Architetto, socialista, già vicepresidente della Provincia di Napoli, attuale assessore ai Lavori Pubblici e Urbanistica nella giunta comunale di Sant’Anastasia.
Architetto, è nato e vive ad Ottaviano. Circa due mesi fa ha accettato l’incarico di assessore con deleghe ai Lavori Pubblici e Urbanistica nella giunta comunale di Sant’Anastasia. Sessantasette anni, si è laureato nel 1973, iscrivendosi nello stesso anno, dopo aver conseguito l’abilitazione, all’Ordine degli Architetti. Da allora ha sempre esercitato la libera professione, parallelamente ad altre attività che lo hanno visto assistente universitario, vicepreside e poi preside dell’Itis Majorana di Somma Vesuviana, presidente del consiglio di amministrazione dell’Azienda Trasporti Pubblici che aveva all’epoca – era il 1995 – circa quattromila dipendenti. È stato anche amministratore unico di un’azienda che si occupava a livello nazionale della propaganda e della vendita di materiali per finiture edilizie, con la gestione di un bilancio di circa tre miliardi di vecchie lire l’anno, nonché direttore tecnico di varie società e imprese con le quali ha realizzato innumerevoli lavori. Manager dell’area tecnica per i comuni di Casoria, Torre Annunziata, Palma Campania, Frattamaggiore, componente la commissione esami di abilitazione alla professione di architetto per la Federico II nel 2007. Lunghissimo l’elenco di progetti realizzati e non solo a Napoli e Provincia che vedono opere di urbanizzazione, riqualificazioni urbane, la realizzazione di 96 alloggi zona 167 a Piano di Sorrento, edifici scolastici, case comunali, ampliamento e ristrutturazioni di cimiteri, attrezzature sportive, parcheggi, piazze, restauri, opere fognarie, riassetti e risanamenti idrogeologici di alvei e canali, impianti di pubblica illuminazione, parchi e molto altro. Sposato, padre di tre figli e nonno di altrettanti nipoti, la politica ha avuto parte importante nella sua vita: più volte consigliere comunale nella sua Ottaviano dove è stato anche vicesindaco, assessore e, per breve tempo, sindaco facente funzioni. Socialista, già vicepresidente della Provincia di Napoli con delega al Patrimonio, ha da molti anni accantonato l’impegno attivo in politica rifiutando candidature alle amministrative e alle politiche salvo poi, di recente, accettare l’invito del sindaco di Sant’Anastasia, Lello Abete, ad entrare da «tecnico» nella sua giunta subentrando all’assessore, e collega architetto, Giancarlo Graziani. Si sta dunque occupando, al momento, del piano urbanistico comunale, dei piani di insediamento produttivo, del cimitero, dei condoni, dei lavori pubblici in corso e di quelli da avviare. Nell’intervista che segue ha parlato delle sue idee per la città, raccontando anche del suo privato e delle sue passioni.
Stefano, non hai mai abbandonato la professione libera, nemmeno da pensionato. Sempre con studio ad Ottaviano?
«Sempre, ad Ottaviano ho il mio studio e la mia casa. Sono un po’ girovago ma il punto di riferimento è quello. Fino a due anni fa ero associato con altri professionisti ma poi la diminuzione del lavoro e l’aumento delle tasse ci hanno fatto optare per un’altra soluzione, ossia quella di dividerci. Si appoggiano tutti allo studio adesso, in maniera autonoma e contribuendo alle spese. Ci occupiamo soprattutto di lavori pubblici, scelta che ho voluto fare già molto tempo fa abbandonando il settore privato. In una zona come la nostra, dove c’è poca attività professionale – anche per i vincoli esistenti – ho preferito evitare i conflitti di competenza, la concorrenza con altri colleghi soprattutto giovani».
La tua famiglia di origine?
«Papà, Augusto Prisco, era geometra e funzionario del Ministero per le opere pubbliche, lavorava al Provveditorato. Mamma invece si chiama Carmela, oggi ha 86 anni ed è ancora una donna molto bella, nonostante gli acciacchi. Si è sposata giovanissima nel periodo post bellico e tra me e lei ci sono soltanto diciotto anni di differenza, tant’è che quando da giovane uscivamo insieme capitava che ci scambiassero per fidanzati, la guardavano parecchio. Vive da sola, nella zona alta di Ottaviano. Quando posso, spesso di domenica mattina, prendo un po’ di dolci e vado da lei a prendere il caffè, un’occasione per scambiarci chiacchiere, idee, pensieri, di rafforzare quel legame particolare che i genitori hanno sempre con i primogeniti. Ha una vigoria tale che due volte l’anno organizza cene per tutti, trenta circa tra figli, nipoti e pronipoti che amano soprattutto i suoi dolci: torta di ricotta e pera, babà, crostate. Insomma, se la cava benissimo».
I tuoi figli, invece?
«Io e mia moglie Gabriella – che pur avendo studiato legge ha scelto l’impegno casalingo – ne abbiamo tre. Nadia, che è avvocato e al momento abita a Milano, Augusto che lavora al Comune di Afragola e l’ultima, Stefania, lo spirito libero della famiglia, che è a Velletri ma torna tutti i fine settimana a casa ed è legatissima ai nipoti: Salvatore e Stefano che hanno dodici e nove anni e sono figli di Nadia e il piccolo Stefano Prisco, figlio di Augusto, che ha solo quattro mesi».
Com’è che, a suo tempo, scegliesti di avviarti alla professione di architetto?
«Papà era geometra e mi avrebbe voluto ingegnere, riteneva che così potessi in qualche modo essere agevolato e, in seguito magari, entrare al suo posto all’interno del Ministero. Però tutto ciò non corrispondeva al mio carattere più libero, più socievole, più impegnato nel sociale da sempre. Perciò optai per Architettura e ci ho sempre messo grande passione, prima a livello universitario e poi professionale. Credo che rifarei tutto quel che ho fatto nella vita, tale e quale. Di soddisfazioni ne ho avute tante e sono contento, con grande franchezza».
Un tuo ricordo di gioventù, il primo che ti viene in mente?
«Non è facile, sono troppi e tutti belli. Ho frequentato il liceo classico Diaz di Ottaviano, rammento le amicizie con tanti ragazzi, anche di Sant’Anastasia, di Sarno, di Ponticelli, che sceglievano quell’istituto, punto di riferimento importante. Ecco, ricordo un’assemblea politica e il primo incontro con Francesco De Martino, uno dei pochi, insieme a Sandro Pertini, al quale non ho mai avuto il coraggio di dare del tu, come ritengo si debba fare con tutti nel dialogare, da uomo di sinistra quale sono. Con lui invece non riuscivo, incuteva non soggezione ma rispetto. Ne ho anche un altro di ricordo bellissimo: giocavo a pallacanestro a livello agonistico, ad un certo momento corsi il rischio di essere preso nella Partenope, mi piaceva molto e arrivammo, con la squadra di Ottaviano, a militare in serie D. Momenti belli, le partite. Però papà mi mise di fronte ad una scelta: lo studio o la pallacanestro. Diciamo che la decisione fu necessariamente obbligata».
