I fratelli Induno, Domenico (1815 – 1878) e Gerolamo (1825-1890), fecero in modo, con la loro arte, che il quadro “di genere” diventasse un quadro di storia sociale. La critica definisce “quadro di genere” il dipinto in cui si rappresentavano scene di vita quotidiana senza intenzioni di carattere politico e di natura sociale: insomma, quadri “anonimi”. Questa classificazione della critica non mi convince: il pittore sceglie la scena da rappresentare con una precisa intenzione, che l’osservatore può dedurre dai dettagli del quadro.
Riprenderemo l’analisi del tema del “quadro di genere”, perché una visione chiara e concreta del problema può aiutarci a “leggere” meglio la pittura del secondo Ottocento: la pittura italiana e, in particolare, quella napoletana. Diciamo per ora che i fratelli Induno, nati nella Lombardia ancora austriaca, frequentarono l’Accademia di Brera, furono entrambi allievi di Francesco Hayez e per molti anni svilupparono la loro arte secondo un progetto condiviso, quello di dedicare la loro attenzione a scene di vita quotidiana. In seguito Gerolamo partecipò attivamente ai moti che portarono all’unità d’Italia e diede al “Risorgimento” un posto particolare nella sua produzione artistica: è suo lo splendido “Ritratto di Garibaldi a Capua”, portato a termine nel 1861.
La partecipazione alla vita politica lo indusse, già nel 1850, a interessarsi dei problemi degli “umili” e a “vedere” in che misura, nelle loro povere case, giungesse l’eco dei moti e delle battaglie per la libertà e l’unità nazionale. Nel 1855 egli dipinse il quadro “Povera madre” (cm. 57x cm.43), in cui “la composizione semplice e l’inquadratura ravvicinata accentuano il dramma della donna che posa lo sguardo desolato sul suo bambino morto, abbandonato sulle coltri. La patetica figura della donna con la spalla lasciata nuda dalla veste scivolata sotto il seno è ripresa da “Un pensiero malinconico” di Francesco Hayez: la grandezza di Gerolamo consiste nella capacità di tradurre il tono aulico e commosso di quella immagine nell’intensa disperata umanità che spira dalla scena ambientata in una povera camera imbiancata a calce.”(Silvestra Bietoletti).
Nel quadro di Hayez citato dalla Bietoletti ( vedi immagine) )la signora malinconica appartiene alla classe alta, e la spalla nuda, l’espressione del volto, il gioco delle mani e i fiori ci inducono a pensare che la sua malinconia dipenda dai problemi di una storia d’amore, dall’onda di segreti pensieri che la compostezza del volto cerca di controllare, ma che si manifestano, per un gioco metaforico, nelle mobili pieghe della veste e nei toni di “raso celeste” che il pittore stesso diceva di aver scelto per creare una contrapposizione, anche di natura simbolica, con il rosso vivo dei fiori. Nel quadro di Induno il seno nudo della donna non è una nota sensuale, ma ricorda alla madre e all’osservatore che da quel seno il bambino non succhierà più la vita. La muta disperazione della donna è confermata dalle pieghe verticali della ruvida veste, “dipinta” dal pittore con brevi pennellate accuratamente sovrapposte di “terra di Siena” e di “viola scuro”: è la veste di una donna povera, che vive in una piccola stanza dalle pareti scrostate.
Magistrale è la disposizione del corpo del bambino sul letto: la simmetrica corrispondenza con l’inclinazione del cuscino dice alla nostra percezione che in basso a sinistra è l’angolo di ingresso per la lettura del quadro. E la lettura si conclude, nell’angolo in basso a destra, con l’immagine della tazza rovesciata, splendido simbolo del dramma che il pittore ha descritto nel quadro. Hanno ragione Simmel e Bodei: l’arte fa in modo che gli oggetti “parlino”, e dunque diventino “cose”: quella tazza rovesciata ci parla ancora di quel “mondo rovesciato” che Induno ha deciso di rappresentare.