La nostra epoca, scandita dai social-network, ma anche dal pensiero urlato e cafone, dovrebbe riprendere i significati più profondi dell”arte nobile di essere cortesi.
Di Luigi Jovino
Nell”epoca del pensiero urlato, del trionfo dei cafonal e di Dagospia si perde il senso profondo di termini antichi. La parola cortesia, per esempio, scade di giorno in giorno. Diventa sempre più confusa, sempre più sfumata. Alcune volte anche contraddittoria. Si potrebbe pensare che dopo i fasti celebrati nelle “corti” nobiliari, il termine improvvisamente sia caduto rovinosamente fino a diventare sinonimo dell”abusato “per favore”. Nel senso comune e nella parlata ufficiale, oggi, “Mi fai una cortesia” e “Mi fai un favore” sono frasi che si equivalgono. Non c”è nessuna differenza.
C”è probabilmente una leggera sfumatura nei toni che non cambia la sostanza. Nelle regioni del centro Italia è consuetudine fare a fine vendemmia la Festa della cortesia. I mezzadri ringraziano le donne e i ragazzi che hanno riempito i tini, offrendo un pranzo luculliano. Le donne rispondono, cospargendo di grappoli appena raccolti le scarpe del padrone. La decadenza del termine, forse, è iniziata proprio sulle aie dei vigneti spogli in autunno inoltrato. Eppure la cortesia non dovrebbe essere considerata un regalo. Dante Alighieri, a cui si riferiscono i puristi per “ripulire ad Arno” il lessico italiano, in un canto del Purgatorio ha avuto modo di dire “Cortesia e nobiltà dell”animo sono tutt”uno”. A rigor di logica dunque, cortesia dovrebbe rappresentare uno stato d”animo, un modo di essere. Una libera espressione dello spirito gentile.
Un atteggiamento spontaneo; forse il più elegante del modo di porgersi nel confronto con gli altri. La cortesia, poi, è sempre per gli altri. Non esistono persone cortesi verso se stessi. I politici, maestri di persuasioni, usano il termine come un grimaldello. La celebre frase “Mi consenta”, abusata dal nostro Presidente del Consiglio come un intercalare, in pratica è un “piede di porco” brandito per scassinare la psicologia anche dei più esperti interlocutori. Si comincia con il “Mi consenta” e seguono considerazioni varie, finalizzate al disprezzo totale per l”interlocutore e tendenti quasi sempre ad affermare verità parziali.
Senza possibilità di confronto alcuno. Fedeli agli insegnamenti dei vecchi commercianti borghesi per i quali “La cortesia non costa niente, ma rende parecchio”, molti epigoni del Presidente del Consiglio, usano questo espediente dialettico per costruirsi una immagine politica. Credo che il caso del ministro Bondi, cortese e poetico, sia da manuale e sarà studiato dai nostri pronipoti nelle università informatiche future.
Pur confusa nell”accezione lessicale, quando è richiesta, una cortesia non si nega a nessuno. Vi sono, però, alcuni casi in cui potrebbe palesarsi il diritto di essere scortesi. Una cortesia si nega a persone di cui non ci interessa praticamente niente oppure in situazione in cui l”atteggiamento di disponibilità potrebbe essere frainteso. Una bella donna, cui uno sconosciuto si rivolge con un sorriso, potrebbe avere il diritto di non rispondere. Ci sono atteggiamenti e posture, codificati nel linguaggio dei gesti, che rendono più di un intero discorso.
Nell”epoca dei social-network qualche riflessione sarebbe opportuna farla sulla cortesia informatica che dovrebbe essere ancora più accentuata proprio perchè si gioca solo sulle parole, mancando il gesto, il sorriso, gli odori. Ma per essere esperti di cortesie informatiche occorre una buona dose di intelligenza e una sensibilità che salga sopra ogni riga. Non serve imparare a memoria poesie, ingentilite da disegni di tramonti lontani. Vale di più una virgola ben posizionata. E non bisogna per forza essere letterati. Riprendiamo, dunque, i significati più profondi dell”arte nobile di essere cortesi. Potrebbe essere l”inizio della nostra rivoluzione gentile.