Dopo la laurea cosa hai fatto?
«Ho cominciato da subito la professione vera, accettavo qualsiasi cosa, che fosse il progetto di un muro di cinta o di un pollaio, pur di lavorare. Appena laureato mi inserii immediatamente all’interno dell’Università, come addetto alle esercitazioni per la cattedra di Scienze della Ricostruzione, lasciai però dopo solo un paio di mesi. Innanzitutto perché nel frattempo – era il 1974 – mi ero sposato e avevo l’esigenza di guadagnare e poi, motivo forse più pregnante, perché capitava che fossi seduto dall’altra parte del tavolo rispetto a persone con le quali avevo studiato fino a pochi mesi prima e che mi chiedevano di dar loro una mano, spesso oltre il consentito, per superare un esame difficile come quello di Scienze della Ricostruzione. Allora scelsi, ponderatamente, di andarmene, di lasciare l’Università. Mi capitò poi l’opportunità di una supplenza – la materia era disegno tecnico – all’Itis di Somma Vesuviana, città natale di mio padre e dove adesso vive gran parte della famiglia. Ho insegnato lì per due anni, poi a Caivano e Piano di Sorrento dove avevo anche un cantiere di lavoro per la realizzazione di cooperative, un anno al «Della Porta» di Napoli e infine, immesso in ruolo, tornai a Somma Vesuviana. In quell’istituto, che è intitolato a Ettore Majorana anche grazie ad una mia battaglia, sono stato sei anni da vicepreside e l’ultimo anno ho fatto le funzioni di preside. Abbandonai la scuola, da pensionato baby, nel 1992 ma l’avevo di fatto già lasciata nel 1985, anno in cui mi candidai al consiglio provinciale. Intanto mi ero affermato professionalmente anche nel privato, però capii che amavo di più il lavoro con le pubbliche amministrazioni, le grandi dimensioni. Difatti ho partecipato ad una serie di gare e ho vinto con progetti e lavori».
Il tuo progetto più importante?
«Non saprei, sono tanti. La casa comunale di Portici, per esempio, l’ho progettata io. Una serie di edifici scolastici. L’ultimo grosso lavoro che mi ha impegnato ammontava a quindici milioni di euro ed è terminato lo scorso anno: l’ampliamento del cimitero di Frattamaggiore e Grumo Nevano, novemila loculi. Un paese, in pratica. Ora ho presentato un progetto di ampliamento per il cimitero di Lecce e per quello di Grottaglie».
E nella zona vesuviana?
«Per esempio il progetto di un vecchio stabilimento da destinare ad attrezzature sportive a Somma Vesuviana, ha partecipato al bando regionale del progetto Jessica ed è stato finanziato, al momento però l’amministrazione comunale non ha ancora completato le procedure. I fondi Jessica sono finanziamenti subordinati all’intervento del privato, cioè il denaro viene erogato all’impresa che si aggiudica la gara, poi realizza con fondi propri e certifica quanto fatto, una partita di giro in cui l’imprenditore finanzia ma viene pagato».
Una cosa diversa, perciò, dal project financing?
«Sì, nel project financing il privato si sostituisce al pubblico, modalità cui si farà sempre più ricorso giacché oggi tutti gli Enti non hanno più le possibilità di erogare fondi. Molti Comuni non hanno ancora ben capito il funzionamento della finanza di progetto o, per esempio, del “leasing in costruendo”, eppure gli imprenditori che vogliono realizzare ci sono».
Sicuramente, ma bisogna anche considerare quali sono i vantaggi per l’Ente…
«Ve ne sono. Il leasing in costruendo, insieme alla finanza di progetto, è la prospettiva del futuro».
A Sant’Anastasia il cimitero comunale è affidato con project financing a privati, che stanno realizzando anche l’ampliamento.
«Ho letto gli incartamenti e ritengo che alcuni anni fa sia stata un’azione di grande coraggio. All’epoca non era ancora chiaro il meccanismo, oggi è più frequente visti i tagli e le scarse risorse che arrivano dal governo centrale: Imu, Tasi, Tarsu, riescono appena a coprire le esigenze della gestione ordinaria delle amministrazioni, non c’è più capacità di indebitamento per il rischio di sforare il patto di stabilità. Perciò ci si deve inventare la possibilità di fare delle cose – e non parlo di finanza creativa – coinvolgere i privati, diversamente si va in grande difficoltà. Siamo partiti da un’epoca in cui arrivavano finanziamenti a iosa al momento in cui, oggi, non si vede nemmeno un centesimo e c’è il rischio anzi di doverne dare. Si fanno salti mortali per far quadrare i bilanci negli enti pubblici».
Quando hai cominciato a interessarti di politica?
«L’ho sempre fatto, da quel che ricordo. Il mio nonno materno era un attivista, il fratello di mamma è sempre stato in politica ad Ottaviano seppure non in prima linea: mai candidato ma mente geniale e accompagnatore occulto di Antonio Cimmino fino alla sua morte, molto legato al partito. Suo figlio, mio cugino, il penalista Antonio Del Vecchio è oggi un giovane validissimo. Insomma, mi sono ritrovato in un ambiente familiare che aveva già una valenza politica, incontravo tutti loro in quel che era il “cenacolo” delle discussioni, il Bar Ragosta, di fronte casa. Di là sono passati Pasquale Cappuccio, che ha fatto politica e per la politica è morto, Michele Ragosta, Vincenzo Annunziata. Li ascoltavo e spesso, da giovane universitario, condividevo le loro posizioni. Tant’è che a 21 anni mi candidai alle amministrative, 110 voti circa, senza un supporto, con una famiglia in fondo abbastanza piccola. Ma ero quel che si dice “uomo da marciapiede”, sempre in giro, conoscevo tutti».
Fosti eletto in consiglio comunale?
«Non quella volta, ma la successiva sì e lo sono stato ininterrottamente per circa vent’anni, anche mentre ero consigliere provinciale. Ho condotto una dura opposizione al sindaco Salvatore La Marca, il periodo più nero per la mia città: ricordo che un mio intervento sul piano regolatore – allora programma di fabbricazione – portò alla sospensione della seduta consiliare con il sindaco che si imbestialì e minacciava di lanciarmi appresso una sedia. Io dissi al segretario, con grande freddezza, di mettere a verbale tutto quel che stava accadendo. Sono stato vicesindaco con Giovanni D’Ambrosio, assessore con Raffaele Cepparulo – sempre con deleghe a Urbanistica e Lavori Pubblici – per un breve periodo anche sindaco, a causa di una vacatio. Nell’85 fui eletto in consiglio provinciale e rimasi vicepresidente con delega al Patrimonio per i primi due anni e mezzo dopodiché, per un patto interno al partito, andai a fare il capogruppo e fui sostituito da Franco Di Nardo. Mi elessero poi nell’assemblea del consorzio dei trasporti pubblici e più tardi ne divenni il presidente. Ho ricoperto quel ruolo per cinque anni ma avevo già lasciato il consiglio provinciale e deciso di non continuare l’attività politica, erano gli anni di Tangentopoli».
