Nell’ambito dell’ottava edizione del festival diversi interessanti spunti per le questioni di genere e l’incontro con due ambasciatrici d’eccezione delle lotte delle donne indiane contro il land grabbing e in difesa delle minoranze.
L’idea di una manifestazione che attraverso film e documentari racconti le condizioni di vita di persone e di popoli nel loro percorso verso l’uguaglianza e la democrazia viene da lontano. E’ stato infatti il “Cine de Derechos Humanos” dell’America Latina ad ispirare nel 2005 i fondatori dell’associazione che da otto anni a Napoli dà vita al festival che quest’anno si svolge dal 9 al 14 novembre (www.cinenapolidiritti.it).
I temi di elezione affrontati da queste rassegne sono quelli che riguardano la parte dell’umanità in difficoltà o in situazioni emergenziali: la condizione delle donne, degli anziani e dei minori, dei carcerati e dei malati, lo stato in cui versa l’ambiente e i rischi per la salute delle nostre comunità, il diritto alla casa e al lavoro, la lotta alla povertà e il diritto all’istruzione, la necessità di ospitare gli immigrati in modo equo e civile, la convivenza pacifica, l’avviamento dei giovani ad una vita dignitosa e ancora la memoria e le dittature.
Uno degli obiettivi del festival è di portare l’informazione e il confronto su questi temi nei luoghi dove il disagio e l’emarginazione sono più avvertiti e dove la gente troppo spesso viene esclusa dai circuiti informativi e culturali dei grandi mezzi di informazione. Di qui la motivazione della scelta dei luoghi per gli incontri e le proiezioni, che mira al coinvolgimento delle persone e alla valorizzazione di spazi e strutture.
Nella rassegna di quest’anno molti i momenti dedicati specificamente alle questioni di genere: una riflessione su donne psichiatria e potere (svoltosi lunedì scorso all’ex opg di Materdei )con un omaggio alla scrittrice scomparsa Fabrizia Ramondino, l’incontro con Roma Malik e Ulka Mahajan, attiviste indiane (svoltosi martedì all’Orientale), che hanno incontrato anche il sindaco De Magistris, e la proiezione del film Char-no man’s island, contro il furto di terra e la deportazione, un incontro con le donne della Casa Circondariale di Pozzuoli, la presentazione di due film della regista Iara Lee sul Pakistan e sulle donne Saharawi (venerdì 13),infine un film sul genocidio di Srebrenica.
Ho avuto la fortuna di incontrare le attiviste indiane, Roma e Ulka, in un momento di condivisione non ufficiale, e perciò speciale, insieme a Eleonora Fanari, cooperante, che le accompagna. Roma è loquace e sorridente, Ulka parla meno, non si ripete ed è molto precisa. Ma non sono due donne diverse. Condividono qualcosa che le rende essenzialmente uguali: sono due combattenti di ferro e lottano per i diritti delle donne e delle minoranze in India. Paese enorme, chiamato infatti subcontinente, apparentemente conosciuto, ma in realtà sconosciuto ai più, paese emergente, in via di sviluppo o come lo si voglia chiamare. E lo sviluppo è appunto, e non da ora, il problema. Quello che sta avvenendo ora, e non solo in India, e al quale i governi danno comunque il nome di sviluppo è di fatto l’espropriazione massiccia di terre ai danni di contadini e braccianti, per costituire, distruggendo villaggi e costringendo alla deportazione forzata la popolazione, corridoi industriali o colture intensive. E’ il fenomeno del “land grabbing”.
“In India il 95% della mano d’opera agricola è costituita dalle donne” dice Roma, “ma solo agli uomini viene riconosciuto lo status di contadini. Le donne fanno tutti i lavori necessari alla coltivazione della terra, escluso arare. Alle donne questa attività è tradizionalmente preclusa ed è evidente che viene considerata un’attività più nobile e importante delle altre. Quando non piove per molto tempo una credenza popolare dice che per far piovere una donna deve arare la terra nuda.”. Non si potrebbe pensare ad una superstizione più umiliante. Roma è vice segretaria generale del All India Union of Forest Working People, che ha appoggiato le lotte delle donne contro l’acquisizione delle terre in tutta l’India. E’ inoltre coordinatrice dell’Human Rights Law Centre e lavora nel segretariato del New Trade Union Initiative. E’ stata da poco scarcerata dopo essere stata arrestata per essere una leader del movimento contro la costruzione della Diga Kanhar. Ulka ha iniziato a lavorare con le popolazioni Katkaris di origine nomade per favorire la crescita di una loro identità politica e sociale. Con il suo movimento (SJA) si è opposta ad un imponente “progetto di sviluppo” appaltato alla Reliance Ltd che prevedeva un immenso corridoio industriale tra Delhi e Mumbai. “ Non si sono mai visti tanti suicidi tra gli agricoltori come in questo periodo, più di 300.000”, dice Ulka, “E’ la politica del governo che li intrappola. Le leggi sono ancora quelle del periodo pre-indipendenza, e quando ne esistono di nuove si fa fatica a farle rispettare perché c’è sempre una forte struttura di potere che non cede. Abbiamo lottato per quattro anni contro la Reliance e quando abbiamo saputo che 78 villaggi sarebbero stati espropriati abbiamo convocato riunioni ovunque. Ma abbiamo detto che le riunioni non sarebbero iniziate se non vi avessero preso parte anche le donne! Gli uomini vedono la terra come un bene, quando sentono parlare di esproprio si chiedono che somma riceveranno in cambio, salvo poi finire nella disperazione. Le donne, invece, vedono la terra come una parte della loro identità e non sono disposte a rinunciarvi. Con la Reliance siamo arrivati ad un referendum. Quello è stato il climax: abbiamo contattato ogni singolo agricoltore per spiegare cosa era in gioco e come fosse importante votare e abbiamo vinto con il 96% di voti contro la compagnia”.
“Con il Forest Rights Act l’espropriazione delle terre forestali è stata dichiarata illegale”, continua Roma “ma bisogna comunque lottare altrimenti questa legge non viene rispettata. Sono le donne a lottare per le terre più degli uomini e il governo reprime in maniera violenta: bruciano i raccolti, danneggiano le case, arrestano le attiviste. Il 60% della leadership di questi movimenti è nelle mani delle donne”.
Una delle conseguenze positive di questa situazione è che siccome sono le donne più che gli uomini a recuperare le terre e a resistere per conservarle, stanno assumendo un ruolo nuovo e centrale nella vita economica delle comunità, riconosciuto da tutti. Questo processo comincia a spezzare le catene del patriarcato tradizionale. Vi ricordate degli Intoccabili? Pensate che non esistano più? Purtroppo non è così. Anzi le battaglie più difficili e allo stesso tempo più urgenti e indispensabili di Roma e Ulke sono proprio per la difesa dei diritti delle minoranze Adivasi e Dalit, comunità abituate ad essere ignorate e dimenticate e per questo tra le più deboli e indifese.
QUESTIONI DI GENERE