E cinquanta anni fa Umberto Eco già parlava dei pericolosi giochi di parole dei politici…

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In ricordo di Umberto Eco, morto il 19 febbraio di tre anni fa. Eco esaminò a tutti i livelli, da romanziere, da filosofo, da semiologo, il fascino del linguaggio. Nel giugno del 1968, riflettendo sulle vicende di un delicato momento politico e notando che il linguaggio dei politici era intessuto di figure retoriche, scrisse che “la retorica è il linguaggio dei padroni”, perché serve al politico per farsi capire solo da pochi, anche quando egli parla ai “molti”.

 

Umberto Eco se ne è andato via il 19 febbraio di tre anni fa, e non ha potuto vedere il realizzarsi di certe sue fantasie sulla profonda filosofia di certi politici che alla domanda: “Come si ottiene il pareggio di bilancio?” rispondono, imperturbabili, e dopo lunga meditazione: “Si ottiene portando in parità gli introiti e le spese”: è l’applicazione “finanziaria” del pensiero del filosofo Brachamutanda, personaggio del “Secondo diario minimo”, fondatore della scuola tautologica che da lui è stata costruita su alcuni principi assoluti e non discutibili: l’ Amore è l’Amore, la Vita è la Vita, il Nulla Nulleggia, e così via. Il filosofo semiologo si divertiva, ma fino a un certo punto: temeva, forse, che la storia avrebbe superato la sua immaginazione. O, forse, l’avrebbe banalizzata. Perché è inarrivabile il politico democristiano che il 17 giugno 1968, intervistato dall’inviato dell’agenzia “La Nuova Stampa”, disse: il governo sarà “non un monocolore democristiano”, ma ci saranno “dei democristiani nel monocolore”. L’inviato dell’agenzia è probabile che non sia riuscito a vedere nessuna differenza tra le due proposizioni, ma in realtà la frase significava esattamente:” “Noi governeremo, ma non assumiamo responsabilità per quello che faremo governando”: salvo che la cosa era detta in modo più grazioso, mediante una raffinata figura retorica” che i trattati classici chiamano “antimetabole”: essa consiste nell’abbinare due proposizioni, di cui la seconda ripete la prima, ma invertendo l’ordine delle parole e quindi modificando il senso della frase.

In quel caldo giugno del ’68, in cui si preparavano il monocolore della D.C e il disimpegno dei socialisti, ci fu un vero e proprio festival delle figure retoriche. L’on. Zanier disse: “C’è tutta una problematica aperta. Per ora è un momento statico”, e il suo fu un uso arguto dell’”ossimoro”, urto di due parole dal significato opposto, perché la problematica aperta provoca instabilità, e dunque l’onorevole parlava di una “instabilità statica”. In quegli stessi giorni Nenni diceva: “Ora bisogna decidere…Non ci resta altro che astenerci”, e  Fiorentino Sullo, avendo appreso che il monocolore sarebbe stato guidato da Giovanni Leone, gli mandò a dire che la D.C. gli garantiva “una affettuosa solidarietà. Per solidarietà – spiega Umberto Eco- si deve intendere: “Leone fa il governo prendendosi i democristiani che vuole, ma la DC non ne sa nulla.”. Veniva così spiegata l’antimetabole da cui siamo partiti: nel governo, che verrà eletto anche con i voti dei socialisti, ci saranno democristiani, ma non rappresenteranno ufficialmente la DC. E così si manifestava l’uso di altre due figure retoriche: la reticenza e il paradosso. La reticenza stava nel fatto che era il giornale democristiano a far dire a un socialista che la DC si disimpegnava, ed era l’organo di stampa socialista a far proclamare da un democristiano il disimpegno della DC. Il paradosso – fu notato dai comunisti- stava nel fatto che la DC era impegnata a fare un governo verso il quale si disimpegnava, e i socialisti si disimpegnavano verso un governo che tuttavia si erano impegnati a votare.

Ma Umberto Eco non sarebbe diventato quello che diventò, se non ci avesse immediatamente avvertiti che questo uso di figure retoriche da parte dei politici non era dettato da “un eccesso di cultura classico- curialesca”, ma rispondeva “a un preciso calcolo politico”. E’ questo il passaggio fondamentale dell’articolo che egli pubblicò  nel 1968, e che poi, con il titolo “Il cifrario dei politici”, inserì nel libro “Il costume di casa- Evidenze e misteri dell’ideologia italiana negli anni Sessanta”, pubblicato per la prima volta nel 1973. Umberto Eco scrisse chiaramente che il linguaggio diventa “strumento di oppressione” nel momento in cui il politico parla ai molti, ma si fa capire solo da pochi: “il messaggio parte da un gruppo di pressione, arriva all’altro gruppo di pressione, o al potere politico ed economico a cui si indirizza, e compie la propria funzione. La retorica si presenta così come il linguaggio dei padroni.” Allo stesso modo, nelle famiglie altoborghesi di un tempo a tavola si parlava francese, per non farsi capire dai camerieri…