Gli anni di Tangentopoli e tu sempre con il Psi?
«Sempre. Però mi dedicai da allora completamente al lavoro. Subentrò la delusione, il rifiuto totale di quel che stava accadendo e che non mi apparteneva, il senso di ripulsa. In quel periodo fu pubblicato un bando per la ricerca di un funzionario dirigente al Comune di Casoria, io presentai domanda e fui assunto a contratto come dirigente dell’Ufficio Tecnico, ma non ho mai abbandonato la libera professione. Ho lavorato con le pubbliche amministrazioni fino alla pensione, il 16 giugno scorso. Casoria, Torre Annunziata, Palma Campania, Frattamaggiore».
E il partito?
«Non ho mai abbandonato il mio credo, inutile nascondere che non potevo condividere la posizione del mio amico Stefano Caldoro, schieratosi – come gran parte dei miei ex compagni – con Berlusconi. Non l’ho condiviso, non lo condivido e non lo condividerò mai. Resto sempre, intimamente, un socialista».
Con i socialisti che intercettano le percentuali da elenco telefonico…
«Esattamente».
In questo sei d’accordo con il tuo amico Carmine Capuano, consigliere di opposizione a Sant’Anastasia e attuale vicesegretario del Psi.
«Lui l’avevo perduto di vista, l’ho ritrovato appunto in consiglio comunale dove non sapevo nemmeno sedesse ancora. Lo seguivo sui giornali ma, per una specie di preclusione, non ho più avuto alcun tipo di contatto con gli ex compagni, anche quando mi hanno chiamato per altre cose sono sempre rimasto ai margini, non ho mai voluto rientrare organicamente».
Ti hanno detto che hai accettato un incarico in un’amministrazione la quale tendenzialmente – almeno credo sia ancora così – sarebbe di centro destra?
«Me lo hanno detto, sì. Ma sono un assessore che non ha valenza politica, un tecnico, perciò non mi pongo il problema. Me ne preoccuperei se l’amministrazione compiesse delle azioni che non mi corrispondono. Fino ad ora non è accaduto, perciò sono ancora qui».
Si è detto tu fossi stato «segnalato», diciamo «voluto», proprio da Capuano.
«È una sciocchezza, l’ho rivisto dopo anni solo in consiglio, ovviamente mi è ricapitato di incontrarlo anche dopo. Ma non ha avuto alcuna ingerenza in questa vicenda, possiamo dirlo forte».
Allora com’è andata, conoscevi già Lello Abete?
«Sì, fin da quando lavorava all’esattoria, ad Ottaviano dove ha anche una zia. Mi ha compulsato e abbiamo iniziato a parlarne agli inizi di settembre. Mi ha chiesto la disponibilità, io ho voluto conoscere quali fossero gli obiettivi, dopodiché – previo un suo confronto con la maggioranza – ho accettato».
Come ti trovi?
«Ti dirò, è una bella giunta. Ci si impegna molto, si studiano i problemi».
Dagli anni ’90 non hai più tessere di partito?
«No».
Perché ritieni che un socialista «vero» debba restare a sinistra?
«È una scelta di campo, io non potrei mai schierarmi con gli oppressori. Sarò sempre dalla parte degli oppressi».
Queste categorie non sono sintomo di una visione della società un po’ datata?
«Essere socialista, schierarsi con la classe dei lavoratori, fare valutazioni quanto più ampie in favore di tutti e non di pochi, sono scelte di campo».
Con il curriculum professionale e politico che hai ci si sarebbe aspettati che ti volessero ad Ottaviano, nella tua città…
«Le offerte ci sono state, anche tante. Ho rifiutato candidature alla Camera, in molti hanno pensato a me anche come candidato sindaco che potesse riunire abbastanza consensi, però ho preferito non essere più presente. Anzi, pur andando a votare e facendo ovviamente delle scelte, non ho supportato pubblicamente nessuno».
Nemmeno l’attuale sindaco Luca Capasso?
«Sarebbe stupido e banale dire di non averlo votato. Ma non mi sono mosso più di tanto».
Che sindaco è?
«Inizialmente un sindaco molto attivo e presente. Oggi comincia a ragionare in una maniera che lo allontana dai miei pensieri, si ha l’impressione che punti a candidature diverse, più in alto».
Sarà ambizioso, non è un peccato…
«A me non va bene, e tieni conto che ho con lui rapporti storici e l’ho visto crescere. Se però cominciasse ad avere questo tipo di ambizioni non mi troverebbe più disponibile a condividerle».
Ottaviano è molto cambiata dai tempi in cui tu eri consigliere comunale?
«È rimasta molto indietro, indipendentemente dal colore politico di chi ha governato. La forbice una volta a favore della città si è allargata in maniera negativa, vuoi per scelte sbagliate, come la realizzazione della strada che ha precluso quelle poche attività che andavano bene, la Valle delle Delizie, gli chalet, vuoi le per difficoltà economiche. Sta di fatto che oggi già alle sette e mezzo di sera è un paese morto. Basta andare a Somma Vesuviana, a San Giuseppe Vesuviano, anche a Sant’Anastasia, per vedere uno scenario diverso, c’è vita, giovani, attività…».
Mi sa che l’erba del vicino è sempre più verde…Ma se Luca Capasso ti avesse chiesto di entrare nella sua giunta?
«Qualcun altro me lo ha chiesto al suo posto e ho detto di no. Non sarei mai tornato a fare politica ad Ottaviano».
Perché?
«Perché occorrerebbero scelte un po’ più radicali che credo in questo momento storico non si possano né vogliano fare. Inoltre non sopporterei più di avere un esercito di petentes fuori dal cancello di casa mia, ho raggiunto la tranquillità e me la tengo cara».
Certo, che arrivino da Sant’Anastasia è meno probabile. Riguardo le tue deleghe, prima di entrare nel vivo di urbanistica e lavori pubblici e dei progetti in itinere, mi dici a che punto sono i lavori nel cimitero comunale anastasiano?
«Stanno avanzando, ritengo che saranno rispettati i termini previsti contrattualmente. Ora si sta lavorando sulla Chiesa, è completata la seconda parte dell’immobile del nuovo cimitero, si sta cominciando a tracciare il nuovo percorso stradale che collega perimetralmente l’area antistante il nuovo ingresso con la vecchia strada dalla parte opposta. C’è qualche piccola difficoltà legata alla colorazione dei marmi: nella convenzione originaria erano previste, per le cappelle, quattro tipologie diverse di materiale ma pare che gli assegnatari non siano molto convinti sul fatto di avere marmi di diverso colore e preferirebbero invece una scelta omogenea per tutti. Chiederò, in merito, una valutazione tecnica ed economica e in seguito vedremo quale tipo di provvedimento bisognerà adottare nel caso fosse percorribile ridurre la scelta ad un solo materiale e dunque ad un solo colore. Non può essere una scelta dell’assessore o del dirigente sic et simpliciter ma dovrà avere probabilmente il supporto di un provvedimento giacché si andrebbe di fatto a modificare la convenzione, di conseguenza riguarderebbe il consiglio comunale e non più l’esecutivo».
