Dove va il libro e cosa lo salverà? Ne discutono i protagonisti dei dialoghi della nostra rubrica. Il rischio della dromomania generale!
Di Giovanni Ariola
Il prof. Carlo, molto rammaricato di non aver potuto partecipare alla kermesse del Salone del libro di Torino (13 – 17 maggio), per una fastidiosa influenza che lo ha colpito proprio il giorno in cui aveva deciso di partire e per le condizioni meteorologiche, a dir poco sfavorevoli, si consola passando in rassegna sui vari quotidiani e riviste che arrivano nell”Istituto i resoconti delle varie manifestazioni, dei tanti incontri che si sono tenuti nei cinque giorni della mostra. Intanto lo accompagna il ricordo, a volte confortante a volte doloroso, di un amico scomparso qualche anno fa, suo compagno di iniziative/avventure culturali, Aristide La Rocca, medico e poeta, che del Salone annuale era assiduo frequentatore e poi commentatore sulla rivista HYRIA.
Si era tracciato, il prof. Carlo, un itinerario tutto suo, una sorta di rotta nella mappa molto fitta di appuntamenti culturali, tutti di grande rilievo ma troppi per potervi partecipare nella misura che avrebbe desiderato, ne aveva scelto solo alcuni per le personalità che vi erano impegnate e per l”argomento trattato.
Sicuramente avrebbe voluto essere presente sabato 15 maggio scorso alla Sala Rossa all”incontro con Gian Luigi Beccarla che presentava il suo ultimo libro, pubblicato quest”anno da Einaudi “Il mare in un imbuto. Dove va la lingua italiana“.
Lo stesso giorno aveva progettato di incontrare, alla Sala dei 500, Umberto Eco in dialogo con Maurizio Ferraris e Patrizia Violi sull”avvenire della memoria, che è stato il tema conduttore del Salone.
Tema attualissimo, bisogna dire, e per questo scelto ad oggetto di numerosi incontri nei quali sono stati presentati libri di grande interesse. (Si segnalano Lete di Harald Weinrich, Il Mulino editore, 1999; La memoria e l”oblio, a cura di Franco Rella, Pendragon editore, 2002).
L”illustre semiologo Eco si era già interessato di questo argomento e in particolare dell”ars oblivionalis (arte dell”oblio) in un convegno agli inizi degli Anni “90 in cui aveva affrontato il problema che assilla il mondo di oggi che non è più quello di ricordare quanto quello di dimenticare. Insomma nella nostra era digitale si è scoperto un”esigenza e, di conseguenza, un diritto all”oblio: abbiamo anzi la necessità di dimenticare, di lasciarci indietro un certo carico di informazioni che potrebbe costituire un ostacolo per l”agire quotidiano.
Legata a questa, c”è l”altra esigenza di trovare un mezzo alternativo al libro per conservare i testi scritti e per migliorarne la fruizione. Continuerà ad esistere il libro di carta o sarà sostituito dal libro elettronico, dall”e-book? Si è trattata tale questione, al Salone, durante la presentazione dei libri: La quarta rivoluzione – Sei lezioni sul futuro del libro (Laterza editore, 2010), di Gino Roncaglia e Che fine faranno i libri? (Nottetempo editore, 2010) di Francesco Cataluccio.
– A me questo e-book sembra ancora più fragile e quindi più deperibile del cartaceo – confida il prof. Carlo al collega Eligio che intanto è sopraggiunto e si è informato sull”esito della mostra torinese – Tuttavia, molti leggono ormai sul computer, non solo notizie e informazioni da Wikipedia e da altre enciclopedie presenti sul web, gratis o a pagamento, ma articoli di giornali e riviste. Pare che aumenti sempre più il numero di questi mezzi di informazione e comunicazione che si trovano solo on-line. I giovani poi maneggiano con grande sicurezza questi nuovi strumenti tecnologici e non ne vogliono più sapere del cartaceo. Anche perchè hanno scoperto i vantaggi offerti dalla natura digitale dei nuovi mezzi, primo di tutti la possibilità di una lettura ipertestuale. Noi siamo abituati, mentre leggiamo un libro, ad alzarci per consultare altri testi o vari dizionari di cui si sente il bisogno a seconda del caso. Con l”e-book la consultazione è contestuale e quindi immediata:.
– Sai come la penso in proposito – risponde il prof. Eligio – Sono molto perplesso su questa velocizzazione della lettura che è una diretta conseguenza della dromomania generale che caratterizza la nostra epoca e che non sempre risulta vantaggiosa ai fini di una assimilazione e rielaborazione di quello che si legge:
– È vero, – continua il collega – il nostro cervello ha i suoi ritmi, i suoi tempi, la sua capacità ricettiva, per cui, a pretendere che accolga più di quanto può contenere, ossia a rovesciargli dentro una montagna di nozioni e, attraverso i libri, di storie e di questioni, si rischia, come si è detto in altra occasione, la saturazione e l”impossibilità di una utilizzazione e di una sistemazione logica e organica delle informazioni e delle conoscenze attinte. Mi viene in mente, a tal proposito, il termine “vertigine” che Umberto Eco ha usato nel titolo del suo ultimo libro (La vertigine della lista, Bompiani, 2009), ecco si rischia la “vertigine” da libri:
– Proprio così – concorda il prof. Eligio – D”altronde gli editori chiedono agli autori sempre nuove opere, da produrre a getto continuo, a volte anche un libro all”anno, e questo comporta tutta una serie di problemi tra i quali uno molto grave che è lo scadimento della qualità dei testi prodotti. Ha ragione (questa volta!) Giuliano Ferrara, quando scrive: “La verità, a me sembra, è che i libri sono troppi, sono troppi gli scrittori e le scrittrici, troppi i premi, troppi i festival:.siamo al solito rimescolio di mezzacalzettaggine alla portata di tutte le borse, ma su una scala inverosimile di possibilità estreme: tutti autori, tutti scrittori, tutti produttori di libri:È un problema di etica della lingua, del pensiero e della sensibilità che sottopongo a:tutti coloro che hanno la tentazione del libro, come incitazione a non scrivere troppo, e agli utenti dell”auratico librarismo per tutte le borse che – anche loro – dovrebbero leggere meglio, e meno, meno e meglio.” (da “Il Foglio”, 17 maggio 2010).
– Questa volta non possiamo – ammette il prof. Carlo – non essere d”accordo con il “sulfureo” giornalista (nel senso positivo e cordiale di “vivace”, “effervescente”, noi nel nostro dialetto diremmo metaforicamente “nu micciariello = un fiammifero”, che si appiccia = si accende facilmente, per un nonnulla). Inutile dire che troviamo efficace il neologismo mezzacalzetaggine con il suffisso –aggine che, aggiunto a mezzacalzetta, ravviva un termine, originariamente efficace metafora, in seguito catacresizzata, e ha il potere di aumentare, in senso peggiorativo e deiettivo, il suo significato già di per sè, negativo.
– Si aggiunge – continua divertito il collega – alla lunga serie di parole in –aggine: balordaggine, fanciullaggine, goffaggine, lungaggine, scioperataggine:
– :e fessaggine che dalla lingua italiana è passata pari pari nel nostro dialetto napoletano ed è comunemente usata (anche se non è registrata come lemma dialettale sia da Altamura che da D”Ascoli nei loro dizionari). Come pure scemitaggine, termine anch”esso entrato nell”uso quotidiano della parlata vernacolare al posto, come termine emergente o a fianco, in semplice funzione sinonimica, degli altri lemmi omologhi: scemità (stupidaggine) e scemarla (scempiaggine). (continua)

