centro-Nord ad aumentare in modo consistente (+7,1%) soprattutto per effetto dell’immigrazione. Nel medio periodo crescerà quindi l’Italia più ricca (2,8 milioni di persone in più nel Centro-Nord nei prossimi vent’anni), mentre il Mezzogiorno, in assenza di interventi significativi, continuerà a perdere attrattività (890 mila abitanti in meno). L’emorragia di risorse umane nel Sud è indicata anche da un tasso migratorio (saldo tra iscrizioni e cancellazioni anagrafiche) negativo (-1,0 per mille abitanti nel 2020) rispetto a quello positivo del Centro-Nord (+5,2).
Il trend di impoverimento del capitale umano al Sud comporterà un allargamento del divario rispetto al Nord sia come mercato di consumatori, sia come bacino di lavoratori, intaccando così i principali fattori di generazione della ricchezza.
In base alle previsioni demografiche, i giovani di 18-34 anni diminuiranno, con un forte calo nel prossimo decennio. I giovani passeranno quindi da una quota del 20% della popolazione complessiva al 17,4% e i bambini di 0-14 anni passeranno dal 14% di oggi al 12,9% fra vent’anni.
Contemporaneamente gli over 65 anni aumenteranno dagli attuali 12 milioni 216 mila a 16 milioni 441 mila nel 2030 (+34,6%), rappresentando così il 26,5% della popolazione italiana (il 20,3% nel 2010).
E gli over 80 anni aumenteranno di 1 milione 940 mila (+55,2% nel periodo 2010-2030) arrivando a 5 milioni 452 mila, ovvero l’8,8% della popolazione complessiva (il 5,8% nel 2010).
Anche la vita media continuerà ad allungarsi, di quasi due mesi in più all’anno per i prossimi vent’anni, fino a 82,2 anni per gli uomini e 87,5 anni per le donne nel 2030.
Ciò che più preoccupa in questo Rapporto è l’aumento della povertà, sia spirituale che materiale. Ritorna prepotentemente la cosiddetta “questione antropologica”. L’uomo non è certamente messo al centro dell’economia, della politica, della stessa vita sociale. Anche l’aumento del divario Nord-Sud deve far riflettere tutti.
Davanti a questa “fotografia” del nostro Paese la politica non può far finta di non vedere.
Una politica che deve ritornare, necessariamente, ad interessarsi veramente dei problemi reali della gente, mettendo al centro delle sue preoccupazioni la “questione meridionale” che è una “questione nazionale”. L’Italia non può crescere senza il Sud. E Sud, in questo momento, significa soprattutto Fiat a Pomigliano d’Arco. Mi pare che il Piano-Panda sia a buon punto. Mi auguro che i lavoratori non debbano più soffrire altri tempi di Cassaintegrazione, di precariato (mi riferisco ai famosi 36 “ex contrattisti”) e che finalmente nella società, partendo da Pomigliano d’Arco, si riesca, con il contributo di tutti, a coniugare il Lavoro con la Dignità e i Diritti Acquisiti. Se così sarà, avremo anche un’Italia più giovane e meno “vecchia”.
(Fonte foto: Rete Internet)