Sono insediate e al lavoro le commissioni che stanno esaminando le pratiche di condono edilizio. Quante sono e a che punto si è?
«Le pratiche sono oltre 1400, le commissioni sono otto e hanno già concluso tutte le operazioni di istruttoria per le pratiche della 47/1985, stanno andando avanti con quelle della legge 724/1994 e proprio pochi giorni fa ho voluto fare il punto per capire se nei termini previsti, cioè entro il 31 dicembre e indipendentemente dalle ipotesi di rinvio o meno della scadenza da parte della Regione, fosse possibile completare le istruttorie. Anche perché, è bene dirlo, i tecnici hanno una convenzione che regola i loro rapporti con il Comune e che li vincola a terminare entro il 31 dicembre, io ho appunto sollecitato in questo senso. Al momento ci sono circa 450 pratiche della 724/94 non ancora assegnate, esaminando cinque pratiche al giorno le commissioni possono farcela entro fine anno. Poi c’è ovviamente il problema delle oblazioni, anzi mi sembra l’occasione buona per invitare i cittadini a provvedere: il versamento delle oblazioni, il pagamento insomma, mette anche la commissione nella condizione di chiudere la pratica e dichiararla procedibile o meno. È importantissimo che si comprenda che allo stato attuale il mancato rilascio del condono edilizio è un handicap gravissimo e va detto che questa potrebbe essere l’ultima spiaggia. Se i cittadini interessati non versano le oblazioni, rischiando dunque il mancato rilascio del condono, potrebbero perdere la casa, è bene ci pensino entro il 31 dicembre».
Hai dato linee guida alle commissioni?
«Soltanto quella di esaminare le pratiche con grande serenità ed obiettività, tentando sempre di trovare le soluzioni più consone per risolvere i problemi di gente che aspetta da anni, quindi si lavorerà in positivo, sicuramente, perché nelle righe della normativa c’è quasi sempre la possibilità di affrontare e risolvere. Dipende in massima parte dai cittadini: dovranno fare quanto di competenza e provvedere al versamento dell’oblazione. Mi rendo conto che in un momento così difficile economicamente ciò richiede sacrifici, un sacrificio che però consentirà loro di salvaguardare il proprio patrimonio immobiliare».
Mentre per i condoni del 2003 non si vede la luce…
«No, in questo momento non sono immaginabili soluzioni, ma è chiaro che già concludere le operazioni che riguardano quelli dell’85 e del ’94 sarebbe un grande obiettivo. Circa 1450 pratiche, dicevamo, non tantissime considerando che ve ne sono tante che riguardano vero e proprio abusivismo di necessità, altrettante concernenti piccoli abusi. Ecomostri non mi pare di ricordarne, questa è una zona che è rimasta comunque preservata perciò credo si possa ottenere un buon risultato nell’interesse dei cittadini, che saneranno la loro posizione, e del Comune che da questa vicenda può trarre benefici economici».
A quanto ammonta il gettito previsto?
«Non saprei, verificheremo di qui a poco. Sarà in ogni caso un importo che andrà ad influire positivamente sul bilancio comunale essendo un’entrata che va al di là del Patto di Stabilità».
Il Piano Urbanistico Comunale?
«In una condizione come quella attuale, con almeno quattro tipologie di vincoli sul territorio e la impossibilità di edificazione residenziale, è fondamentalmente uno strumento che punta alla infrastrutturazione e alle attrezzature, agli investimenti di natura produttiva. Pensiamo di incrementare gli investimenti finalizzati alle attività turistico – alberghiere che diano anche la possibilità di sbocchi occupazionali, con i Pip ma anche offrendo alle aziende già insediate l’opportunità di svilupparsi intorno alle proprie attività già esistenti senza dover abbandonare il territorio comunale, cosa che rappresenterebbe una vera iattura».
Cos’è che hai trovato, al tuo arrivo?
«Una ipotesi di Puc redatta con il coordinamento di un grande professionista come Benevolo, figlio di un maestro nel campo architettonico e urbanistico. Uno strumento che ha probabilmente bisogno, però, di alcuni perfezionamenti per renderlo più operativo nel concreto, meno teorico. Speriamo di riuscire, per fine anno, ad adottarlo in giunta dopo incontri con i consiglieri e i capigruppo sia di maggioranza, sia di opposizione, per chiarire, spiegare, esplicitare».
Un convegno pubblico no?
«Non so, non è una delle condizioni richieste ma è una cosa che si può fare anche dopo l’adozione giacché ogni strumento urbanistico è comunque, nella fase successiva, suscettibile di osservazioni e dunque di correzioni in itinere. Ci saranno sessanta giorni di tempo per le osservazioni dopodiché il “pacchetto” andrà in amministrazione provinciale che ne determinerà l’ammissibilità o meno e, una volta restituito, arriverà in consiglio comunale per l’approvazione definitiva».
I Piani di insediamento produttivo verranno dopo, ovviamente.
«Sì, essendo dei piani attuativi in aree individuate dal Puc verranno successivamente diventando oggetto di approvazioni singole, sono atti succedanei all’approvazione del piano urbanistico. Restano quelli ipotizzati nella vecchia redazione del Puc (ndr, via Romani, via Pomigliano), le linee guida sono rimaste quelle».
Sul fronte Lavori Pubblici?
«Va detto che ho trovato una equipe molto collaborativa e professionale, l’ingegnere Gino Coppola ha una grossa preparazione ed è supportato da una bella mente, Antonio Rippa, che ha una conoscenza amministrativa puntuale e precisa. Con il supporto ulteriore di collaboratori altrettanto validi e un pacchetto di tecnici bravi che affrontano in maniera molto concreta le problematiche, tant’è che il piano delle opere pubbliche è in attuazione».
Mi ricordi i lavori attualmente in corso?
«Via Arco, innanzitutto: la riqualificazione con i fondi dell’accelerazione della spesa, la sistemazione all’esterno della biblioteca comunale, l’incubatore di impresa, l’ex mattatoio che in fase di ultimazione e per il quale abbiamo approvato il bando per assegnarne la gestione, bando i cui termini scadono il 31 dicembre».
L’ex mattatoio ha una destinazione finalizzata ad uno sportello di accoglienza per extracomunitari, il finanziamento aveva, se non ricordo male, vincoli precisi. Si prevedono ulteriori usi per quella struttura?
