Da “Gustò”, per le “Vie del gusto”: dal menù alla musica un luminoso omaggio alla tradizione

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Una intensa e saporosa serata al ristorante sommese della famiglia Sodano.  Napoli e il Vesuvio nei piatti, nei calici della birra, nel dolce, nella china, e nella musica. I sapori, i ritmi e i canti hanno suscitato  l’intensa suggestione del viaggio attraverso la memoria  delle tradizioni. Si conferma la validità del progetto.

Le “Vie del gusto” approdano alla luminosa eleganza del ristorante sommese “Gustò”, della famiglia Sodano. Il nome, “Gustò”, non viene dal passato remoto del verbo “gustare”, ma da una percezione ossitona del sostantivo, quasi a indicare, per un gioco fonetico, un sapore che esplode in gola, imperioso, e poi si prolunga in una quieta sinfonia di suggestioni: la solida delicatezza del crocché, la larga piacevolezza della frittella di alghe, la “pienezza” dei fagioli alla contadina,  il croccare stuzzicante e armonioso dell’arancino, la levità della pizza fatta di una farina particolare, e il malizioso fiore di zucca che ti sorprende con il suo ripieno in cui la ricotta gioca con una intensa sfumatura di baccalà. I cuochi di “ Gustò” lavorano il fritto misto alla napoletana con l’arte antica che ne fa un cibo da strada: un cibo non solo per viandanti indaffarati e affamati, ma anche per il “flaneur”, per l’intellettuale che si muove lungo le vie della città, apparentemente ozioso e senza meta, ma in realtà con il preciso obiettivo di vedere, di capire, di scoprire fascino e bellezza dei luoghi e delle persone.

Racconta Gustave Flaubert, che visitò Napoli nel 1851, che non sapeva sottrarsi al fascino dei mercati delle erbe, all’ intenso effluvio di voci, di colori, di profumi, che si sprigionava dai banchi e dalla folla, e che Vincenzo  Irolli ha cercato di suggerire attraverso la gioiosa varietà dei toni caldi che scintillano nel quadro che correda l’articolo.  Flaubert scrisse su Napoli cose assai belle: “bisogna andare in questa città per ritemprarsi di giovinezza, per amare la vita. Lo stesso sole se ne è innamorato”: e questa è un’immagine veramente sfavillante. Il fritto misto di mare e di terra portato in tavola da “Gustò” ha messo in movimento  la memoria dei convitati, li ha riportati ai luoghi e alle persone del passato, ai banchi variopinti dietro i quali, durante le feste, fiorenti signore vendevano “ cuoppi” di frittelle e di “panzarotti”, e pareva che “int’’a tiella” versassero l’oro, come la “Donn’ Amalia ‘e Speranzella”,  la “friggitrice” cantata da Salvatore Di Giacomo. A proposito di Di Giacomo: abbiamo pubblicamente promesso che a partire dalla prossima tappa delle “Vie del gusto” leggeremo poesie e prose degli scrittori che hanno raccontato le gustosissime storie del cibo vesuviano e napoletano e che hanno cantato la Natura del nostro territorio.

Il ristorante “Gustò” si affaccia sulla strada che da secoli congiunge Somma a Napoli, e che  lunghe file di carri percorrevano ogni giorno, ancora negli anni ’30 del ‘900, portando ai mercati della città frutta, ortaggi, “varrecchie” di vino: una storia di uomini, di tecniche, di vicende che merita di essere narrata. E poi la musica: Lino Sabella,  Felice Cutolo, Carmine Coppola, Elisa Cimmelli con la loro arte hanno aperto al nostro rimembrare e all’intima commozione le vie fantastiche della civiltà musicale napoletana, hanno portato nel ristorante le immagini e le figure di un’epopea, hanno immerso i presenti in un flusso di emozioni e di suggestioni. I convitati conoscevano già Lino Sabella, la magia di un canto che recita, interpreta, disegna scene, scolpisce personaggi: il guappo innamorato di “Guapparia” Sabella  l’ha fatto realmente “vedere”: gli è bastato variare tono e timbro  della sua  voce scintillante, come sapeva fare Gennaro Pasquariello.

Nella settimana in cui i Sommesi riscoprono in fondo al loro cuore i segni dei misteri della Montagna e vanno ad affidarsi, ancora una volta, alla  Madonna di  Castello, Elisa Cimmelli, Felice Cutolo e Carmine Coppola, a cui dedicheremo un articolo a parte, hanno interpretato magistralmente i ritmi e le strofe della tradizione popolare, e sono riusciti a ricreare l’antico fascino del connubio tra la tammorra, la fisarmonica e il violino.  Napoli e il Vesuvio nei piatti e nella musica: gli applausi  hanno fornito una concreta e calorosa testimonianza dell’ammirazione dei convitati.  Napoli e il Vesuvio stavano anche nei calici in cui scintillava la birra artigianale del Birrificio Maneba: parleremo a parte del contributo che il nostro territorio diede al ragionato successo della birra nella Napoli della seconda metà dell’ Ottocento, racconteremo della coltivazione del luppolo che venne avviata tra Nola e Acerra nel 1864, delle famiglie De Lugo  e Ranieri che nel 1887 vendevano ai birrifici napoletani l’orzo prodotto tra il Piano di Ottajano e Sarno, dei Menichini  di  Terzigno e dei  Saggese ottajanesi che per quei birrifici preparavano, con tecniche particolari,  botti di quercia. Il Vesuvio era presente nella spettacolosa torta Sacher all’albicocca del Bar Royal e nella nobile China Pisanti, che hanno concluso in dolcezza una splendida serata: una serata condotta con la solita maestria da Sonia Sodano, fotografata con la solita arte da Giovanni Sodano, sotto la sapiente regia di Carmela D’Avino, la Direttrice. E’ stata una serata feconda di idee nuove, di riflessioni e di suggerimenti, nella consolidata certezza che il  progetto è valido e che funziona, soprattutto quando le “Vie del gusto” fanno tappa in un ristorante come “Gustò”.