La frase del titolo di questo articolo è ripresa dal libro “Indignatevi” di Stèphane Hessel, che sta ricevendo ottima accoglienza. E di questi tempi di motivi per indignarsi ce ne sono parecchi. Di Giovanni Ariola
Il prof. Carlo è rimasto solo nell’Istituto che da domani sarà chiuso per le vacanze estive. Luigi il custode, ormai settuagenario, ha fatto domanda di pensionamento e, approfittando delle ferie, lascerà definitivamente l’Istituto. Ha annunciato, nel salutare, che partirà con sua moglie Giuseppina per Santa Maria Castellabate, nel Cilento, “una delle perle più luminose del nostro mare”, come la definisce, dove ha un poco di proprietà e dove vive sua figlia Elisabetta: è contento, anche se alquanto rammaricato di non poter concedersi il solito soggiorno settembrino a Chianciano perché dovrà affrontare non poche spese per “sistemare” la casa dove andrà ad abitare.
Annella spera di sostituirlo ma il direttore non glielo ha dato per certo a causa dei notori e ormai famigerati tagli ai finanziamenti statali. Per il momento avrà a settembre prossimo un contratto a termine di tre mesi e un “poi si vedrà”. Annella spera e sogna…mentre gli occhi le si velano di pianto per la paura che ormai è diventata la sua compagna abituale, la paura, lei precaria ( dal lat. precarium = ottenuto con preghiere! E il diritto al lavoro?), di udire da un momento all’altro la sentenza: “Ci dispiace…non abbiamo più fondi…non ti possiamo più tenere…”.
Il prof. Eligio ha fatto sapere che non è partito e non partirà per Roccaraso…È partita solo la moglie con i ragazzi. Lui non se l’è sentita di lasciare sola la madre ottantaquattrenne in ospedale dove è stata ricoverata d’urgenza per un attacco di asma, causato quasi sicuramente dall’inalazione dei fumi tossici di uno dei tanti roghi di spazzatura che allietano in questi giorni la città di Napoli.
Anche il prof. Geremia ha deciso di rimanere a Napoli e di attendere che si sblocchi questa situazione ormai tragica dei rifiuti: ha aderito a un comitato di cittadini che ha comunicato al Sindaco e all’assessore all’ambiente la disponibilità a collaborare al progetto “Napoli pulita (dalla spazzatura e non solo)”. Il comitato s’ingrossa di giorno in giorno di nuovi adepti, tutti sollecitati da uno scatto di orgoglio e indignati per le prese di posizione molto altruistiche e solidali da parte di nostri (??!!) governanti illuminati e disinteressati.
Il prof. Piermario è ripartito per la Libia dove, a suo dire, il cammino verso la democrazia e la libertà è ancora lungo e doloroso. Ha fatto balenare la possibilità non di unirsi agli insorti, essendo contrario per principio ad ogni guerra, bensì di entrare a far parte di una organizzazione umanitaria che si occupa delle famiglie colpite dall’evento bellico.
Il prof. Carlo ha appena aperto e sta leggendo una lettera giunta con la posta del mattino. È di Michele, il suo ex-allievo, “il dottorino” come lo chiamavano affettuosamente in Istituto, che scrive dalla Germania, dove è stato ammesso finalmente al dottorato di ricerca con una dignitosa indennità; si scusa di non poter venire a Napoli, come aveva preannunciato e promesso, per motivi familiari. I genitori, proprio per sottrarsi al puzzo insopportabile del cumulo di monnezza che si era formato davanti al portone d’ingresso della loro abitazione e al rischio di contrarre malattie, loro che erano riusciti a malapena a guarire da un’infezione gastroenterica grave, ai tempi del colera del ’73, avevano deciso di raggiungerlo a Monaco e trascorrere lì il mese di Luglio.
Nello scorrere la lettera il prof. si è accorto di aver letto “cumulo di monnezza” ma in realtà la parola scritta era “mondezza”. Sorride perché capisce che era stata una correzione del computer all’insaputa del dottorino che alla rilettura del testo non si era accorto del coerente (con la sua programmazione) ma inopportuno intervento del severo, quanto necessariamente ottuso apparecchio. Questa cosa lo fa riflettere. Nessun napoletano avrebbe scritto mondezza, ma o monnezza o munnezza. Ebbene munnezza deriva chiaramente da monnezza e questo da mondezza per assimilazione della «d». E mondezza? Fatto curioso è che questo termine, derivante dal lat. munditia, significa principalmente pulizia. La sua negazione, ossia sporcizia, è espressa dalla parola immondezza (= in-mondezza = non mondezza) e dalla variante immondizia.