«No, non abbiamo alcuna ipotesi diversa se non quella cui è destinata dal finanziamento, infatti abbiamo previsto nel bando la gestione dell’intera struttura. La data del 31 dicembre coincide anche con l’ultimazione dei lavori e dunque con l’eventuale consegna da parte dell’impresa».
Insomma il Comune non gestirà direttamente. Sai che c’è un bel po’ di gente preoccupata dalle ricadute sociali di eventuali attività rivolte agli extracomunitari?
«La gestione diretta avrebbe una fortissima incidenza sul bilancio che il Comune non si può permettere. Non so se c’è gente preoccupata, ma consentimi di ricordare, in primis a me stesso, che i nostri avi sono andati raminghi per il mondo facendo lo stesso esodo che ora tocca alle popolazioni nordafricane che vivono il dramma della guerra. Non dobbiamo mai dimenticare che noi siamo stati accolti e che in Germania o in Svizzera c’è probabilmente ancora qualcuno che grida “italiano ladrone”».
Per un’opera che sta per essere consegnata, ce n’è un’altra che non è mai partita: il bando per la piscina comunale è andato deserto. Una nuova soluzione in merito c’è?
«Non abbiamo avuto per ora il tempo materiale di ipotizzarla, è certo però che la piscina comunale non può che essere realizzata con fondi privati. Da sola però, ad oggi, non è in grado di essere appetibile perché gli oneri per la gestione sarebbero più alti degli eventuali ricavi. Dunque bisognerà ipotizzare una struttura più vasta che contempli un minino di attività commerciali come, per esempio, il centro Virgin che è a Fuorigrotta. Oppure come a Cardito, dove un vecchio insediamento di natura industriale e commerciale è stato trasformato in un centro, il Nemea Energy Village, che comprende piscina, palestra, spazio per i bimbi e ogni tipo di attività che sia connesso al fitness, al benessere, alla salute, con spazi per la ristorazione affidata ad uno chef importante, Pietro Parisi, al quale sono tra l’altro legato da profonda amicizia».
Anche lo stadio sarà dato in gestione a privati?
«Sì, per lo stesso motivo. Oggi gestire una struttura sportiva significa dover avere a disposizione il denaro per manutenzione ordinaria e straordinaria, il personale, le pulizie, il riscaldamento, oneri che un’amministrazione non può più consentirsi. L’unica soluzione è affidarlo in concessione con una giusta e idonea retribuzione e vantaggi sia in termini finanziari che di utilizzo, riservandosi per esempio la possibilità di uso per le scuole e per le società convenzionate. Faremo il bando credo nei primi mesi del 2016, bisogna lavorarci. I primi mesi dell’anno serviranno anche per mettere in campo più progetti per intercettare finanziamenti perché o lavoriamo su questo o non riusciremo a far nulla».
Non credi che un’amministrazione al giorno d’oggi debba dotarsi di un team che faccia solo questo? A che serve avere uno staff se poi non ci si occupa di trovare le occasioni per agguantare fondi e finanziamenti?
«Sì, è vero. Allo stesso tempo bisognerebbe lavorare di più stando attenti a quelli che sono i bandi regionali, nazionali, europei».
Ma se non c’è nessuno che se li studia…
«Intanto, al di fuori delle logiche, giacché fa parte della mia attività professionale sapere in tempo utile dei bandi, io riporto le notizie utili e in qualche modo cerchiamo di rimanere adeguati ai tempi e al momento. Il fatto è che il personale è poco, siamo sotto organico. Sul piano energetico cerchiamo intanto di mandare avanti il ragionamento del Paes che dovrebbe consentirci comunque di avere un parco progetti pronto per le occasioni in cui capitano le richieste di finanziamento. Perché oggi, per partecipare a qualunque tipo di bando, c’è bisogno di progetti pronti».
Progetti che solitamente richiedono più competenze, come l’ultimo per il quale avete presentato richiesta di finanziamento per l’area di via Boccaccio, giusto? Progetto tecnico ma anche piano sociale…
«Esattamente, se venisse finanziato offrirebbe ottimi incentivi anche di natura occupazionale. Riguarda tutte le zone di via Boccaccio e dintorni, appunto, con la realizzazione di spazi, piazza, un asilo. Un piano sociale di recupero con l’impegno di giovani. Una delle cose, in verità, sul quale il sindaco mi aveva impegnato».
A proposito di periferie, sai che è in atto una polemica per il dirottamento dei fondi RFI da via Pomigliano a via Marconi. È una soluzione che hai suggerito tu?
«Un’idea sulla quale abbiamo lavorato».
C’è un esposto alla Corte dei Conti…
«La ritengo una falsa polemica, la convenzione sottoscritta con la Rete Ferroviaria Italiana dice con grande chiarezza che esiste la possibilità di utilizzare i fondi anche per la realizzazione di sistemi viari alternativi in maniera da risolvere problemi nell’ambito di tutta l’area. Via Marconi vi rientra».
Nell’area cittadina di sicuro, non nei dintorni di via Pomigliano.
«Intanto non siamo nemmeno certi che il finanziamento per via Marconi venga meno, allo stato attuale ci siamo tutelati: se quei fondi non dovessero arrivare abbiamo destinato circa novantamila euro da poter utilizzare. Tieni conto che oggi la più stupida delle ipotesi prevede che per una gara di esecuzione dei lavori ci siano ribassi intorno al 30 per cento. Ciò vuol dire probabilmente che di quei novantamila euro ne occorreranno forse 20 o 25mila. A quel punto potremmo anche rivedere le fonti di finanziamento e rimetterle sulla scuola materna, recuperando fondi in altri modi. Premesso che quella scuola sarebbe da dismettere totalmente».
Parli della struttura nei pressi del ponte dell’alta velocità su via Pomigliano: è da abbattere?
«Va verificato un eventuale diverso utilizzo ma sicuramente è da dismettere. Non ha più alcuna logica rispetto al piano delle scuole e agli insediamenti che già esistono».
Torniamo un attimo all’urbanistica. A Sant’Anastasia c’è un piano colore, non sarebbe ora di attuarlo?
«Non ho ancora verificato, ma sto valutando tutto l’esistente perché ritengo che il piano colore, come gli altri – che siano piano parcheggi, acustico, piano traffico – sia condizione necessaria per redigere un Puc serio».
A tuo parere – e dal punto di vista urbanistico – di cosa avrebbe bisogno Sant’Anastasia?
«Considerando che oggi non esiste possibilità di edilizia residenziale, occorre una previsione di infrastrutture, spazi verdi, luoghi di aggregazione, parcheggi».
Parcheggi?
«Sì, parcheggi. La prima sensazione che si avverte entrando nel corso principale per chi arriva da Somma Vesuviana è il fastidio di quella doppia fila di auto in sosta a destra e sinistra. La situazione di via D’Auria è inimmaginabile per un centro urbano con attività commerciali anche piuttosto importanti. Non comprendo tra l’altro come mai ci siano su un lato le strisce blu e sull’altro quelle bianche. Come dire: consentiamo agli esercenti di tenere ferme le auto da mattina a sera e facciamo sì che i clienti paghino? Non capisco davvero».
