Bene ha fatto il Sindaco di Ottaviano, prof. Biagio Simonetti, a dire di no a una “fiction” su Cutolo da girare nel Palazzo Medici. In alcuni libri e nei film dedicati alla nera storia di Cutolo ci sono pagine e scene che non raccontano il vero, ma fantasie. Il Palazzo Medici è un prezioso scrigno di memorie che sono documenti della luminosa storia sociale e culturale della nostra città. E’ necessario che Ottaviano esca dal letargo, prenda conoscenza di questa storia e coscienza degli errori commessi.
Era fatale che la storia “nera” di Raffaele Cutolo diventasse lo spazio in cui storici con la vocazione di romanzieri avrebbero collocato le loro fantasie violando ripetutamente la verità. Fui preparato, fin dal primo momento, a vedere sul tavolo della cronaca minestre dall’odore nauseante. Ma non avrei mai immaginato che qualcuno arrivasse a raccontare che Cutolo era nato nel Palazzo Medici e che la famiglia, prima ancora che egli incominciasse a scrivere il primo capitolo della sua storia “nera”, prestasse soldi a usura. Il padre di Cutolo – l’ho visto io- girava per le strade di Ottaviano vendendo frutta. Inoltre, negli anni ’70 il Palazzo Medici era uno “scarrupo”. Risultava accessibile solo un appartamento esterno al Palazzo e attaccato al cancello dell’ingresso principale, e le cui finestre si affacciavano sul cortile interno. E mi fermo qui. Bene ha fatto il sindaco di Ottaviano, prof. Biagio Simonetti, a non consentire che il Palazzo Medici diventasse il palcoscenico di un’altra puntata di Gomorra. Sul “volto” della nostra città non c’è più spazio per altri schizzi di fango, e di questo avvilimento i colpevoli siamo noi Ottavianesi che non abbiamo saputo pretendere, in ogni sede, che ai giudizi severi che meritavamo non si sommassero “prediche” che “predicatori” inaffidabili potevano risparmiarsi. Meritavamo giudizi severi perché non abbiamo saputo capire, condividere, imitare la lezione che ci fu data, col sacrificio della vita, da due eroi, Pasquale Cappuccio e Mimmo Beneventano, e con una ferita assai grave, da Raffaele La Pietra, segretario della sezione ottavianese del PCI. Li meritammo quei giudizi severi, e forse li meritiamo ancora oggi, perché poco o nulla abbiamo fatto per difendere i valori della luminosa storia di cui è stata protagonista la nostra città fino agli anni ’60 del ‘900. Dobbiamo svegliarci dal torpore, le scuole devono fare in modo che gli alunni sappiano perché, per esempio, le chiese di Ottaviano sono ricche di opere d’arte di assoluto valore e perché proprio a Ottaviano vennero fondati il primo Liceo Classico del territorio e un Istituto Tecnico all’avanguardia. L’ Amministrazione, le Scuole, le Associazioni devono coordinare progetti e iniziative. Il Palazzo Medici è lo scrigno in cui sono conservati i segni di preziose memorie storiche. Bernardetto Medici comprò nel 1567 il feudo di Ottajano che era stato, come feudo militare, già proprietà degli Orsini, di Fabrizio Maramaldo, dei Gonzaga di Molfetta da cui Bernardetto e Giulia lo comprarono. La “dinastia” fiorentina controllò Ottajano, prima di diritto e poi nei fatti, fino agli ultimi anni dell’’800, ininterrottamente: caso unico, insieme a Gerace, nella storia dell’Italia Meridionale. Il controllo spesso fu anche duro, ma essi sapevano da sempre che non bisogna mai creare lacerazioni non sanabili tra il ceto dei potenti e quello degli “umili”. A metà del ‘700 Giuseppe III affidò al Sanfelice e a Luca Vecchione il compito di trasformare il castello in un Palazzo destinato al “riposo e al lavoro” e chiese al Mozzillo di adornarlo con “affreschi pompeiani”: il Palazzo divenne un modello per le ville vesuviane, ma non tutti potevano permettersi i pavimenti in maioliche vietresi. Che fine hanno fatto? Per amministrare le vastissime proprietà (da Ottajano a Terzigno, e poi fino a Sarno) i Medici presero le decisioni necessarie per favorire la nascita, a Ottajano, di un cospicuo “ceto” di notai, “mastrodatti”, avvocati. E Giuseppe IV a metà dell’’800 fece venire dalla Francia l’enologo Nicola Lemaitre perché insegnasse ai vignaioli del “feudo” le nuove tecniche e l’uso delle nuove macchine: Vincenzo Semmola, dell’Istituto di Incoraggiamento, riconobbe che la qualità dei vini prodotti dopo questa “rivoluzione” era veramente notevole (e il Lemaitre ammise che molto aveva insegnato ai vignaioli ottajanesi, ma molto aveva imparato da loro). Nelle sale del Palazzo Medici i principi decisero di mettere le mani sulla produzione e sul mercato del grano pugliese, sui mulini di Sarno, sugli allevamenti di animali da tiro- asini e cavalli-, e di chiedere l’apertura, intorno al Vesuvio, di nuove strade e di ampliare e “basolare” quelle già esistenti. I principi favorirono la produzione di “basoli” e celebrarono anche a Napoli l’arte dei “basolari” ottavianesi. E tutte le donne della famiglia – sorelle, spose, figlie – protessero e resero famose anche tra i nobili della capitale le “setaiole” del “feudo”. Per non parlare della cura che i Medici tutti dedicarono al culto di San Michele, della Madonna del Carmine e di San Gennaro. Il palazzo Medici ospitò i migliori pittori napoletani e Bellini, e la moglie dell’ultimo Medici aprì le stanze del Palazzo a D’Annunzio. Quanti ottavianesi sanno quanto sia prezioso questo patrimonio di memorie? E chi non conosce la storia del luogo in cui vive può conoscere sé stesso? O è rimasta in noi la traccia di una sola “arte” tra le molte che i Medici ci hanno insegnato: l’arte della dissimulazione? So tutto, vedo tutto, ma a testa alta dichiaro che non so niente e non ho visto niente. Avrei dovuto parlare anche di Luigi de’Medici che si ritirava nel Palazzo quando doveva prendere decisioni importanti per l’amministrazione del Regno di Napoli. Ma don Luigi merita un articolo a parte.