Cosa è avvenuto? Da immondezza per aferesi della negazione iniziale (in = non) si è passati a mondezza e poi al resto. Una persona malevola e malpensante potrebbe concludere che a Napoli pulizia e sporcizia sono intercambiabili, di solito convivono e perfino sono la stessa cosa. Ma non è così, non è più così, vero?
Il prof. prova un po’ di fastidio per il silenzio eccessivo che regna nell’edificio. Nessun rumore neppure da Luigi, dai vari oggetti che tocca nel suo lavoro e dal suo ciancicare con quel suo vocione che di solito si ode da lontano e che il suo proprietario usa per i fini più diversi, anche per imprecare contro il vento che ha fatto sbattere una finestra o contro un moscone che ronza e non vuole uscire. Si concede perciò di accendere la radiolina che porta quasi sempre in borsa e si rallegra quando può ascoltare un concerto dedicato a due musicisti tra i suoi preferiti, Franz Liszt e Gustav Mahler di cui quest’anno ricorrono rispettivamente il bicentenario della nascita e il centenario della morte.
Rasserenatosi, si dedica alla correzione delle bozze del glossarietto integrativo del “Dizionario della lingua italiana. Parole di uso corrente nel XXI secolo”, al quale sta lavorando già da tempo con i colleghi e la cui pubblicazione è prevista per settembre prossimo. Si tratta dei termini nuovi che vengono continuamente coniati (neologismi primari) o termini già esistenti ma riconvertiti ossia usati con un significato nuovo (neologismi secondari). Alcuni sono considerati acquisiti definitivamente, altri sono accettati con riserva, altri infine sono registrati per dovere di cronaca ma sono decisamente sconsigliati.
Tra i termini nuovi ormai è stabilmente inserito ecopolis (= città che ha deciso di combattere in tutti i modi l’inquinamento e salvarsi così dall’autodistruzione; si sta preparando ad adottare le auto elettriche, a promuovere e ad incentivare l’installazione di giardini pensili, anche su grattacieli, ad estendere i parchi pubblici e simili). Altro termine registrato ma di cui ci si augura la non diffusione e un rapido declino è dronizzazione della guerra o guerra dronizzata (è quella che si sta combattendo in Libia, da parte degli USA, ossia una guerra combattuta con i droni = velivoli senza piloti telecomandati da lontano e capaci di colpire e distruggere bersagli nemici con estrema precisione).
Una parola che ha in sé una potenzialità di durata palesemente limitata, insomma potremmo dire una parola a termine, è obamite ( una sorta di ammirazione eccessiva, quasi una infatuazione per il presidente Barak Obama e per tutto ciò che egli rappresenta, o che dice di rappresentare, in termini di uguaglianza sociale, difesa dei diritti dei più deboli sino alla sfida alla classe degli intoccabili, dei paperoni americani, con l’invito – per ora solo l’invito – a pagare più tasse per uscire dal tunnel della crisi e della recessione economica).
Infine una parola, per la verità non nuova anzi antica: indignarsi (dal lat. indignari) da cui il derivato indignati (oggi con una connotazione tutta moderna e con una estensione d’impiego quasi planetaria – Italia, Spagna, Grecia, Nordafrica, Siria, Yemen – indica un gruppo o una massa di insoddisfatti, anzi di esasperati che insorge e scende in piazza a protestare contro la classe politica al potere con l’intento di ottenere la soddisfazione di precise richieste ma anche con lo scopo di destituirla).
E nella nostra epoca, in questi anni di inizio secolo e di inizio millennio che sembravano dover portare un benessere maggiore per tutti e per ciascuno, che invece appaiono strozzati da una crisi che sta causando “lacrime e sangue” in tanti paesi, di motivi per indignarsi ce ne sono parecchi.
E il momento drammatico che stiamo vivendo spiega in parte l’entusiastica accoglienza che ha riscosso il libretto di poche decine di pagine di Stéphane Hessel “Indignatevi” (add Editore, Torino, 2011). Le parole che lo concludono “Creare è resistere, resistere è creare” sono diventate lo slogan di tutti gli indignati.
Ecco l’augurio del vegliardo novantatreenne: “Il mio augurio a tutti voi, a ciascuno di voi, è che abbiate un motivo per indignarvi…Quando qualcosa ci indigna come a me ha indignato il nazismo, allora diventiamo militanti, forti e impegnati…il grande corso della storia continua grazie a ciascuno di noi…”.