Quali aree, per esempio, dovrebbero essere adibite a parcheggi?
«Di fronte alla scuola Pacioli c’è un’area per la quale, proprio in questi giorni, abbiamo progettato un parcheggio. In funzione di quelle che sono le capacità finanziarie odierne, lo abbiamo limitato a metà dell’area, circa 42 posti auto. Il progetto preliminare è già stato approvato in giunta, dunque andremo avanti con le fasi successive. Ma sarebbe necessario individuare ulteriori aree, anche per snellire il traffico cittadino e in funzione della riqualificazione di alcuni spazi: piazza II Ottobre, per esempio, l’area che costeggia il retro della chiesa Santa Maria La Nova, poco distante dal municipio. Quello è uno spazio da rivedere, attualmente informe, dove si parcheggia senza autorizzazioni e con un divieto che non viene rispettato. Parcheggi, dunque. Ma anche la possibilità di immaginare nuovi assi viari che portino il traffico a defluire, magari circumnavigando il centro cittadino: dai grafici ho visto che esiste la concreta possibilità di realizzare un ulteriore percorso».
Stai parlando, per caso, di un collegamento che unisca via Circumvallazione a via Romani?
«Esatto. E di conseguenza la possibilità di realizzare ulteriori tratti con miglioramento del sistema viario, del sistema parcheggi, con spazi pubblici riqualificati. Già così si darebbe un ulteriore senso a questa città che, in verità, non si presenta male».
La Caserma dei Carabinieri, invece?
«Nelle more di un finanziamento, abbiamo ipotizzato di allocarla in un edificio scolastico, quello di via Sodani».
Ha tutte le caratteristiche occorrenti?
«Stiamo lavorando sulle ipotesi di progettazione che ci consentiranno di adeguarlo alla destinazione. Ci sarà un’ala destinata alla residenza del comandante, la possibilità di parcheggiare le auto. Andranno modificati alcuni ambienti per renderli fruibili alla brigata e pensati spazi obbligatori per il deposito delle armi ed una cella, da utilizzare – mi auguro – il meno possibile».
Hai detto «nelle more di un finanziamento». Eventuale tempistica?
«Speriamo di accedere a fondi specifici, su questo bisognerà lavorare. Intanto c’è intesa con il comando dei carabinieri e con la Prefettura. Già il fatto di riuscire in qualche modo a liberare i militari dalla attuale condizione di disagio e sistemarli in una struttura un po’ più degna ha una grande valenza».
Il Santuario di Madonna dell’Arco: il tuo senso estetico di architetto e urbanista non si ribella nel vedere una delle chiese più importanti del Meridione circumnavigata ogni giorno dal traffico delle auto, anche pesante?
«A Pompei il problema è stato brillantemente risolto realizzando uno spazio anteriore aperto sul sagrato e una villa comunale, ma lì c’era la possibilità di circumnavigare e ricollegare il sistema viario altrove. Qui no e, anche nel caso ci fosse, rimarrebbe il problema di accesso alla Circumvesuviana. Però è un’idea sulla quale mi farebbe piacere lavorare o impiegare qualcuno anche più bravo di me in questo. Potremmo immaginare un concorso di idee per trovare una soluzione che renda Madonna dell’Arco l’immaginata cittadella mariana, per consentire a tutto il nucleo di divenire un’isola all’esterno della quale è sempre possibile andare ma all’interno della quale bisogna accedere con la naturale propensione al sacro, al misticismo. Un senso di religiosità che oggi si perde quando esci dalla chiesa e ti passano davanti auto in corsa. Ecco, un concorso di idee sarebbe l’ideale».
Anche per la piazza? Pur se piazza, per quella di Madonna dell’Arco, è parola grossa…
«Ti riferisci ovviamente a tutta quella parte in cui sono oggi allocati quattro gazebo bianchi con un’area parcheggio alle spalle».
Si. Intanto che accadrà dei gazebo?
«Pensavo di trasferirli nei vari giardini comunali, darli in concessione a persone che possano utilizzarli in cambio della gestione delle aree affidate. Magari destinandoli alla vendita di articoli sacri, per generare indotto che abbia a che fare con il Santuario».
La tua risposta mi fa ipotizzare che l’iniziativa «Adotta un gazebo» sia andata male…
«Infatti. Ma andiamo per ordine, io mi sono prefisso alcuni obiettivi a medio termine. Uno di questi è risolvere il problema degli svincoli della statale 268, riaprendo quello esistente anche in previsione del raddoppio. Una soluzione che risolverebbe anche altri problemi: oggi il Santuario, l’albergo, Palazzo Dominici, soffrono una difficoltà. Facilitando la viabilità con l’apertura dello svincolo potranno invece essere il centro di una serie di attività e di sviluppo che può coinvolgere un’area più vasta, incentivare – al di là del Lunedì in Albis – il turismo al Santuario. Oggi è un turismo pseudo religioso limitato, i turisti possono restare alcune ore ma poi se ne vanno, magari a Pompei. Se invece si riuscisse a consorziare tre Comuni – parlo di Sant’Anastasia, Somma Vesuviana ed Ottaviano – ipotizzando un percorso che comprenda il Santuario, in prospettiva Palazzo Nicola Amore, la villa di Augusto a Somma con Castello d’Alagno e la Collegiata al Casamale, il Palazzo del Principe e il sistema di chiese ad Ottaviano, i turisti si impegnerebbero per un giorno intero e anche di più, incrementando anche altre attività ricettivo – alberghiere».
Un pacchetto da offrire ai tour operator?
«Anche. Su questa idea del consorzio mi ha trovato d’accordo l’archeologo Antonio De Simone il quale mi ha in qualche modo compulsato. Se le tre amministrazioni insieme cavalcassero questa idea ipotizzando la creazione di una struttura permanente, magari una fondazione composta da rappresentanti dei tre Comuni, si darebbe respiro e spazio anche alla finalità di valorizzare le tradizioni. La catalanesca, le albicocche, i pomodorini, prodotti che danno il senso delle identità, il senso delle cose realizzabili. Oggi, a mio parere, le amministrazioni devono puntare a questo».
Tornando a piazza Madonna dell’Arco, progetti?
«Anche lì è ipotizzabile un concorso di idee, con un tema. Ci sono piazze italiane come quella di Padova dove oggi ci sono duecento espositori, si era partiti dal santino e adesso si ha il senso di tutto ciò che si produce nel circondario. Potrebbe essere questa la strada, o magari una Piazza dei Miracoli come a Pisa. Intanto dovremo immaginare un tema per poi metterlo alla base di un’idea progettuale: può diventare zona fieristica, per esempio, oppure area finalizzata al recupero delle attività precipue della popolazione di Sant’Anastasia».
Piazza Siano, invece, resterà un parcheggio?
