Da poco trascorsa, la Giornata Internazionale dedicata alle persone con disabilità ha mosso i soliti discorsi intrisi di retorica e qualunquismo. Chiacchiere che sembrano lette e rilette da uno stesso copione. Un canovaccio passato da una mano all’altra nel corso di tutti questi lunghi anni.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel suo incontro con le associazioni di settore, nel quale non sono mancati i contributi di persone con handicap, ha sollevato il tema della scarsa efficacia, da parte delle istituzioni, nella risoluzione di problemi che attanagliano la quotidianità di chi vive o assiste un disabile.
Da parte di tutti i governi, senza distinzioni di colori, c’è sempre stato un costante attacco al mondo della disabilità. Partendo da politiche sociali inesistenti, ad un taglio dei fondi all’assistenza materiale che di anno in anno va restringendosi. Un giorno, non tanto lontano, sarà del tutto sparito.
Le famiglie, purtroppo, restano gli unici baluardi a difesa della vita, della dignità, dei disabili stessi. Disabili costretti a condizioni abitative quasi da segregazione per le irrisolvibili barriere architettoniche. Ostacoli strutturali che pongono l’Italia, rispetto ai suoi vicini europei, un fanalino di coda dalla lampadina fulminata.
Pure la scuola, luogo di nascita dei primi rapporti sociali, diventa un’impresa impossibile. Assenza di personale qualificato al sostegno (la buona scuola di Renzi non ha risolto un tubo), difficoltà di accesso che in molti istituti italiani continuano a negare il diritto allo studio.
Eppure, in Italia, secondo gli ultimi dati Istat, i disabili sono all’incirca tre milioni. Un folto numero di cittadini che, malgrado la loro presenza (ingombrante per tanti), vengono ignorati e chiusi in un angolo silenzioso. Di questi tre milioni di invisibili, circa la metà è costretta a vivere per l’appunto in famiglia o ricoverato presso qualche istituto sanitario. Sognatevi la “vita indipendente”. Con trecento euro di pensione sociale neppure una vita dipendente ci si può permettere.
I comuni, da parte loro, nei servizi dedicati all’handicap, arrampicandosi su vertiginose scuse, non finanziano più di otto euro per disabile. Una vera miseria se pensiamo alle esigenze da affrontare: visite specialistiche (spesso senza rilascio di ricevuta fiscale quindi non detraibili), ausili tecnici non riconosciuti dall’obsoleto nomenclatore, assistenza domiciliare e tante altre necessità che evito di elencarvi ma che, credetemi, a fine mese, fagocitano il budget familiare.
Il lavoro, poi. Ecco, altra tegola. Continuando a snocciolare cifre come fanno i signoroni nei talk show politici, nell’anno 2014, in Italia, soltanto 245 persone con handicap hanno usufruito in maniera positiva delle politiche governative dedicate all’inserimento lavorativo. Ma, paragonate alle cifre del 2010, dove gli occupati erano circa 1704 unità, ci troviamo di fronte ad un calo che si attesta intorno all’85%.
In un ulteriore slancio di masochismo, accostando i lavoratori disabili ai cosiddetti normodotati, finiamo per dipingere un quadro di un nero profondo: i disabili funzionali alla forza produttiva del nostro paese sono relegati ad un misero 0,02%.
Inoltre, con la nuova norma a chiamata individuale, avvalendosi di colloqui faccia a faccia, l’azienda avrà la possibilità di scegliersi il candidato che riterrà più opportuno alle proprie esigenze. Creando, di fatto, un’ulteriore discriminazione. Con questo sistema, che era già previsto ma posto in maggior evidenza dal Jobs Act, i soggetti con un handicap particolarmente invalidante verranno automaticamente esclusi da ogni sorta di integrazione occupazionale. Verranno agevolati, per logica, coloro che hanno una percentuale di invalidità irrisoria. Dando il via, in questo modo, perfino ad una guerra tra poveri.
I portatori di handicap, per una politica italiana votata alla non inclusività, sono costretti a vivere di un misero assistenzialismo. Vivono, consapevolmente e tragicamente, in una condizione di assurdo parassitismo. Un parassitismo infame che ci vieta di essere parte attiva e produttiva della terra in cui, con orgoglio di ciò che siamo, affermiamo con tutti i mezzi la nostra esistenza.
Il capo dello Stato, dall’alto del suo scranno di Montecitorio, nella giornata dedicata ai disabili, si è fatto portatore di una retorica omicida. Un fare politico che fa del vuoto chiacchiericcio la sua forza. Quando si ha il potere di fare, di incidere, di poter cambiare concretamente una convenzione, ergersi a moralizzatori utilizzando frasi imbottite di buoni propositi come fossero cotechini di mezzanotte, è stucchevole. Inutile.
Eclissarsi dietro al bambino disabile che racconta la strana condizione del diverso, ignorando di quanto saranno difficili per lui gli anni che verranno, è vile. È mediatico. Paternale e caritatevole. Ma pur sempre vile.
Da chi può, torno a ripetere, ci si aspetta che faccia. “Diversamente”, che continui ad ignorarci, quantomeno non ci sentiremo per l’ennesima volta presi per i fondelli.
Gianluca Di Matola