Sos natura dall’inferno vesuviano

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Dopo gli incendi, la caccia. La natura che verrà

 

Nonostante la stagione di forte siccità, di incendi devastanti, e i numerosi appelli da parte delle grandi associazioni ambientaliste come LIPU e WWF, anche in Campania il calendario venatorio non ha subito alcuna modifica. E la preapertura della caccia non è stata cancellata.

Così dal 2 settembre si potranno cacciare già alcune specie di uccelli, come gazza, ghiandaia, cornacchia grigia e tortora selvatica. Un “anticipo” della caccia per chi di questi tempi imbraccia il fucile, che durerà fino alla terza domenica di settembre, data ufficiale di apertura del periodo venatorio.

Nel braccio di ferro tra salvaguardia e tutela del territorio e la soddisfazione dell’ego umano ha vinto, ancora una volta, il mondo venatorio.

Una partita che forse avrà confuso anche Legambiente. O meglio il suo circolo “Il Picchio” di Giffoni Valle Piana, il comune sorrentino celebre per il noto festival cinematografico dedicato ai ragazzi. Proprio in questa cornice il suddetto circolo ha messo in palio per la lotteria annuale due premi che sono subito balzati all’occhio: un fucile da caccia e una canna da pesca. Che sia tutta una bufala? Una fake news? Uno scherzo di cattivo gusto? Nossignore. Una vera locandina per una vera lotteria. E premi ad hoc “per dialogare con i cacciatori” come ribadito dal presidente del circolo Enrico Tedesco, che tenta di spiegare: “non intendo promuovere la caccia ma lo sport”.

Sì, perché la ciaccia è uno sport, e chi imbraccia fucili, spezza vite e disperde cartucce al piombo è un “amante della natura”.

Un miscuglio di identità e di valori che sembrano usciti dallo show televisivo “Ciao Darwin”, condotto da Paolo Bonolis, in cui i due schieramenti di esemplari umani al limite del grottesco ne escono sconfitti pari merito il più delle volte. Lasciando vuote e prive di valore anche le stesse parole che li rappresentano.

Ma quello è un gioco, uno show. Questa e la realtà, dove se vogliamo davvero conservare quel po’ di natura che ancora sopravvive non possiamo permetterci mancanza di competenza e di lungimiranza.

Caratteristiche che invece non mancano a chi le applica ogni giorno al proprio lavoro con competenza e dedizione, prendendo davvero a cuore la natura e il territorio. Come Rosario Balestrieri, naturalista e ricercatore in ecologia forestale, un dottorato alle spalle e il titolo di inanellatore di avifauna a scopo scientifico ISPRA in tasca, che spiega: «i danni degli incendi estivi nel vesuviano e nelle aree verdi di Napoli non si limitano alle colture perse, agli animali bruciati vivi, ai danni materiali immediati e alla distruzione del paesaggio e dei pini che coloravano di verde i fianchi del Vesuvio». Per capire infatti le vere conseguenze del disastro ambientale ci vuole, oltre alla competenza, la lungimiranza.

«In questi mesi stormi di uccelli migratori si spostano dal nord Europa verso il Nord dell’Africa e passano per la Campania: tortore, quaglie, colombacci, tordi, merli, capinere. Anche i più noti pettirossi che passeranno l’inverno alle nostre latitudini. Astroni e Vesuvio sono fondamentali nelle loro rotte, si fermano, fanno rifornimento e ripartono. Stavolta non troveranno bacche, ghiande, insetti, perché anche loro sono bruciati» continua Balestrieri. «Per la fatica e la fame cadranno in volo e a centinaia moriranno in mare. Oppure andranno a cercare cibo in altre aree boschive che non sono protette. Il cibo sarà ugualmente scarso e in più saranno facili prede nel mirino dei cacciatori, visto che dal 2 settembre è stata riaperta la caccia come se fosse tutto normale». Un disastro che mina la sopravvivenza di specie già fortemente a rischio in tutt’Europa, e per assurdo ancora cacciabili, come l’allodola.

Ma i danni non finiscono qui. Negli ultimi tempi in molti postano foto dei fianchi vesuviani dove “la natura rinasce dopo l’incendio”. Non è proprio così. A ben guardare spuntano sì nuove piante,«ma di Robinia e Ailanto: due piante molto invasive» chiosa Balestrieri. Saranno loro a predominare nella “natura che verrà”. I semi e le ghiande delle specie autoctone non arriveranno nelle zone bruciate, ci arriveranno le specie aliene e invasive che però non producono quello di cui si nutre la fauna nostrana. Insomma una strage di biodiversità animale e vegetale, nel cuore del polmone verde della città di Napoli. Bisogna agire e in fretta, se non per riparare il danno, quantomeno per evitarne altri, tra frane, smottamenti e perdita di biodiversità. Ma non servono architetti, geometri, vulcanologi o geologi, stavolta per un disastro ecologico del genere bisognerebbe per una volta restituire l’identità professionale all’unico professionista che in questo caso può avere una visione d’insieme: il naturalista.