Non giovò alla buona fama della cipolla nemmeno quello che ci dice Ateneo nei “Deipnosofisti”, e cioè che i medici greci e Teofrasto consigliavano di consumare a tavola tutti i tipi di cipolla: la cipolla di Sardi, la samotrace, la schista. Anche gli eroi greci mangiavano cipolle, nonostante il loro sapore amaro. Per secoli la cipolla è stata maltrattata dagli scrittori e dall’opinione della massa, ma la cipolla di Tropea ha completato il processo storico che a partire dal sec.XIX modificò il giudizio sulla cipolla. La “cipolla” di Van Gogh, di Neruda e della Szymborska.
Ingredienti: gr.600 di cipolle rosse di Tropea; gr.100 di farina; olio di semi di girasole per friggere; sale, acqua, prezzemolo. Tagliate a fettine sottili le cipolle, mettetele in uno scolapasta collocato su una ciotola e cospargetele con due cucchiai di sale. Mescolatele con attenzione e fate in modo che rilascino del liquido. Poi sciacquatele bene, per liberarle dal sale in eccesso, e mettetele in una ciotola, dopo averle liberate dall’acqua. Aggiungete il prezzemolo tritato, la farina, un po’ d’acqua, mescolate il tutto fino a ottenere un amalgama completo e regolate il sale. Scaldate l’olio fino a 170° e usando due cucchiai immergete nell’olio poche frittelle alla volta e fatele cuocere, per circa 8 minuti, fino alla doratura. Le frittelle cotte mettetele in un vassoio rivestito di carta da cucina, per liberarle dall’olio in eccesso. Infine, portate in tavola (Copyright ricetta: GialloZafferano).
Le virtù medicamentose e la fama di buon afrodisiaco, una fama che per Marziale era una certezza, non giovarono alla cipolla: non le giovò nemmeno quel che dice la Bibbia, e cioè che gli Ebrei che tornavano dall’Egitto ricordavano con nostalgia i piatti di cipolle che avevano consumato sotto le Piramidi. Nei secoli tutti dimenticarono che anche i gladiatori romani si nutrivano di cipolle. La cattiva fama nasceva dall’odore e dalla forma: la struttura a strati sovrapposti fece della cipolla l’immagine dell’ipocrisia e del “nulla”, e nel linguaggio popolare indicò la donna dai facili costumi. Raffaele La Capria scrive nel libro “L’occhio di Napoli” che la città è avvolta dai pregiudizi e dai luoghi comuni “come una cipolla, che se la sfogli tutta non resta più nulla”. La cipolla di Tropea ha contribuito risolutamente a modificare giudizi e opinioni, e, in particolare, ha liberato definitivamente la cipolla dall’immagine sprezzante di cibo “per gli umili”: un “cambio di passo” già avviato nel sec.XIX e che Pablo Neruda ha fatto diventare un contributo glorioso che la cipolla fornisce alla storia sociale: Ma alla portata delle mani del popolo, innaffiata d’olio, spolverata con un po’ di sale, uccidi la fame dell’operaio nella dura strada. Stella dei poveri, fata madrina in delicata foglia, esci dal suolo, eterna, intatta, pura e nel tagliarti dal coltello in cucina sale l’unica lacrima senza pena. La dolcezza della cipolla di Tropea e le sue virtù salutari ne fanno un prodotto prezioso anche per i cuochi di grande fama. “In cucina, ho commesso un errore divertente, credendo che la cipolla facesse piangere gli occhi. Ma la verità è che questa cipolla è un piacere per tutti, sia in zuppe che con i fagioli lessati, celebrando la bellezza della semplicità.” A scriverlo è il giornalista Edoardo Raspelli riportando questa esperienza rivelatrice nelle pagine dedicate alla Croccante di Tropea. Scrive la poetessa polacca Wislawa Szymborska: La cipolla è un’altra cosa / Completamente cipolla/ fino alla cipollità. /Cipolluta di fuori, / cipollosa fino al cuore, /potrebbe guardarsi dentro /senza prova timore/. Da immagine dell’ipocrisia in cui si nasconde il nulla la cipolla è diventata metafora assoluta dell’identità tra forma e sostanza. Un anno prima di morire Van Gogh dipinse una natura morta (immagine in appendice) con una cipolla, una pipa e una bottiglia vuota: ogni oggetto era la metafora di un proposito: uscire dal disordine esistenziale e imboccare la strada di una vita ordinata.