«Per quell’area non c’è ancora un’idea. Posso dirti che per raggiungere il municipio anche io ho bisogno di parcheggiare l’auto e l’area di sosta in via Garibaldi non è sufficiente. Pensare a quella piazza come pedonale al momento non è un’opzione perseguibile».
Non credi che sia una questione di scelte? La gente si adegua.
«Diciamo un’altra cosa: il sistema dei parcheggi può funzionare se c’è un sistema di collegamento, ossia di trasporto urbano. Oggi non è possibile avere ulteriori autorizzazioni per linee urbane dalla Regione perché purtroppo non ci sono fondi. Io ho plaudito nel momento in cui Bassolino eliminò le auto da piazza Plebiscito e sono profondamente convinto che la piazza debba avere il concetto dell’agorà di una volta, che debba essere un luogo di aggregazione dove le persone possano incontrarsi, parlare, senza doversi muovere tra le auto e respirare idrocarburi. È sicuramente una scelta che va però attuata in un quadro organico e di programmazione, in un ordine generale in cui si realizzino prima parcheggi e si recuperino spazi aperti, riqualificandoli. Solo così, con interventi organici che abbraccino l’intera città, si possono compiere anche scelte come per esempio quella di una Ztl che, in quel caso, sarebbe più facilmente digerita».
In tutto questo turbinio di impegni, resta del tempo libero per te?
«Generalmente dalle dieci di sera fino alle cinque del mattino. A quel punto comincio a verificare la posta, i social, ho un bel numero di amici con i quali dialogo molto. Una delle poche passioni rimane quella di guardare, da solo e a casa mia, le partite di calcio e di pallacanestro».
Tifoso?
«Supertifoso del Napoli e ancora tifoso del Napoli Basket. Ma non vado più allo stadio da tempo».
Hai anche giocato?
«A calcio fino a circa 14 anni, poi ho preferito la pallacanestro ma anche il nuoto. Prima sciavo, e dico prima perché sette anni fa mi è capitato uno degli incidenti più brutti che si possano immaginare: la frattura dell’astragalo. Dopo tre interventi mi ritrovo una staffa di titanio nel tallone, non ho più l’articolazione della caviglia del piede destro. Per cui ho un’andatura claudicante che tento di mascherare».
Tempo per leggere te ne rimane?
«Ogni giorno non trascuro mai i quotidiani. Per il resto amo molto Andrea Camilleri, mi diverte e mi distende».
Una volta superato lo scoglio del siciliano è piacevolissimo, in effetti. Ami più il Camilleri storico o quello delle storie del commissario Montalbano?
«Quello di Montalbano mi è più simpatico, in certi momenti trovo che ricordi Verga, riesce a raccontare la storia con estrema scorrevolezza inserendo elementi di attualità».
Il libro che più ti ha segnato, quello che ti è rimasto dentro e magari rileggi ogni tanto?
«Non riesco più a rileggerlo, occorrerebbe la stessa predisposizione mentale dei vent’anni, età in cui mi colpì molto: è “La Santa Rossa” di John Steinbeck. Per la verità ho anche letto molto di Karl Marx all’epoca del liceo, mi divertiva culturalmente il raffronto con Engels, di sicuro avrà influito sulla mia formazione politica. Oggi riesco a leggere meno, prediligo però sempre l’odore dell’inchiostro, la carta, la stampa, rispetto al digitale».
Il cinema?
«Non vado al cinema da molto tempo, credo che l’ultimo film visto sia “Benvenuti al Sud”. In ogni caso amo un genere simpatico, moderno, distensivo. Ogni tanto, magari, un bel musical a teatro».
Dunque la musica ti piace…
«No, in verità non mi interessa. La ascolto in auto solo perché mi tiene sveglio ma spesso non focalizzo né sento le parole».
Il politico che più ti ha influenzato?
«Silvano Labriola, deputato, vicepresidente della Camera e mio padrino, ho collaborato con lui per lungo tempo quando era vicesindaco di Napoli. Poi fu punito e mandato via, spedito a candidarsi a Livorno, perché era tra gli assertori del trasferimento del centro siderurgico da Bagnoli».
Tra quelli di oggi, invece?
«Per certi versi mi piace il decisionismo di Matteo Renzi, un po’ mi ricorda quello di Bettino Craxi. Ha il coraggio di porre le questioni e perseguirle, di lottare contro le vecchie lobby anche all’interno del suo stesso partito. Il fatto stesso che, pur essendo combattuto e non avendo certo consenso unanime all’interno del Pd, riesca a tenere ancora legati uomini dello stampo di Bersani e D’Alema, dimostra che ha una intelligenza politica notevole. Ecco, credo che sia lui il politico tra gli attuali che mi piace di più. Se dovessi invece scegliere il «politico» per eccellenza, l’uomo dalla caratura di personaggio anche culturale, direi Aldo Moro».
Un socialista che sceglie un democristiano?
«Non vuol dire, anche perché i socialisti sono coloro che hanno tentato fino alla fine di salvargli la vita e lui, pur di estrazione religiosa, si avvicinava in maniera evidente a certi ideali di natura socialista».
Ecco, la religione che posto ha nella tua vita?
«Sono uno che normalmente, ogni sera, si fa l’esame di coscienza, cosa che ritengo più utile che non battersi il petto in chiesa. Mi definirei appunto un cattolico fervente non praticante, credo profondamente».
Viaggi?
«Adesso solo per lavoro e in tutta Italia, ma ho viaggiato spesso».
Il luogo dove sei stato meglio?
«A Vienna, direi. Una città forse troppo mitteleuropea, un po’ rigida, ma dove tutto funziona bene, tutto è luccicante. Mi ha colpito molto viaggiare in un tram riscaldato, in pieno inverno, con sottofondo di valzer. Ma la città che più mi ha impressionato è Barcellona, lì si sente fortissima dal punto di vista architettonico l’influenza di Gaudì, di Mirò, di una pletora di artisti che hanno qualche modo inciso in un tessuto che fondamentalmente ha molto della nostra Napoli».
Dov’è che invece vorresti andare?
«Dove non sono mai riuscito, in America. Ogni volta che sembravo pronto a partire il lavoro mi ha bloccato, eppure ho parenti che mi avrebbero accolto, una zia che è proprietaria del ristorante di fronte alla Casa Bianca, un altro a Miami. Vorrei vedere New York e poi la California».
Il lavoro ti ha frenato anche nei viaggi, pare. Ma seppure in pensione non ci rinunci…
«Quando mio padre andò in pensione, nel momento in cui cominciò a fossilizzarsi sulla poltrona davanti alla tv, morì. Non è che mi senta giovanissimo ma sono profondamente attivo, tento di non pensare all’età bensì, sempre, alle cose che devo fare. E nella vita ne ho fatte tante, anche il disegnatore di biancheria intima femminile».
Ossia hai disegnato lingerie per donna?
