Venerdì la città intera è scesa in piazza. Circa in 30mila al seguito del corteo contro l’attuazione del piano ThyssenKrupp.
Ast è attualmente di proprietà della ThyssenKrupp AG, l’azienda europea più importante nel campo dell’acciaieria e della siderurgia, con sede in Germania. Si è trattato di uno sciopero provinciale generale indetto da Cgil, Cisl e Uil contro i 537 licenziamenti annunciati dall’azienda.
È solo da pochi mesi che Thyssen è di nuovo proprietaria di Ast, controvoglia. In effetti nel 2013 una società finlandese ne aveva comprato le attività, ma l’operazione di cessione non andò a buon fine perché l’antitrust comunitario la obbligò a rimetterle sul mercato. Il colosso europeo, dopo una situazione irrisolta durata più di un anno, senza prospettive migliori per cederla si diede come obiettivo la rimessa in efficienza dell’azienda.
È all’interno di quest’operazione di risanamento che figura il piano di mobilità per 537 dipendenti. Gli animi dei sindacati si sono in realtà scagliati conto il Governo, criticandone l’immobilità su entrambi i fronti, vale a dire sia verso l’azienda proprietaria che verso l’Ast stessa. In effetti nell’ultimo mese il Governo si è limitato a fare da mediatore senza imporsi né dettare regole alla multinazionale, che nei fatti è libera di ridurre la produzione e i posti di lavoro; dall’altro lato il Governo non utilizza nemmeno gli strumenti che avrebbe a disposizione per trattare con l’Ast e rimediare all’imminente ridimensionamento del complesso siderurgico italiano più importante.
Questa è essenzialmente la voce dei sindacati, alla quale però si è unita la voce di tutta la città, tra associazioni di categoria e non. Per un giorno Terni è stata completamente bloccata: al fianco degli operai marciavano famiglie e bambini con le magliette “L’acciaieria non si tocca”, dai balconi pendevano striscioni di solidarietà, negozi e attività commerciali erano chiusi e sulle vetrine affisso il cartello “Chiudiamo oggi perché non chiuda la città domani”. La chiusura dell’acciaieria, perché non è impensabile che sia questa la strada intrapresa dalla Thyssen, è sentita ed è percepita come la “fine di Terni”. Niente di più reale.
Prospettive future migliori, l’aumento del Prodotto interno lordo, la rinascita del settore industriale italiano, la riduzione della disoccupazione e la ripresa dei consumi, assolutamente non possono coesistere con la morte di una delle fabbriche fondamentali per il Paese.