«Sì e la mia aspirazione era conoscere l’ideatore del marchio Victoria’s Secret. Ho disegnato reggiseni, culottes, tutto quel che serve insomma».
Un architetto che disegna reggiseni, considerando quel che si vede in giro, non è male. Ideavi collezioni?
«Sì, avevo anche creato un marchio che per un lungo periodo andò benissimo. Si chiamava “Inouì”, diciamo in quella nicchia ai livelli di Chantelle e Cacharel, studiavo le dimensioni, mettevo insieme i pizzi e le bretelline adatte, il sostegno e i materiali, la capacità di conformarsi in funzione della forma dei seni e dei glutei, utilizzavo tendenzialmente i colori pastello e quelli di moda in un dato periodo. L’ho fatto per un anno e mezzo e quei capi di biancheria erano in vendita in negozi rinomati, a Roma, Napoli, Firenze, Bologna. Credo che nella vita si debba cimentarsi in tutto, senza mai perdere di vista le proprie aspirazioni».
Hai anche dipinto?
«Sì, fino ad un certo punto della mia vita. Del resto la mia attività professionale è basata fondamentalmente su questo e io continuo a disegnare a mano, non so utilizzare le moderne macchine infernali. Dunque schizzo gli angoli, gli interni, i particolari ed altri li trasformano poi con AutoCad, il software di progettazione. Un tempo dipingevo a matita o acquerello, soprattutto paesaggi. Fin da piccolo, tanto che credo mia madre conservi ancora qualcosa: a sette anni circa riuscivo a schizzare con tanto di prospettive, proiettavo la profondità delle case e dei paesaggi».
Cosa c’è sulle pareti di casa tua?
«Una serie di grafiche, su pareti bianche. E quadri, degli Arpaia, degli Emblema».
Se invece a casa potessi avere un’opera d’arte famosa da poter ammirare ogni giorno, quale sceglieresti?
«Le Venere di Botticelli o il Mosè di Michelangelo. Sono entrambi fantastiche espressioni del corpo umano, si ha la sensazione che siano veri, vivi».
Perciò sono queste le opere d’arte che consideri più belle?
«Sì ma non solo. Ogni tanto vado a Firenze e giro la Galleria degli Uffizi per ore. Ho avuto esperienze straordinarie anche a San Pietroburgo, all’Hermitage. A cominciare dalla struttura stessa, opera di un famoso architetto italiano, Bartolomeo Rastrelli. Amo Raffaello, amo Monet. Il paesaggio in genere è sempre ben presente nella mia idea di arte, anche quando mi dilettavo con la fotografia».
Lo fai ancora?
«No, ora è tutto digitale, non c’è gusto. Mi piaceva dedicarmici quando potevo stamparmi le foto da solo, in camera oscura».
Come pensi che sarai tra dieci anni?
«Ancora capace di fare le cose che faccio oggi, con lo spirito giusto che credo di avere».
C’è un progetto che ti stuzzica, un sogno professionale al momento nel cassetto?
«Non saprei, è difficile. Anche perché di cose ne ho fatte tantissime e in vari campi. Strumenti urbanistici, centri commerciali, costruzioni anche notevoli».
Immagina di passeggiare a Bagnoli per esempio, non c’è nulla che ti ispiri?
«Sì, mi piacerebbe mettere mano alla torre ristrutturata, la ciminiera. Pensarla come elemento aggregante intorno alla quale realizzare altro».
C’è un proverbio, un motto, un aforisma, un modo di dire che senti tuo o ripeti spesso?
«Dico spesso ai miei figli di ricordarsi quello che sono e da dove vengono. È un insegnamento importante che ho mutuato da mio padre, guardarsi indietro significa aver appreso le cose essenziali per andare avanti. Ringrazierò sempre i miei genitori per quel che hanno fatto e devo dire che i miei figli hanno appreso perfettamente la lezione. Augusto, quando si è laureato, mi ha fatto dono di una targa dove sono incise poche parole: “Ringrazio colui che, comunque, è sempre stato dietro a tutti i miei successi”. Ecco, sono i momenti in cui capisci di aver fatto bene».
Il tuo rapporto con il denaro?
«Mia moglie mi ha aiutato molto in questo. Per me non è un grande problema ma, al contrario di quando ero più giovane, comincio a pensare al dopo, vorrei lasciare tutti nelle condizioni di essere autosufficienti, di non avere problemi, di non dover dipendere da alcuno. Non sono avaro, ho una giusta ambizione, non sono invidioso anzi, gioisco del successo altrui quando arriva dall’impegno, dal lavoro onesto. In fondo, con il denaro, ho un buon rapporto».
Per te cosa acquisti?
«Orologi, sono un collezionista».
Che difetto pensi abbiano gli ottavianesi?
«Un difetto acclarato, per me: la presunzione di essere migliori degli altri».
E gli anastasiani?
«Non sono ancora in grado di dirlo, sono sicuramente laboriosi».
Questo è un pregio, no?
«Mi prendo ancora un po’ di tempo per capirne il difetto. Per adesso ho visto un po’ di litigiosità ma nulla di particolarmente pregnante».
Il tuo difetto?
«Sono un credulone. Anche un testardo, un volitivo. Una caratteristica connaturata in chi nasce sotto il segno zodiacale del Toro».
Il pregio
«Sono solare, tranquillo, sempre disponibile per tutti. Se c’è da dare una mano tento di trovare le soluzioni adeguate».
La donna più bella che tu abbia mai visto?
«Julia Roberts, ha una classe innata e un portamento eccezionale. Una donna di classe, un po’ com’era Audrey Hepburn».
L’uomo più affascinante?
«Gianni Agnelli, non per come si vestiva ma per la maniera di porsi, per il suo modo di essere, per il suo personaggio».
Come ti hanno accolto, finora, gli anastasiani?
«Finora bene, non sono oggetto di particolari polemiche o attacchi. Riesco ad essere presente a me stesso e dialogare con tutti, senza presunzione, cercando di pormi in maniera disponibile, senza trascurare le responsabilità e con il dovuto polso».
Per finire, mi dici se ritieni adeguata l’organizzazione della macchina comunale a Sant’Anastasia?
«É tutto da risistemare».
La più grande criticità?
«Il settore finanziario. Non so se per timore del funzionario o perché le condizioni sono realmente difficili visto il rischio quotidiano di sforare il Patto di Stabilità, ma trovo una preclusione costante rispetto a qualsiasi cosa. Se si tiene una riunione in cui si conviene su una data cosa, se vengono predisposti gli atti in tal senso, non è poi ammissibile che mi si restituiscano gli atti con una versione diversa da quella concordata in precedenza. La funzionaria è di sicuro preparatissima, non discuto in merito alle qualità, non è un giudizio. Ma stiamo parlando di un settore che in questo momento è determinante all’interno dell’amministrazione. I settori trainanti devono essere appunto quello finanziario e quello dei lavori pubblici, con un segretario che sia capace di gestire le cose in maniera intelligente».